Salò o le 120 giornate di Sodoma
| | | | | | |
Regia: | Pasolini Pier Paolo |
|
Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini e Sergio Citti (da «Les cent-vingt Journées de Sodome» di Donatien-Alphonse-Frangois de Sade); fotografia: Tonino Delli Colli; scenografia: Dante Ferretti; costumi: Danilo Donati; montaggio: Nino Baragli, Tatiana Casini Morigi; musica: a cura di Ennio Moricone (al piano: Aldo Graziosi); interpreti: Paolo Bonacelli (il Duca), Giorgio Cataldi (il Monsignore), Uberto Paolo Quintavalle (l'Eccellenza), Aldo Valletti (il Presidente), Caterina Boratto (Signora Castelli), Elsa De Giorgi (signora Maggi), Héléve Surgère (signora Vaccari), Sonia Saviange (la pianista), Ines Pellegrini (una cameriera), Franco Merli, Lamberto Book, Umberto Chessari, Claudio Ciocchetti, Gaspare Di Jenno, Sergio Fascetti, Bruno Musso, Antonio Orlando (i ragazzi), Olga Andreis, Graziella Aniceto, Benedetta Gaetani, Dorit Henke, Faridah Malik, Giuliana Melis, Renata Moar, Antinesca Nemour (le ragazze), Efisio Etzi, Guido Galletit, Rinaldo Missaglia, Giuseppe Patruno (i soldati), Liana Acquaviva, Tatiana Mogilansky, Giuliana Orlandi, Susanna Radaelli (le giovani), Ezio Manni, Fabrizio Menichini, Claudio Troccoli, Maurizio Valguzza (i collaboratori), Anna Maria Desena, Paola Pieracci, Carla Terlizzi, Anna Reccimuzzi (le serve); produzione: Alberto Grimaldi per PEA (Roma)/Les Productions Artistes Associès (Paris); distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Italia-Francia, 1975; durata: 116'. |
|
Trama: | Quattro Signori, rappresentanti dei poteri della Repubblica Sociale Italiana, il Duca (potere di casta), il Vescovo (potere ecclesiastico), il Presidente della Corte d'Appello (potere giudiziario), e il Presidente della Banca Centrale (potere economico), incaricano le SS e i soldati repubblichini di rapire un gruppo di ragazzi e ragazze di famiglia partigiana o antifascista; dopo una severa selezione, si chiudono con loro in una villa di campagna, arredata con capolavori d'arte moderna e presidiata da un manipolo di soldati nazifascisti. Con l'aiuto di Quattro Megere ex meretrici di bordello, instaurano per centoventi giornate una dittatura sessuale regolamentata da un puntiglioso Codice, che impone ai ragazzi assoluta e cieca obbedienza, pena la morte. Dalla celebre opera del Marchese De Sade. |
|
Critica (1): | «(...) Il principale difetto del film di Pasolini Salò o le 120 giornate di Sodoma è la poca chiarezza dell'impostazione. Il coraggio di presentarci immagini ripugnanti non basta a dare un senso a un film: ci vuole anche la decisione di stabilire quale effetto queste immagini si propongono. La mia impressione è che Pasolini sia rimasto incerto tra tre o quattro impostazioni possibili del film e non abbia osato affrontare la sola che avrebbe avuto un senso. Ne è venuto un film che è fedele alla lettera di Sade più di quanto sarebbe stato necessario ed è troppo lontano dallo spirito di Sade per giustificare questa fedeltà letterale.
Per prima cosa devo dire che l'idea di ambientare il romanzo di Sade ai tempi e nei luoghi della repubblica nazifascista mi sembra pessima da ogni punto di vista. La terribilità di quel passato che è nella memoria di tanti che l'hanno vissuto non può essere usata come sfondo per una terribilità simbolica, fantastica, costantemente fuori dal verosimile come quella dì Sade (e giustamente rappresentata in chiave fantastica da Pasolini).
(...) Il punto di maggior movimento narrativo del film si ha quando si scopre che nella piccola folla sbigottita delle vittime ognuno nasconde un suo segreto amoroso che lo aiuta a sopravvivere. Sono i ragazzi che si denunciano a vicenda sperando di salvarsi la vita. E questo è un segno della corruzione che il potere diffonde; ma ciò che si scopre è anche un'irriducibile riserva d'istinti vitali che si manifestano in tenerezza e calore umano e che l'oppressione non riesce a soffocare. Questo motivo (di cui mi pare che non ci sia traccia in Sade) è cinematograficamente efficace, ma si chiude assai presto con l'immagine che a me pare d'un retorico monumentale: il giovane nudo che muore assassinato levando il braccio col pugno chiuso.
Certo Pasolini ha voluto lasciare qualche porta aperta per una lettura del film ottimista, "umana", incoraggiante (così anche il finale, e la morte della pianista). Ma non c'è proporzione tra questa visione ideale e quel che il film ci mostra veramente. La sostanza del film non può stare in episodi consolatori confinati al margine, ma nella sua rappresentazione d'un mondo ripugnante e corruttore. Se una verità il film ci deve mostrare, dobbiamo cercarla lì e non altrove.
Ricorderò che Sade si preoccupa d'escludere dalle "giornate di Sodoma" ogni pauperismo o miserabilismo; e proprio per questo stabilisce che le sedici vittime siano tutti giovinetti e giovinette di nobile famiglia. Ma molto però insiste sulla corruzione attraverso il denaro. Ed è proprio questo il punto che Pasolini lascia in ombra.
Ora, il solo modo di rendere credibile e attuale la relazione che stabilisce tra i quattro perversi signori e la loro corte era mettere in evidenza che essa ha per suo principale strumento il denaro. Solo così Pasolini sarebbe arrivato a parlare del tema fondamentale del suo dramma: la parte che il denaro aveva preso nella sua vita da quando era diventato un cineasta di successo.
Questo è il dramma della corruzione come sistema: questa è la sostanza dell'opera di Sade, ma che Sade esprimeva con una feroce euforia, mentre in Pasolini è disperazione. In questa disperazione, in questo ribrezzo della corruzione che contagia ogni cosa, sta la verità del film. Ma la mancanza di chiarezza interiore obbliga Pasolini a una serie di manovre diversive, a fingersi come bersaglio un "potere" che più egli cerca di determinare
storicamente più si fa astratto e generico, a accusare tutto il mondo di corrompere e lasciarsi corrompere, tranne se stesso.
Sarebbe bastato riconoscersi per un momento nel mondo che egli accusa per far trovare al film una misura e una linea. E solo così avrebbe ritrovato il senso di Sade, il quale si guardava bene dal mettere in gioco i nostri buoni sentimenti quando si tratta di compiere l'operazione opposta: aprire gli occhi sul mondo tenebroso che è in noi. Un effetto "morale" da Sade si può ricavare solo se la "denuncia" tiene il suo indice puntato non sugli altri ma su noi stessi. Il "luogo dell'azione" può essere solo la nostra coscienza».
Italo Calvino, Corriere della sera, 30 /11/1975 |
|
Critica (2): | «Salò non piace ai fascisti. D'altra parte, essendo Sade diventato per certi tra noi una sorta di patrimonio prezioso, grandi grida: "Sade non ha niente a che vedere con fascismo"! Infine gli altri, ne fascisti, ne sadiani, hanno come dottrina immutabile e conveniente, trovare Sade "noioso". Il film di Pasolini non può dunque raccogliere l'adesione di nessuno. Tuttavia, e con ogni evidenza, ci intriga. Come? Ciò che tocca e si fa sentire in Salò è la lettera. Pasolini ha filmato le sue scene alla lettera, come erano state descritte (non dico: "scritte") da Sade; queste scene hanno pertanto la bellezza triste, ghiacciata, esatta delle grandi tavole enciclopediche. (...) Nel film di Pasolini (questo, credo, propriamente gli pertiene) non c'è nessun simbolismo: da un lato un'analogia grossolana (il fascismo, il sadismo), dall'altro la lettera minuziosa, insistente, esibita, leccata come un dipinto primitivo; l'allegoria e la lettera, ma mai il simbolo, la metafora, l'interpretazione (stesso linguaggio,, ma grazioso, in Teorema).
Tuttavia la lettera ha un effetto curioso, inatteso. Si potrebbe credere che la lettera serva alla verità, alla realtà. Nient'affatto: la lettera deforma gli oggetti di coscienza sui quali dobbiamo prendere posizione. Restando fedele alla lettera delle scene sadiane. Pasolini deforma l'oggetto-Sade e l'oggetto-fascismo: e dunque a ragione che i sadiani e i politic s'indignano e riprovano. I sadiani (i lettori incantati del testo di Sade) non riconosceranno mai Sade nel film di Pasolini. La ragione è generale: Sade non è in alcun modo rappresentabile. (...) Pasolini si è sbagliato anche dal punto di vista politico. Il fascismo è un pericolo troppo grave e insidioso per essere trattato attraverso una semplice analogia, con i signori fascisti che semplicemente prendono il posto dei libertini. Il fascismo è un oggetto costruttivo: ci obbliga a pensarlo esattamente, analiticamente, politicamente; la sola cosa che l'arte può fare, se vi è implicata, è di renderlo credibile, di dimostrare come avviene, non di mostrare ciò a cui assomiglia; in pratica, io non vedo altra maniera che trattarlo alla Brecht. O ancora: è una resposnabilita presentarlo, questo fascismo, come una perversione; chi non dirà con sollievo dinanzi ai libertini di Salò: "Io non sono come loro, non sono fascista, perchè a me la merda non piace"! (...) Fallito come rappresentazione (sia di Sade che del sistema fascista), il film di Pasolini vale come riconoscimento oscuro, in ognuno di noi mal controllato, ma certo imbarazzante: esso imbarazza tutti poichè, in ragione del candore proprio di Pasolini, esso impedisce a chiunque di sdoganarsi. E per questo che mi chiedo se, al termine di una lunga catena d'errori, il Salò di Pasolini non sia, in fin dei conti, un oggetto propriamente sadiano; assolutamente irrecuperabile: nessuno in effetti sembra poterlo recuperare».
Roland Barthes, Le Monde, 15/6/1976 |
|
Critica (3): | |
|
Critica (4): | |
| |
| |
|