Burma VJ: Reporting from a Closed Country - Burma VJ: Reporter i et lukket land
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Regia: | Østergaard Anders |
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Cast e credits: |
Soggetto: Anders Østergaard, Jan Krogsgaard; fotografia: Simon Plum; musiche: Conny Malmqvist; montaggio: Janus Billeskov Jansen, Thomas Papapetros; produzione: Lise-Lense Møller per Magic Hour Films Aps-Wg Film-Mediamente-Kamoli Film Wg Film; origine: Danimarca. 2008; durata: 84’. |
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Trama: | "Burma Vj" è l’esaltante e commovente cronaca della “rivoluzione zafferano” birmana del settembre 2007, raccontata attraverso le immagini dei videoreporter clandestini di Democratic Voice of Burma che, rischiando torture e carcere, sono rimasti l’unica fonte di informazione da un paese in pugno a una spietata dittatura militare e impraticabile per i giornalisti stranieri. Migliaia di monaci buddisti, ispirati dalla figura della leader dissidente e premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, scesero in strada per guidare i cittadini birmani in una protesta contro il regime di proporzioni mai viste, pronti a pagare il prezzo del loro coraggio. |
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Critica (1): | Contrabbandati fuori dalla Birmania, i nastri dei reporter di DVB sono diventati il materiale prezioso che, nelle mani di Anders Østergaard e dei suoi montatori, si è trasformato in uno dei film documentari più forti e politicamente importanti degli ultimi anni, come confermato dagli oltre 40 premi in festival in tutto il mondo, dal successo e dall’emozione in occasione della presentazione allo scorso festival del settimanale Internazionale a Ferrara, e dalla recente nomination all’Oscar
A prima vista, questo film può essere facilmente inteso e compreso come un documentario al servizio di una giusta causa. Su un piano più personale, però, è anche un approfondimento – e una celebrazione – della natura del documentarismo. All’inizio della realizzazione del film, il nostro personaggio principale non aveva nessuna speranza di cambiamento in vista, eppure non poteva frenare il suo bisogno di prendere la videocamera e filmare, perché questo lo faceva sentire vivo e dava un significato al suo mondo. Ma non aveva ragione di credere che i suoi reportage avrebbero fatto alcuna vera differenza.
Tutto ciò è cambiato durante la grande rivolta in Birmania nel settembre 2007. La rivolta è stata una tragedia sotto ogni punto di vista. Pochi giorni di speranza ed esaltazione sono stati seguiti da altri di morte e violenza, e i generali hanno ripreso il controllo, com’era sempre stato. Eppure, in un certo senso la rivolta ha segnato un notevole progresso – semplicemente perché ne abbiamo avuto notizia. Abbiamo visto i monaci e le centinaia di migliaia di civili scendere in strada per liberarsi dalla paura e dalla repressione. Li abbiamo visti pagare il prezzo di tutto ciò.
Così, dopo decenni di oblio, la Birmania è stata riscoperta dal mondo. E in gran parte lo dobbiamo a un pugno di cittadini birmani che hanno colto l’attimo e messo in funzione le loro videocamere con ingenuità e immenso coraggio. Essere testimoni della loro altruistica lotta rende umili e mette la voglia di far sapere di loro a tutto il mondo.
È proprio questo che ho tentato di fare.
(dichiarazione del regista Anders Østergaard) |
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Critica (2): | La protesta dei monaci birmani del 2007, repressa nel sangue da una dittatura militare che da 40 anni governa il Myanmar è la trama del documentario Burma VJ – scritto e diretto dal regista danese Anders Østergaard – che la notte del 7 marzo potrebbe ricevere la più ambita delle statuette: l’opera è in gara nell’82ma edizione dei premi Oscar, alla sezione “Miglior documentario”.
Burma VJ è incentrato sulle immagini, le testimonianze, le ricostruzioni di filmati e dialoghi catturati da un “esercito di video-giornalisti (i VJ birmani, da cui trae spunto il titolo) che – a rischio della vita – hanno documentato le violenze compiute dall’esercito governativo contro i monaci e la popolazione.
Le prime dimostrazioni di piazza sono iniziate nell’agosto del 2007 a Yangon, la città più importante del Myanmar, per protestare contro l’aumento dei prezzi di benzina e carburante. Alla popolazione si sono uniti anche i monaci (nella foto), figure amate e venerate in tutto il Paese. A settembre la giunta al potere ha scatenato una repressione durissima, che ha causato la morte di decine di persone.
Il documentario (su YouTube è disponibile il trailer) è frutto del coraggio dei reporter che, armati di piccole telecamere, spesso nascoste in zaini o borse e a rischio della vita, hanno raccolto testimonianze e filmato le scene delle violenze perpetrate dai militari. I video-giornalisti collaborano con un gruppo dissidente birmano – Democratic Voice of Burma (Dvb) con base a Oslo, in Norvegia – che ne ha curato di persona e per anni la preparazione.
La prima parte della storia è narrata dal punto di vista di Joshua, uno dei tanti cameraman di Dvb,costretto poi a fuggire in Thailandia per sfuggire alla cattura dell’esercito di Yangon. Egli, dal suo esilio, ha quindi coordinato il lavoro dei colleghi presenti in Myanmar, raccogliendo testimonianze, dialoghi, racconti che costituiscono il corpo centrale del documentario.
Tra le tante storie narrate, vi è la vicenda di U Gawsita, un monaco buddista che vive a Utica, New York, come rifugiato politico. Nel 2009, all’uscita del documentario, egli ha iniziato a ricevere minacce di morte per il suo coinvolgimento nelle proteste di piazza. Dopo aver percorso decine di chilometri nella foresta, egli è riuscito a superare il confine con la Thailandia. Le autorità di Bangkok non gli hanno concesso lo status di rifugiato politico; solo l’intervento del governo Usa ha salvato la vita al monaco birmano.
asianews.it |
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Critica (3): | "Dovrà esserci una rivoluzione nata dal popolo. Solo così, forse, questo regime potrà terminare". Parole drastiche quelle di Aung Htun, 29 anni, nome rigorosamente falso per proteggere la sua identità, e quella della sua famiglia. Con tanti altri Vj, video journalist dissidenti, produce informazione sulla Birmania sotto il giogo della dittatura militare.
Al Traverse City Film Festival in Michigan il direttore Michael Moore ha deciso per l’entertainment di qualità e per docu-film come Burma VJ, reporting from a closed country, di cui Aung Htun è protagonista con le sue immagini. "Abbiamo deciso di uscire allo scoperto, dopo anni di clandestinità, per far conoscere a più persone possibili quello che sta succedendo nel nostro paese, dove nemmeno la morte di monaci buddisti, e di un giornalista giapponese, ha fatto cambiare qualcosa".
Nel settembre 2007, la manifestazione pacifica dei monaci per far liberare Aung San Suu Kyi, leader del partito democratico birmano e Premio Nobel per la pace, è stata soffocata nel sangue: "Ero lì, e le immagini che potete vedere nel film l’ho fissate in quella follia. Solo dopo aver visto quello che avevo registrato, ho capito l’importanza di ciò che ho fatto". Purtroppo Burma VJ, passato in molto festival e vincitore di numerosi premi, in Italia rimane ancora inedito.
Lavorando in sinergia con il DVB (Democratic Voice of Burma), collettivo di informazione indipendente, Aung Htun ha anche girato un video con le testimonianze della popolazione della costa birmana decimata dai monsoni nel 2008: avvenimenti ancora una volta nascosti dal regime. "Sto girando il mondo, ma penso ogni giorno ai miei compagni in prigione, a Aung San Suu Kyi, che subirà un altro processo farsa del regime (rinviato al 12 agosto, NdR). Tutto questo non mi allontanerà mai dai nostri obiettivi", conclude Aung Htun.
cinematografo.it |
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