Immorale (L')
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Regia: | Germi Pietro |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Pietro Germi, Alfredo Giannetti, Tullio Pinelli, Carlo Bernari; scenografia: Carlo Egidi; fotografia: Ajace Parolin; musica: Carlo Rustichelli, Luigi Stocchi; montaggio: Sergio Montanari; interpreti: Ugo Tognazzi (Sergio Masini), Stefania Sandrelli (Marisa Malagugini), Renèe Longarini (Giulia Masini), Maria Grazia Carmassi (Adele Baistrocchi), Gigi Ballista (Don Michele), Marco Della Giovanna (Riccardo Masini), Riccardo Billi (Filiberto Malagugini), Carlo Bagno (signor Malagugini), Lina Lagalla (signora Malagugini), Sergio Fincato (Calasanti), Ildebrando Santafè (Caputo), Cinzia Sperapani (Luisa); produzione: RPA Delphos-Productions Artistes Associès; origine: Italia, 1967; durata: 109'. |
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Trama: | Italia anni Sessanta. Sergio Masini – professore di violino – divide la sua vita tra la famiglia ufficiale: una moglie e tre figli e l'amante completametne assorbito dal duplice ruolo e dall'amore che lo lega ad entrambe le compagne. A complicare ulteriormente la vicenda si inserisce un nuovo amore per una giovane ragazza. |
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Critica (1): | Immaginate Andrea Zaccardí che, al ritorno della moglie e del figlio, anziché troncare definitivamente i rapporti con la ragazza della porta accanto, continua di nascosto a vederla e frequentarla, mantenendo in piedi una relazione irregolare. La situazione, scarsamente probabile nel cinema di Germi degli anni Cinquanta,
ancora legato ai suoi "pregiudizi" antiquati, diventa forse meno impensabile in quello inserito in una realtà che nel giro di quindici anni circa ha fatto grandi passi verso l'emancipazione del costume, dando vigorosi colpi di piccone ai vecchi tabù. È ciò che accade con L'immorale, ennesima incursione del regista nel pianeta della famiglia e dell'etica ad essa legata. Questa volta, ancor più che nei film precedenti, l'autore vi si inoltra condensando una somma di interrogativi che si intrecciano, sollecitando risposte diverse e contraddittorie. Una certa confusione sembra inevitabile, ma la provocazione è indubbia. Questo film sembra fatto apposta non solo per irritare chi chiede risposte - o pone domande - univoche e rigorosamente razionali, ma anche chi del regista Germi si è costruita un'immagine dai contorni definiti. È inevitabile che ciò accada: ogni volta che si toccano temi così profondamente coinvolgenti, le reazioni non possono essere mai blande o ispirate all'indifferenza. Merito di Germi è stato quello di aver sempre proceduto diritto verso i suoi obiettivi, di aver toccato con L'immorale perfino il paradosso, in omaggio ad un'esigenza di sincerità che gli ha attirato forse più antipatie che attestati di solidarietà. Tuttavia questo film ha pur trovato difensori, forse interessati, ma non per questo inattendibili. Tognazzi, ad esempio, che ne è il protagonista lo considera bellissimo, ad onta dell'accoglienza piuttosto fredda - quando non negativa - che esso ebbe in Italia (mentre in Francia, come accade spesso, fu accolto con maggiore attenzione). "Per me L'immorale fu un film bellissimo perché bellissimo era il suo personaggio, con questa grande disponibilità d'amore che aveva solo conseguenze negative. Il rapporto di un uomo con tre mogli, che normalmente è analizzato come un fatto di maschio che se la gode e di un uomo che tradisce, qui era invece analizzato come un uomo che si sacrifica, perché il suo amore era in continuo dare. Le tre donne erano tutte e tre noiose, volevano tutte e tre ricondurlo alla condizione tradizionale". Sergio Masini, quindi, come eroe di una situazione impossibile, accettata tuttavia con estrema naturalezza. Non è la prima volta che Germi si intriga in ipotesi contraddittorie e irresolubili, o risolubili secondo i dettami di una morale di cui i personaggi accettano tutte le premesse, ma nei cui confronti egli si pone in un atteggiamento che se non è certo critico - ciò che non sembra opportuno chiedere ad un regista tanto incline agli umori passionali quanto scarsamente sensibile alle sottigliezze della ragione - è almeno problematico. La situazione da cui il film prende l'avvio è conseguente a quella linea del "grottesco" scelta come chiave interpretativa di una realtà oggettivamente contraddittoria. Quell'uomo che in una clinica è in attesa di diventare padre e che pur tuttavia accompagna la moglie" e "le figlie" alla stazione - nello spazio di tempo concessogli dal ritardo del lieto evento - è personaggio di per sé votato alla contraddizione. Solo una profonda sfasatura con il resto del mondo - la morale corrente, gli istituti consacrati dalla legge - può indurre all'accettazione di un assurdo oggettivo e pur tuttavia non avvertito come tale da chi lo vive come fatto del tutto "naturale". Ma a rendere ancora più insostenibile agli occhi della norma la condizione di Masini è insieme alla sua triplice "bigamia" il suo dividersi equamente fra le tre famiglie con pari disponibilità e generosità. Quella che Tognazzi, volgendo il discorso nel verso moralistico, è portato a considerare come un "sacrificio" di un uomo che riesce a moltiplicare la sua riserva di affetto e a indirizzarla nello stesso tempo verso tre diversi obiettivi, potrebbe anche essere il sintomo di un'assoluta inconciliabilità con il mondo del comune sentire. Ma è questo un versante lungo il quale il regista non si spinge, perché intimamente lontano dai suoi interessi. Il suo intento è tutto risolto nei termini di un discorso di tipo morale, i suoi obiettivi sono gli stessi di sempre: solo che ora risultano più confusi o almeno privi di quella linearità che consente di riassumerli in termini univoci. L'immorale, rispetto alla prova precedente di Signore e signori segna il ritorno di Germi ai temi di carattere intimistico a lui parimenti congeniali. Ma solo in parte, perché il film presenta due aspetti che l'autore non riesce a fondere persuasivamente e che, su un piano strettamente tematico, costituiscono la ragione di maggiore interesse di quest'opera composita e sostanzialmente irrisolta. Si direbbe quasi che tale duplicità rifletta intimamente certa doppiezza tipica del regista, il suo essere spesso razionalmente con modelli di vita emancipati da pregiudizi, falsi miti, meschinità, ma di trovarsi nel contempo invischiato passionalmente con una mentalità che di tale patrimonio raccoglie tutta l'eredità negativa. E così riesce quasi impossibile - come invece accadeva in Divorzio all'italiana - racchiudere in una definizione esaustiva l'obiettivo polemico del film: perché di questo in fondo si tratta, considerata la natura volutamente paradossale dei casi in esso raccontati. Se da un canto sarebbe logico pensare ad una riproposta dell'impossibilità della famiglia secondo il modello tramandato dal passato - e nel contempo mostrarne la "possibilità" secondo schemi che ne capovolgono i tradizionali lineamenti - altri argomenti militano a favore contrario: la famiglia legittima resta pur sempre per Masini il punto di riferimento del suo stato. Ma nello stesso tempo neppure questa riesce indenne dagli strali che Germi le lancia e che dovrebbero perciò giustificare quella necessità del divorzio che, sebbene sottintesa come soluzione della condizione del protagonista, non riesce mai ad emergere come filo conduttore del discorso.
Vito Attolino, Il cinema di Pietro Germi, Elle Edizioni, 1986 |
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