Stella solitaria - Lone Star
| | | | | | |
Regia: | Sayles John |
|
Cast e credits: |
Sceneggiatura, montaggio: John Sayles; fotografia: Stuart Drysburg; musica: Mason Daring; scenografia: Dan Bishop; costumi: Shay Cunliffe; interpreti: Chris Cooper (Sam Deeds), Elizabeth Peña (Pilar), Joe Morton (Delmore Payne), Ron Canada (Otis Payne), Clifton James (Hollis Pogue) Kris Kristofferson (Charlie Wade), Mattew Mc Conaughey (Buddy Deeds), Miriam Colón (Mercedes Cruz), Frances Mc Dormand (Bunny), Jeff Moahan (Hollis giovane), Gabriel Casseus (Otis giovane), Vanessa Martínez (Pilar giovane), Tray Strathairn (Sam giovane); produzione: Maggie Renzi, Paul Miller, John Sayles per Rio Dulce Prod.; origine: Usa, 1996; durata: 134’. |
|
Trama: | Western moderno. Racconto piscologico che non manca di risvolti "gialli": viene ritrovato uno scheletro d'uomo con la stella di sceriffo nel deserto della contea di Rio. |
|
Critica (1): | [...] ricco di contraddizioni Lone Star, scritto, diretto e montato da John Sayles, quest’umanista senza umanesimo, come anni fa acutamente lo definì Davide Ferrario. È una detective story camuffata da western moderno. È un film sulla memoria, dunque sul passato, ma ha un finale che, scandalosamente, si apre sul futuro. Per l’ampio ventaglio dei temi privati e pubblici e per la sua vicenda ramificata dove s’intrecciano diversi fili narrativi e dove convivono 43 personaggi (e 49 attori: sei di loro rappresentano altrettanti personaggi da giovani), ha l’ambizione di un romanzo, ma è anche un film dove si parla molto, si agisce poco e non succede quasi nulla perché tutto è già successo. È un film “politicamente scorretto” giacché, di questi tempi, per esserlo basta fare un film esplicitamente “politico”, cioè descrivere con onestà una realtà sociale. È un film che, senza prediche, discorre di una precisa e concreta situazione nordamericana: le tensioni razziali fra tre gruppi etnici (bianchi, latinos, neri) di una cittadina texana di frontiera. Ma può suggerire qualcosa anche a noi euromediterranei, prefigurando quel che già accade e potrebbe accadere in un futuro non remoto. Sayles non si limita a descrivere con precisione e senza settarismi ideologici una situazione sociale. Racconta il modo con cui l’America non riesce mai completamente ad accettare il suo passato, se non rimuovendolo o idealizzandolo. Che cosa si sono proposti gli anziani di Rio County nel trasformare lo sceriffo Buddy Deeds in una leggenda? Sostituire la memoria col mito. Che cosa è in giuoco nella polemica con cui s’insegna a scuola la storia patria? Per l’etnia bianca egemone gli anni Quaranta del secolo scorso furono una tappa gloriosa della lotta per l’indipendenza del Texas, ma a questa radicata convinzione le minoranze di colore (latinos, neri) oppongono un’obiezione: e se, invece, fosse stata una conquista? I discendenti degli antichi vincitori stanno diventando, alla fine del Novecento, una minoranza – a livello elettorale, almeno, se non a quello politico – rispetto ai discendenti degli sconfitti che reclamano i loro diritti, anche quello di riscrivere i libri di storia. Più che giustificare la trasgressione del tabù dell’incesto, la conclusione “scandalosa” della storia intende suggerire che le barriere razziali sono anzitutto un fatto mentale. Vengono momenti nella vita di un individuo o di un popolo in cui è giusto e necessario voltare pagina, ma prima bisogna averla letta bene e capita. “Forget the Alamo”, dice Pilar a Sam Deeds. È stato facile per i recensori italiani cogliere nell’inchiesta in cui il nuovo sceriffo di Rio County tenta dolorosamente di chiudere i conti con la figura paterna, un rimando alle vicende di Athos Magnani nella Strategia del ragno (1972) di Bertolucci. Ma Lone Star rinvia, e risponde, anche al fordiano L’uomo che uccise Liberty Valance (1962) dove, giacché la leggenda è diventata realtà, viene pubblicata la leggenda. Con una differenza, però: mentre nel film di Ford si oppongono contro i valori dell’Ovest i valori dell’Est, «che trasformano il deserto in un giardino e che, portando il progresso, creano una società dove non saranno più le pistole a determinare la legge e l’ordine», qui il conflitto è tra Nord e Sud, come si conviene a una storia dell’ultimo Novecento. S’è parlato poco di cinema finora, all’interno di un film sul conflitto padri/figli, raccontato dalla parte dei figli che hanno un padre ingombrante e poco amato. Non s’è detto che Chris Cooper – già attore di Sayles in Matewan (1987) e City of Hope (1991) – che è parso a molti, nella parte di Sam Deeds, un protagonista incolore, se non moscio, mentre probabilmente, d’accordo col regista, ha impostato la sua recitazione su una tonalità di malinconia con la sordina, adatta a un personaggio antieroico che, invece di agire, ricorda e riflette. Non s’è detto di Kris Kristofferson che, invece, ha colorito anche troppo il suo ruolo di “cattivo” della storia, impersonando il corrotto e prepotente Wade né dell’ottima frances McDormand, compagna e interprete preferita di Joel Coen (chi non l’ha amata in Fargo?), che s’è ritagliata con brio una particina di maniaca depressa di football. Non s’è detto del modo, spiccio ma insieme elegante e funzionale, con cui Sayles ha risolto all’interno della stessa inquadratura i ritorni all’indietro nel tempo né dell’atmosferica fotografia dell’eccellente Stuart Dryburgh, maestro del colore e delle luci nei film della compatriota Jane Campion, incluso l’incompreso e sottovalutato Ritratto di signora.
Morando Morandini, Cineforum n. 364, maggio 1997 |
|
Critica (2): | |
|
Critica (3): | |
|
Critica (4): | |
| John Sayles |
| |
|