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Sherlock Jr. - Sherlock Jr.


Regia:Keaton Buster

Cast e credits:
Sceneggiatura: Clyde Bruckman, Jean C. Havez, Joe Mitchell; fotografia: Byron Houck, Elgin Lessley; musiche: Steve Kirk , Myles Boisen, Sheldon Brown, Beth Custer, Nik Phelps (Club Foot Orchestra); scenografia: Fred Gabourie; interpreti: Buster Keaton (proiezionista) Kathryn McGuire (la ragazza) Joe Keaton (suo padre) Erwin Connelly, Ward Crane, Horace Morgan, Ruth Holly, Jane Connelly, John Patrick; produzione: Joseph M. Schenck per la Metro Pictues Corp.; origine: Usa, 1924; durata: 44’.

Trama:Un operatore che sta studiando per diventare detective, s'innamora di una ragazza. Quando lui si dichiara, il rivale lo fa incriminare per un furto ai danni del padre di lei. Molto arrabbiato per l’accaduto, l'operatore mentre è al lavoro, sogna di fare il detective per scoprire il vero artefice del furto. Sarà la sua amata a far luce sull'intera vicenda...

Critica (1):Insieme a The Playhouse, Sherlock Jr. è il film che più di ogni altro mette in scena il rapporto fra cinema, sogno e realtà. René Clair, allora anche critico cinematografico, scrive che il film svolge per il cinema un ruolo «paragonabile a ciò che furono per il teatro i Sei personag­gi in cerca d'autore di Pirandello»; Benayoun lo paragona a «un saggio teo­rico quale avrebbero potuto concepirlo i cineasti dell'avanguardia france­se». Ovviamente non c'è nulla, nel film, di apertamente provocatorio, non ci sono sottolineature o compiacimenti metalinguistici: (...) Keaton non è un intellettuale; la sua non è mai una poetica dichiarata, esplicita, enfatizzata, né dentro, né fuori dal film; è piuttosto una pragmatica, che si giustifica da sé, attraverso il semplice, evidente intreccio narrativo fra storia e gag. Anche gli intenti parodici sono appena accennati (due anni prima John Barrymore ha interpretato Sherlock Holmes, l'aiutante di Sherlock Jr. si chiama Gillette, come l'attore che per primo ha interpretato il noto personaggio di Conan Doyle nel cinema americano).
L'inserto onirico non ha nulla di gratuito, né concede nulla alle divaga­zioni. Il racconto è perfettamente simmetrico (il parallelismo fra le due storie, quella vera e quella sognata) e narrativamente inesorabile: BK compra una scatola da 1 dollaro da regalare alla ragazza e per fare bella figura corregge il prezzo, trasformando il numero 1 in 4; il suo rivale ruba un orologio e lo impegna al Banco dei Pegni, ricevendo uno scontri­no da 4 dollari che infila in tasca del povero BK che viene conseguente­mente accusato. È il già ricordato meccanismo della ritorsione, tipico di
tanta comedy.
Una sequenza è diventata giustamente famosa, quella in cui il proiezio­nista si addormenta, si sdoppia e la sua immagine onirica entra nello schermo subendo un primo trauma nel continuo cambiamento di spazi imposto dal montaggio: un giardino, una strada, una tana di leoni, un oceano, un deserto (ammirevole, tra l'altro, è la precisione tecnica della realizzazione, ottenuta grazie a una retinatura millimetrica dell'obiettivo che permette a Keaton di conservare la stessa posizione anche quando cambiano le immagini attorno a lui). «Nel mondo magico del film (che è poi quello del sogno; le due cose in Sherlock Jr. coincidono) non c'è il tempo di abituarsi agli sfondi, ché questi sono intercambiabili come in un caleidoscopio. Sempre più vertiginosa e surreale, la sequenza si trasforma davanti a Buster, anzi dietro di lui» (Fink), portandolo in un mondo incerto e sfuggente, come il mondo oltre lo specchio di Alice.
La tecnica per Keaton non è solo la precisione millimetrica applicata a un gioco di imitazione. In questo caso è la portatrice di un inganno, di uno scambio, ovvero dell'essenza stessa del cinema: lo spettacolo – come il sogno – è ingresso propriamente fisico in un mondo costruito a imitazio­ne del nostro, ingannevole perché inimitabile, ma anche un «vorticoso meccanismo (...), un mondo caotico, assurdo, una geometria pentadimen­sionale, uno spazio che non è curvo e tranquillizzante, ma irregolarmente decagonale, i cui lati sono tanti specchi rivolti al centro. Così, il cinema è la follia dove tutto è attuabile, la possibilità assoluta, totale, laddove la realtà diventa di necessità squallidamente univoca. Nessuna meraviglia, allora, che, parafrasando Wilde, la realtà imiti il cinema» (La Polla).
Reazioni? Nessuna, nemmeno lo stupore che avrà la Mia Farrow della Rosa purpurea del Cairo. L'eroe keatoniano accetta tutto, imperturbabile come sempre. Viviamo nella civiltà delle immagini, dopo tutto, e di que­sta «erosione dei confini» non c'è da stupirsi più di tanto.
Giorgio Cremonini, Buster Keaton, Il Castoro Cinema, 9/1995

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Critica (3):

Critica (4):
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