Tampopo - Tampopo
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Regia: | Itami Jûzô |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Jûzô Itami; fotografi a (colore): Masaki Tamura; montaggio: Akira Suzuki; scenografia: Takeo Dura; costumi: Emiko Kogo; musica: Kunihiko Murai; interpreti: Tsutomu Yamazaki (Goro), Nobuko Mivamoto (Tampopo), Kôji Yakusho (il gangster col vestito bianco), Ken Watanabe (Gun), Rikiya Yasuoka (Pisken), Mampei Ikeuchi (Tabo), Yoshi Kato (maestro della preprarazione dei ramen), Shuji Otaki (il vecchio ricco), Yoriko Doguchi (l'amante del vecchio ricco); produzione: Itami Productions, New Century Producers; distribuzione: DAK; origine: Giappone, 1986; durata: 114. |
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Trama: | Tampopo è il nome di una vedova proprietaria di un posto di ristoro in cui si cucinano i "ramen" (spaghetti giapponesi). Con l'aiuto del camionista Goro il suo ristorante diventerà il più noto della città. |
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Critica (1): | Èla struttura narrativa, in primo luogo, che conferisce al film di Itami il suo fascino inusuale quanto innegabile. Se, da una parte, il titolo centra giustamente l'attenzione sul personaggio la cui evoluzione costituisce la vicenda portante, nello stesso tempo occorre osservare come, di primo acchito, la conoscenza con la giovane vedova alle prese con i problemi legati alla sopravvivenza della sua piccola trattoria specializzata in ramen avvenga non in modo diretto, ma mediata da alcuni "filtri" narrativi, che contribuiscono irrimediabilmente alla costruzione di un tono complesso e di un'aspettativa che supera prontamente l'ovvietà relativa al meccanismo - "boy meets girl", in apparenza esibito secondo i canoni usuali.
Un "prologo" si antepone all'incontro di Goro con Tampopo: un personaggio appariscente, vestito di bianco, accompagnato da alcuni scagnozzi sempre pronti a menar le mani quanto a servirlo, entra in una sala cinematografica insieme a una bella fanciulla, a sua volta biancovestita, con ogni evidenza la sua amante, e si siede in prima fila. La sua guardia del corpo gli prepara immediatamente un piccolo tavolino coperto da raffinatezze commestibili, mentre lui se la prende - prima a parole e poi nei fatti - con quegli spettatori dozzinali che hanno la plebea abitudine di assistere ai film sgranocchiando patatine e stuzzichini di tal genere. Dopo un ulteriore sermone sul luogo comune circa i ricordi che passano negli occhi di un moribondo come immagini di un film", e sulla conseguente improntitudine di chi, standogli vicino, tenti di distrarlo da questa "versione" chiamandolo e invocano una sua reazione contro la morte sopravveniente (sermone premonitore quanto portatore di indubbia simpatia sul personaggio da parte di quanti non sopportano commenti di ogni tipo nel corso della loro privata visione cinematografica: la sala é pubblica, d'accordo, ma questo non dovrebbe togliere il diritto ai singoli "sognatori" che la popolano di fare esperienze delle proprie visioni senza intrusioni sconsiderate da parte dei vicini) il film prende il suo avvio. Si tratta peraltro di un prologo in cui l'umorismo comunicato dalla situazione particolare sembra velare pudicamente una profonda serietà relativa ai discorsi che lo attraversano, e che si conclude ambiguamente con la battuta "il nostro film sta per iniziare", dove "nostro" significa non solo "film a cui stiamo per assistere", ma anche "a cui stiamo per partecipare", dal momento che il gangster e la sua bella vi ritorneranno come personaggi dal destino parallelo a quello di Tampopo e dei suoi amici. Ed eccoli, subito dopo, Goro e Gun, i due camionisti che in una notte di pioggia stanno per approdare al locale della donna che saprà conquistare la loro simpatia e il loro aiuto.
L'incontro viene preceduto e senza dubbio motivato dalla lettura di un libro in cui si descrive l'arte della degustazione del ramen, il cui "climax" costituisce una delle sequenze più significative del film: sotto il segno di tale sequenza occorre guardare tutto ciò che seguirà, fino al trionfo finale della cucina di Tampopo medesima.
II testo - Tampopo si concede a più riprese alla frattura, alla divagazione, all'apertura di "parentesi" da cui atri personaggi, altre storie affiorano ed ammiccano, con l'espediente della biforcazione narrativa a partire dall'incrociarsi casuale del racconto principale, che ricorda la struttura buñueliana di Il fantasma della libertà. Così la sequenza che muove a partire dal footing di Tampopo e Goro, che prosegue sulle tracce del gruppo di uomini d'affari in procinto di recarsi al ristorante (dove si assiste al gag del giovane portaborse, apparentemente sprovveduto, ma capace di gustarsi un pranzo delizioso alla faccia degli incolti manager, che si troverebbero evidentemente più a loro agio in una qualsiasi mensa aziendale), e poi gli , seguendo il cameriere, ci fa partecipi disastroso iter di una lezione di "buone maniere occidentali" guastata proprio da un esempio pratico che un occidentale presente dà inconsapevolmente tanto alle giovani allieve quanto alla loro insegnante. Itami non é uno sprovveduto; uomo di cultura (saggista e traduttore dall'inglese, conoscitore della cultura occidentale oltre che di quella del suo paese), cresciuto nel cinema (figlio di uno dei pionieri del cinema giapponese, attore in film di Oshima, Ichikawa, Morita, ma anche in 55 giorni a Pechino di Nicholas Ray e in Lord Jim di Brooks), é evidentemente consapevole del rischio insito in un'operazione filmica come quella costituita da Tampopo: i riferimenti europei (dal già ricordato Buñuel a Ferreri, alla rilettura "nouvelle vague del B movie americano) sono accortamente filtrati nello staccio dello humour esercitato su situazioni e personaggi profondamente giapponesi, capaci personaggi riflettere - nel loro apparire, nei loro riferimenti comportamentali - la complessità del rapporto oggi esistente tra civiltà euroamericana. Da questo punto di vista, il personaggio del gangster vestito di bianco si rivela con ogni evidenza centrale, elemento chiave del discorso, punto di incontro in cui si incrociano queste tensioni culturali: nel suo atteggiarsi, innanzitutto, risultato di un incrocio evidente tra la figura dello yakuza tradizionale e del gangster di importazione hollywoodiana, ma anche nella possibile lettura tutta "occidentale" della simbologia erotico - gastronomica che lo ossessionava (fatto salvo, naturalmente quel momento di intenso lirismo costituito dalla degustazione mattutina di un'ostrica appena pescata, il cui riferimento profondo alla sensibilità orientale é immediatamente visibile).
Adriano Piccardi, Cineforum n. 288, ottobre 1989 |
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