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Dolce Emma, cara Böbe - Edes Emma, draga Bóbe


Regia:Szabo Istvan

Cast e credits:
Sceneggiatura: Istvan Szabo; fotografia: Lajos Koltai; montaggio: Eszter Kovàcs; musica: Tibor Bòmai, Mihàly Mòricz, Ferec Nagy, Beatrice, Robert Schumann; scenografia: Attila Kovacs, interpreti: Johanna Ter Stege (Emma), Enikò BòrcsOk (Bóbe), Péter Andorai (Stefanics), Eva Kerekes (Sleepy), Erszi Pasztor (la signora Hòrvath), Hédi Temessy (Maria), Irén Bòdis (la madre di Emma); produzione: Objektiv Filmstudio; distribuzione: Academy; origine: Ungheria, 1991; durata: 90'.

Trama:Emma e Bobe, due ragazze della provincia, insegnano russo in una scuola elementare di Budapest. Dopo la caduta del regime comunista la lingua russa non è più materia obbligatoria nelle scuole e per poter continuare ad insegnare Emma e Bobe sono costrette a frequentare dei corsi serali di inglese. Ogni mattina trasmettono ai propri allievi ciò che hanno imparato la sera prima. Emma, per garantirsi un livello di vita accettabile, lavora come domestica presso una famiglia agiata mentre Bobe sceglie una strada diversa: frequenta locali notturni e si prostituisce. Emma è innamorata del preside della scuola e il loro rapporto dura da più di un anno ma lui è sposato, ha dei bambini e non vuole divorziare. Si tratta dunque di un rapporto senza futuro.

Critica (1):Con Dolce Emma, cara Böbe Istvan Szabo affronta un discorso iniziato un po' in sordina, quasi nascosto dagli scintillii farseschi e i virtuosismi canori in Meeting Venus: quello della situazione degli intellettuali nei Paesi dell'Est dopo la caduta del comunismo. Una condizione che ci è ignota e persino difficile da immaginare nella sua complessità fatta di problemi economici, oltre che ideologici, che coinvolgono la sfera dei sentimenti e della dignità e che finiscono col mettere in discussione non solo l'individuo, ma in certi casi i presupposti della sua esistenza. Dolce Emma, cara Böbe, che ha vinto l'Orso d'Argento al festival di Berlino 1992, descrive la realtà ungherese attraverso le emozioni, i piccoli fatti, gli avvenimenti che riempiono la vita di due giovani insegnanti di russo, venute dalla campagna in città, dove vorrebbero rimanere, anche adesso che le difficoltà si sono centuplicate e che il loro lavoro non esiste più, cancellato via come l'invasore, come tutto quello che sa di passato. Partendo dal microcosmo della scuola Szabo ci racconta di un paese disorientato. Vediamo decine di insegnanti di russo, che si riciclano "forzatamente" in "english teachers", prese in giro dagli alunni per quell'accento mal digerito; la loro autorità dileggiata anche dai colleghi desiderosi di mostrarsi all'altezza del "nuovo corso", mentre agli altri non resta che subire le umiliazioni che provengono dal trovarsi oggi dal lato dei perdenti, anche se solo culturalmente, e comunque dal non avere neppure abbastanza soldi per una vita dignitosa e soprattutto nessuna possibilità di riuscire ad ottenerla. Ci troviamo faccia a faccia con puericultrici, maestre d'asilo, professori di disegno pronti a qualsiasi lavoretto extra, dalla comparsa poco vestita in un film popolare, alla domestica, a fare "compagnia" a turisti stranieri per farsi invitare a cena in un bel ristorante o anche solo per mettere insieme i soldi per il vitto e per l'alloggio in un convitto per professori, dove sono in 300, ma è già una fortuna essere accettati. Emma e Biibe sono due amiche, ma rappresentano anche due modi diversi di affrontare una situazione senza sbocco, obbligate a combattere con le necessità della sopravvivenza; con la solitudine senza che le parole solidarietà, comunità possano più venire in aiuto, sostituite da un nuovo obiettivo, da un credo spietato, in un Paese raso anche moralmente al suolo, che è: individualismo e capitalismo. Dolce Emma, cara Böbe è una sorta di film-verità costruito con maestria su un budget microscopico di 280.000 dollari che tra l'altro ha il pregio, nella sua semplicità di raccontare con grande sensibilità un'epoca terribile, che sta facendo più vittime di una guerra o di una pestilenza.
Annalisa Alphandery, Vivillcinema, marzo-aprile 1992

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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