Bande à part
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Regia: | Godard Jean-Luc |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Jean-Luc Godard; soggetto: dal romanzo Fool's Gold di Dolores Hitchens; fotografia: Raoul Coutard; montaggio: Agnès Guillemot, Frangoise Collin; musica Michel Legrand; suono: René Levert, Antoine Bonfanti; speaker: Jean-Luc Godard; interpreti: Anna Karina (Odile Monod), Claude Brasseur (Arthur Rimbaud), Sami Frey (Franz), Luisa Colpeyn (Madame Victoria), Danièle Girard (l'insegnante di inglese), Ernest Menzer (lo zio di Arthur), Chantal Darget (la zia di Arthur), Michèle Seghers (allieva), Claude Makovski (allievo), Georges Staquet (legionario), Michel Delahaye (usciere); produzione: Anouchka Films/Orsay Films, Parigi; distribuzione: Movies Inspired; origine: Francia, 1964; durata: 95'. |
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Trama: | Arthur e Franz, due cinici parigini, sono a corto di denaro. Incontrano Odile ad un corso di inglese e la giovane si lascia sfuggire che un pensionante di sua zia Victoria custodisce una grossa somma di denaro in un armadio. I due sono attratti entrambi dalla ragazza, ma molto di più dal denaro e progettano di fare un colpo. I due convincono Odile a diventare loro complice. La giovane, dapprima riluttante, accetta, anche perché infatuata di Arthur, ma le cose non andranno nel modo previsto... |
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Critica (1): | Il primo film di Godard nel 1965 è Bande à part, un «western da banlieue», come è stato definito. Un personaggio che si chiama Arthur Rimbaud sogna di morire come Billy the Kid. Strane commistioni in effetti percorrono tutto il film: Queneau e France-soir, Aragon e le « strisce » dei fumetti.
In Bande à part c'è un po' di tutto. Ero influenzato dal film che avevo appena terminato, Le mepris, nel senso di prendere maggior distanza rispetto ai personaggi e nello stesso tempo avvicinarmici di piú. In definitiva ho conservato un aspetto di Vivre sa vie. Si trattava anche di riprendere i personaggi di A bout de souffle, piú popolari forse.
Sì, Bande à part è essenzialmente ed esplicitamente un film popolare, o un film sulla cultura popolare in opposizione alla cultura « seria ». Il soggetto stesso è tratto da un giallo, Fool's Gold, pubblicato in Francia nella economica « série noire ». Vi si narra di Odile (Anna Karina) che rivela a Franz (Sami Frey), uno studente in lingue, di un suo misterioso coinquilino, che vive con una zia e con una custode e che sembra tener nascosta, nella sua camera, una grande somma di denaro. Franz e il suo amico Arthur (Claude Brasseur) studiano il piano per compiere il furto e persuadono Odile a collaborare. Ma i parenti poco raccomandabili di Arthur, venuti a conoscenza del colpo, vogliono anch'essi parteciparvi. La rapina contro Madame Victoria rimasta a custodire la casa si trasforma in una tragica farsa. I soldi non si trovano, e verranno scoperti da Arthur solo alla fine, nascosti nella cuccia del cane; Arthur stesso morirà colpito dai suoi parenti. Mentre Stolz, di ritorno, si congratula con Madame Victoria, i superstiti Odile e Franz partono, in un assurdo happy end, per i mari del Sud.
Si è trattato di fare un film come agli inizi, cioè un film da poco, a basso costo e girato in poco tempo, che accordasse importanza cosí al personaggio come alla maniera in cui lo si fa agire. Un film che corrispondesse ai film di serie B che amo nel cinema americano.
E del cinema a buon mercato Bande à part ha tutte le caratteristiche esteriori. Dal romanzo di partenza ogni componente psicologica, ogni approfondimento sono eliminati, per lasciare solo un'ossatura caotica e sconnessa. Il cinema non tende piú, per Godard, a sottrarre l'anima alle cose, come suggeriva ancora in Vivre sa vie la lettura del racconto di Poe. Esso si limita a scorrervi in superficie, a coglierne alcuni aspetti esterni. Realtà, i romanzo e film non si confondono annullandosi reciprocamente, ma si scambiano solo frammenti. Ad una cultura classica che vuole essere onnicomprensiva, museificando la realtà, Godard risponde proponendo la de-gradazione e la rapina di quella cultura. La sequenza centrale del film è allora probabilmente quella, esilarante, in cui i tre amici, in attesa che scocchi l'ora del colpo, effettuano una visita « contro il tempo » al museo del Louvre, correndo all'impazzata per le varie sale: ironizzazione della cultura di massa con le sue visite guidate, certo, ma anche dissacrazione del tempio dell'arte. La cultura popolare si prende la rivincita nelle forme che le sono specifiche: una poesia di Aragon si trasforma in canzonetta cantata nel métro, e in un bar i tre amici invece che discutere di filosofia come negli altri film di Godard eseguono una serie di passi di danza: i testi shakesperiani su cui, nella prima parte del film, si applicavano i tre nelle loro lezioni d'inglese sono dimenticati. Ma una delle componenti della cultura popolare rimane la tendenza al sogno e all'illusione. Se i personaggi di Bande à part vivono coltivando sogni, Godard da parte sua vuole introdurre la riflessione e il distacco critico nel mondo del fantastico. Cosí la storia è narrata dalla voce fuori campo dello stesso Godard, che non perde occasioni per ricordare continuamente allo spettatore che sta assistendo alla proiezione di un film, per impedirgli di calarsi a sua volta nel sogno. Cosí, a dieci minuti dall'inizio del film, lo si sente dire, interrompendo il commento: « Per gli spettatori che sono entrati in questo momento nella sala . . . » e viene gentilmente offerto un breve riassunto di quel che si è visto, come aiuto ai ritardatari per entrare nel mondo dell'illusione, e a tutti gli altri per uscirne.
Bande à part è, a detta di Godard, un film « molto triste, sentimentale e romantico ». Forse questo tono gli viene dal suo collocarsi ai limiti di una stagione di cui annuncia la chiusura, pur senza interromperla con irriducibili fratture. Riassume, infatti, un certo stile e una certa struttura comuni a quasi tutti i film di Godard finora accostati. Conserva la fiducia nel racconto, negli sviluppi di una trama che, pur disarticolata, resta essenziale, al punto da esigere improbabili finali e aperture sul « dopo », sulla sorte futura dei personaggi. Inoltre si imposta, come quasi tutti i primi film di Godard, su una opposizione elementare di base, suscettibile di enfatizzazioni filosofiche (tipo vita/morte, ordine/disordine, ragione/immaginazione, ecc.). Si modella poi come calco, in positivo o in negativo, di uno schema o di un genere cinematografico già esistente e da « rivisitare ». Non mancheranno, anche negli anni successivi, altri film che, riassumendo tutte queste componenti, ben si potrebbero definire « romantici »: e Pierrot le fou ne sarà forse l'esito finale e piú armonioso. (…)
Alberto Farassino, Jean-Luc Godard, Il Castoro cinema, 3/1974. |
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