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Sposa bambina (La) - Mi chiamo Nojoom, ho 10 anni e voglio il divorzio - Ana Nojoom bent alasherah wamotalagah


Regia:Al-Salami Khadija

Cast e credits:
Soggetto: Nojoud Ali, dal libro "I am Nujood, age 10 and divorced" di Nojoud Ali e Delphine Minoui; sceneggiatura: Khadija Al Akel, Faten Alfagih, Afrah Mohamed; fotografia: Victor Credi; musiche: Thierry David; montaggio: Alexis Lardilleux, Faten Alfagih, Afrah Mohamed; interpreti: Reham Mohammed (Nojoom a 10 anni), Rana Mohammed (Nojoom a 5 anni9, Ibrahim Al Ashmori (padre), Naziha Alansi (madre), Husam Alshiabali (fratello Sami), Adnan Alkhader (giudice), Samaa Alhamdani (avvocato), Khaled Meshoar (sceicco), Munirah Alatas (suocera), Shafikha Alanisi seconda moglie del padre), Rym Sharabeh (moglie del giudice), Malak Albukhaiti (sorella maggiore), Amro Gadel (fratello maggiore), Sumya Almeliaki (sorella maggiore), Ayah Ali (seconda sorella); produzione: Sheikha Prohaska Alatas, Khadija Al Salami per Hoopoe Film; distribuzione: Barter Entertainment; origine: Francia-Yemen-Emirati Arabi, 2015; durata: 99'.

Trama:Una bambina entra in un'aula di un tribunale, guarda il giudice dritto negli occhi e gli dice: «Voglio il divorzio». Nello Yemen, dove non sono previsti limiti di età per poter contrarre matrimonio, una bambina di 10 anni di nome Nojoom è costretta a sposare un uomo di 30 anni. La dote derivante dal matrimonio fornisce alla famiglia della bambina la possibilità di ricevere una piccola entrata economica e l'opportunità di liberarsi di una bocca in più da sfamare. Per tutti si tratta di un accordo legittimo e soddisfacente: per tutti tranne che per Nojoom che vedrà presto la sua vita volgere al peggio. Nojoom inizia però una solitaria e determinata battaglia contro le pratiche arcaiche seguite dalla sua famiglia e dalla sua tribù, riuscendo a sfuggire al controllo dei suoi genitori e a ottenere il divorzio. La battaglia di Nojoom è una battaglia per la libertà per le donne del suo paese, un esempio contro la violazione dei diritti umani e il simbolo della lotta contro le pratiche arcaiche considerate ancora oggi legali nello Yemen e in molti altri paesi.

Critica (1):Bisogna molto insistere con se stessi per convincersi che tutto ciò che vediamo attoniti e increduli nella Sposa bambina, secondo film della yemenita Khadija Al-Salami, che ha studiato cinema negli Usa, è storia vera non fiction, accaduta 10 anni fa in Yemen. L’usanza tribale è nota: ammogliare al miglior offerente una bambina ridotta poi a schiava dal coniuge adulto che la picchia e la violenta anche prima dell’età puberale. La cosa davvero speciale di questo «documentario» che allaccia subito la corrente civile e non la spegne più, è che sia la regista sia la stessa vittima, Nojoom Ali, oggi sposa e mamma regolare, sono state travolte da questo destino.
l film, ispirato al libro della giornalista Delphine Minoui, parte con una storica ribellione: la sposa bambina a 10 anni scappa, si rivolge in tribunale per ottenere il divorzio coinvolgendo la coscienza di un giovane giudice che prende a cuore il caso e lo risolve in un’ultima sequenza quasi brechtiana che insegna come migliaia di bimbe, schiave analfabete, muoiano per sevizie, emorragie, parti precoci.
Miracolo del film è che il raddoppio biografico della sofferenza non sbiadisce alle prese con la ricostruzione ma mantiene (anche per la forza espressiva della giovane attrice) la sua carica feroce di violenza e di ignoranza.
Di base, l’interpretazione religiosa che, fraintendendo Maometto, diventa causa della rivolta esibita dall’autrice; che conosce bene l’arte di stupire, coinvolgere, commuovere, denunciare: in quest’ordine.
Maurizio Porro, Corriere della Sera, 12/5/2016

Critica (2):Non è difficile vendere una bambina come sposa a un uomo adulto e spesso vecchio. Bastano un sensale, due testimoni, il padre, tutti uomini seduti per terra, a decidere la dote che lo sposo dovrà dare in cambio (una mucca, o due capre o altro). E Nijood, 10 anni, deve lasciare la famiglia, seguire uno sconosciuto, non riuscire a ribellarsi allo stupro feroce, diventare una schiava. In Sudan è peggio, ma nelle campagne dello Yemen succede ancora così: una sposa su sette ha meno di 15 anni, e nessuna legge pone un limite d'età ai matrimoni.
La sposa bambina, primo film diretto da una donna yemenita, la documentarista Khadija al-Salami, costato 80 mila dollari, girato clandestinamente nello Yemen («Un incubo!») con una troupe egiziana non esistendone una locale, ha vinto il premio per il miglior film al Festival di Dubai 2014, viene dato in anteprima italiana al Festival dei Diritti di Milano ed esce nei nostri cinema il 12 maggio. Ci sono due ragioni per vederlo: il meraviglioso infinito, vuoto, e attualmente irraggiungibile paesaggio rupestre, e la bambina Nijood, una piccolina avvolta nei veli neri, i lucenti occhi scuri, il chiaro viso aggrottato nel dolore e nella cocciuta e coraggiosa decisione di riprendersi la vita, la bambola rosa che canta, i giochi con gli altri bambini. Nijood nasce e cresce in una famiglia contadina, è una bambina felice, amata, solare, che deve lascia-re la tribù e scendere a Sana'a, quella ex capitale che nei servizi fotografici appare sontuosa e che nel film si vede deturpata dal traffico, dalla polvere, dal rumore.
Nijood è l'unico tesoro della famiglia ormai poverissima, e quindi è necessario venderla a uno sposo. Ma la bambina si rivela una mogliettina insopportabile, piange, fa disperare la suocera che ha constatato felice la sua deflorazione dopo una notte di ribellione, minaccia il suicidio e quasi lo mette in pratica. Il marito la riporta al padre, perché la domi: ma lei riesce a scappare e a farsi portare da un taxi in tribunale. Imbarazza il giovane magistrato chiedendogli il divorzio, lui in città non ha mai visto una bambina sposata, ancor meno una che vuole divorziare. Come giudice non ha che la legge, che però non contempla un caso simile: gli accusati, il padre e il marito, come difesa hanno la Sharia, le tradizioni secolari della loro gente, il non sapere né leggere né scrivere, l'assoluta buona fede. La legge non può che affidare la decisione al potere assoluto del grasso sceicco della tribù.
Il film nasce ovviamente da una storia vera, in parte da quella della stessa regista, che pur essendo di buona famiglia fu fatta sposare a 11 anni ma riuscì poi ad andare a studiare negli Usa e adesso vive a Parigi. Concentrato in una storia drammatica privata, il film non accenna neppure alla guerra che sta distruggendo lo Yemen, malgrado le continue tregue: c'è una rivoluzione civile combattuta contro il governo dai ribelli Houti delle tribù sciite, che hanno occupato Sana'a, e dal recente arrivo dell'Is e di AI Qaeda. E anche dalla guerra sferrata da una coalizione guidata dall'Arabia Saudita, con le armi fornite dall'Occidente.
Sotto i bombardamenti, la popolazione, i bambini, muoiono a migliaia, non solo quindi come la piccola sposa yemenita Rawan, 8 anni, diventata famosa per essere morta la notte di nozze per emorragia interna.
Durante la Primavera araba, furono raccolte un milione di firme per una nuova costituzione, ma la guerra ha distrutto ogni tentativo di cambiamento, i bambini muoiono a centinaia sotto le bombe, le case sono distrutte, manca ovunque l'acqua e il cibo. Il destino delle spose bambine ormai non è più una priorità.
Khadija al-Salami racconta come la vita della vera Nijood sia stata diversa da quella nel film. Diventata famosa, coccolata dalle donne occidentali, da Nicola Kidman e da Hillary Clinton, si sia trasformata in una star, sia stata eletta tra le donne dell'anno da una rivista americana, abbia scritto la sua storia con la scrittrice francese Delphine Minoui (Io, Nojoud, 10 anni, divorziata) pubblicata in Francia nel 2009, e il padre per suo diritto le requisì tutto il guadagno. Poi ha abbandonato gli studi che erano pagati da altri e la casa regalata dall'editore del libro, e si è sposata a 18 anni con il figlio di uno sceicco. L'incantevole bambina del film è nipote del regista. L'assurdità è che la sua deliziosa voce, le voci di quei pastori di un altro mondo per noi incomprensibile siano stati doppiati, togliendo loro verità e realtà.
Natalia Aspesi, la Repubblica, 6/5/2016

Critica (3):

Critica (4):
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