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Parenti serpenti


Regia:Monicelli Mario

Cast e credits:
Soggetto: Carmine Amoroso, Piero De Bernardi, Mario Monicelli, Suso Cecchi d'Amico; sceneggiatura: Mario Monicelli, Piero De Bernardi, Suso Cecchi d'Amico, Carmine Amoroso; fotografia: Franco Di Giacomo; musiche: Ruy De Cesaris; montaggio: Ruggero Mastroianni; scenografia: Franco Velchi; interpreti: Pia Velsi (Nonna Trieste), Riccardo Scontri (Mauro), Monica Scattini (Milena), Paolo Panelli (Nonno Saverio), Eugenio Masciari (Alessandro), Cinzia Leone (Gina), Alessandro Haber (Alfredo), Marina Confalone (Lina), Renato Cecchetto (Filippo), Tommaso Bianco (Michele), Eleonora Alberti (Monica); produzione: Clemi Cinematografica; distribuzione: Cineteca Lucana; origine: Italia, 1991; durata: 105'.

Trama:Nevica abbondantemente in un piccolo paese degli Abruzzi, la vigilia di Natale, dove giungono da varie città, per trascorrere come ogni anno le feste insieme ai vecchi genitori, le figlie Lina (col marito Michele e il figlioletto Mauro), Milena (col marito Filippo) e i figli Alessandro (con la moglie Gina e la figlia Monica) e Alfredo, che è scapolo. La nonna Trieste, ancora attiva e lucida, e il nonno Saverio, ex carabiniere, che invece ha la mente piuttosto confusa, li accolgono con grande gioia e l'atmosfera della casa appare piena di affetto e di calore. Naturalmente si seguono in tutto le antiche tradizioni; il baciamano natalizio ai genitori, l'albero coi doni, la messa di mezzanotte, il cenone, la tombola, mentre affiorano i primi screzi e pettegolezzi, specie fra le due sorelle e la cognata. Poi nonna Trieste, commossa delle tante dimostrazioni di affetto, durante il pranzo del giorno di Natale, comunica ai congiunti che lei e il nonno hanno deciso di andare a vivere insieme a uno qualsiasi dei figli gli ultimi anni della loro vita, dopo aver scartato con orrore l'idea dell'ospizio (che è andata a visitare). Aggiunge poi che, oltre alla metà della loro pensione, verrà donata al figlio, che li accoglierà, la casa in cui vivono ora al paese. E non si accorge, la poveretta, che la sua proposta ha sconvolto tutti i congiunti, creando un tremendo imbarazzo. Dopo qualche vaga risposta, appena i nonni vanno a fare la loro solita passeggiata, i congiunti, allontanati i due bambini, si chiudono in una stanza e cominciano a litigare fra loro, rinfacciandosi colpe grosse e piccole, con acrimonia. Si rivela così che Gina, la cognata modenese, da sempre giudicata una poco di buono, è l'amante di Michele (il marito di Lina), e viene mostrata una fotografia oscena, che non lascia dubbi. Alfredo, spinto dagli altri ad accollarsi i genitori, perchè è scapolo, confessa di essere omosessuale, e di convivere con un uomo. Insomma i figli rifiutano, e si comincia a parlare di un ospizio di "lusso", quando la televisione dà la notizia di una casa esplosa a causa di una bombola di gas: è la soluzione, che tutti accettano, accordandosi con un solo sguardo. La notte di Capodanno, dopo aver donato ai genitori una stufa a gas, i congiunti si recano al veglione, conducendo anche i bambini, e a mezzanotte, quando "botti" e fuochi d'artificio riempiono il paese, in casa dei nonni rimasti soli la stufa esplode, uccidendo i due vecchi. Mauro, nel tema sulle vacanze, racconta il fatto a scuola e dice di non spiegarsi perchè i parenti hanno dichiarato che la stufa era molto vecchia, mentre era nuovissima: regalata il giorno stesso dell'incidente.

Critica (1):Toh, sono morti i nonni. Implacabile, nella sua innocenza presunta a priori, il piccolo Mauro vede e constata. E nello svolgimento del suo tema (il classico "Come hai trascorso le vacanze di Natale") sciorina l'inventario dei tic, delle maldicenze, delle falsità e dei delitti, nonché di usanze, costumi e caratteristiche architettoniche di Sulmona e dei suoi abitanti, di un appartamento e dei suoi occupanti che, forse per uno strano scherzo di madre natura, sono i suoi genitori, nonni, zii e cugina.
Non meno implacabile, il grande vecchio della commedia e dei giochi di morte all'italiana, nell'esercizio di un mestiere ormai quasi in aura di neutralità scientifico/tecnologica, disseziona il cadavere dell'amor filiale sul quale egli stesso, altri maestri e tanti apprendisti (stregoni, torturatori e mattatori) si esercitarono. Magari, come in questo caso, davanti a una tavola imbandita. Se l'argomento e il luogo non sono nuovi, che il giudizio sia inappellabile. Anch'egli, nello svolgimento del tema, mantiene lo stile impersonale da bollettino, senza cedimenti personali o inesattezze di parte: pedante ma inequivocabile.
Nell'eleggere a punto di vista lo sguardo di un bambino di oggi, lo epura dalle scorie di un possibile privato. La provincia, luogo privilegiato del recupero/rimozione del passato e della nostalgia, non si colloca nella sfera intima di Monicelli, regista sempre rivolto al presente e che non ha mai dato un'impronta regionalistica al suo cinema (chi pensa a lui come a un regista toscano?) che è al contrario crogiolo di generi, tendenze, storia e geografia d'Italia. Se un sentimento c'è, tra le righe, non è autocompiacimento, ma pena per Mauro, l'uomo di domani. Per il resto, Sulmona è una qualsiasi cittadina dell'Italia centrale e i parenti serpenti sono degli italiani qualsiasi.
Fin dal primo momento la sensibilità del regista è concentrata sulla percezione delle note stonate che degradano l'armonia delle apparenze: note che si sommano rapidamente, in crescendo, fino a comporre un 'rumore' che si sovrappone e si sostituisce alle apparenze medesime. Così ai personaggi non è lasciato alcun margine di ambiguità: la loro anima grigia o nera viene subito esposta, come in uno specchio. Figli, generi e nuore di Saverio e Trieste fanno davvero poco per salvaguardare la loro già fragile parvenza di dignità: giocare in casa, e per naturale estensione nella città vista come connessione cellulare di famiglie aggregate dal pettegolezzo, diventa autorizzazione a procedere. E la riunione di famiglia ha gli effetti di una colossale ubriacatura.
Le donne vanno a tavola con i bigodini in testa, fanno smorfie davanti allo specchio e piedino sotto il tavolo ai cognati, ripetono frasi 'educate' ("Stai bene? Son contenta") e piagnucolano senza ritegno quando viene pronunciata la parola "bambini" (almeno Anjelica Huston cercava di trattenersi quando nella stessa situazione era presa da conati di vomito!). E gli uomini? Molto peggio, se è vero che Monicelli è un incallito 'femminista'.
Parenti serpenti non pretende di mettere in luce il Mr. Hyde che cova nelle persone per bene, negli onorabili borghesi e così via, ma scopre un degrado ben più superficiale: la noncuranza e lo spregio verso la rispettabilità medesima. Per metterlo a nudo basta la curiosità di un bambino, che il regista traduce nell'attenta illustrazione che gli è abituale: linguaggio diretto che non ammette mediazioni o ripensamenti, che non disdegna il consapevole ricorso allo stereotipo e al déjà vu. Ed ecco gli eroi, più che mai piccoli piccoli, dell'indifferenza, che Monicelli, con fiuto sagace, avverte come il 'sentimento' chiave degli anni '90, più minaccioso dell'odio, della gelosia, della sete di vendetta, dell'avidità di denaro. Uomini e donne che vivono per abitudine e uccidono per miopia, con un tornaconto meno che minimo. L'eliminazione fisica delle persone fastidiose e scomode non è oggetto di humour nero: è la regola.
È proprio ordinaria normalità (con qualche sovrappiù in tema di corna che fa scivolare il film nella farsa) quella che gli attori ritmano con una recitazione ben orchestrata e senza eccessi sui tempi rituali delle festività natalizie: pranzo e cena della vigilia; messa di mezzanotte; risveglio con auguri e scambio di regali; pranzo di natale; pomeriggio al Gran Caffè; una settimana da passare tutti insieme; veglione di capodanno. Un tempo pigro, provinciale per eccellenza, infido: quello che occorre per scoprirsi estranei, poi nemici, e infine per ritrovare, come avviene nelle storie più edificanti, solidarietà e affetto reciproci. Il primo passaggio, dalla familiarità tollerata a denti stretti allo scambio indiscriminato di colpi bassi avviene durante il pranzo natalizio, quando gli incauti genitori comunicano la decisione di andare a vivere con uno qualsiasi dei figli.
Parenti più teneri e devoti avrebbero messo in difficoltà gli sceneggiatori nel raccontare quei sette giorni, che invece trascorrono assai movimentati tra disseppellimento di scheletri diversi, scambio di insulti dietro le porte chiuse, perfidie dette col cuore in mano. Infine (i politici hanno fatto scuola) il "confronto libero e democratico" dà i suoi frutti: fratelli e cognati si ritrovano uniti, solidali, assassini. E svelandosi agli altri, ciascuno ha scoperto se stesso: basta non alzare mai gli occhi e potrà affrontare con tranquillità anche la tragedia del suo quotidiano. Uno scoppio, tra tanti, nella notte di San Silvestro. Una notizia, tra tante, al telegiornale di domani. La voce di Mauro, che infine acquista spazio e tempo reali, ci proietta, con la violenza dell'esplosione, in un `dopo' di normalità ritrovata, di impunibilità garantita nonostante l'inopportuna domanda con cui il bambino chiude il tema.
Conclusione ellittica, ma annunciata come la sola possibile. Nessuna ambiguità onirica; nessuna speranza in un post-finale con i due vecchietti un po' ammaccati e bruciacchiati seduti tra le macerie del salotto. La morte, da sempre angelo custode della commedia monicelliana, è qui l'evento unico del film, certo e definitivo. E il delitto, relativamente alle attese di chi lo compie, risolve e paga.
Adelina Preziosi, SegnoCinema n. 56, 7-9/1992

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Mario Monicelli
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