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Buono, il brutto, il cattivo (Il)


Regia:Leone Sergio

Cast e credits:
Soggetto: Luciano Vincenzoni, Sergio Leone; sceneggiatura: Age, Furio Scarpelli, Luciano Vincenzoni, Sergio Leone; fotografia: Tonino Delli Colli; musiche: Ennio Morricone, dirette da Bruno Nicolai - fischio di Alessandro Alessandrini; montaggio: Nino Baragli, Eugenio Alabiso; scenografia: Carlo Simi; costumi: Carlo Simi; effetti: Eros Cacciucchi; interpreti: Clint Eastwood (Joe, il buono), Eli Wallach (Tuco, il brutto), Lee Van Cleef (Sentenza, il cattivo), Luigi Pistilli (Padre Ramirez), Aldo Giuffré (ufficiale nordista), Rada Rassimov (Maria, la prostituta), Chelo Alonso (contadina messicana), Mario Brega (caporale fallace), Antonio Casas (John), Lorenzo Robledo (Jeff); produzione: Alberto Grimaldi per P.E.A. Cinematografica; distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Italia-Spagna,1966; durata: 161’.
Riedizione 1977

Trama:Mentre divampa la guerra di secessione, tre uomini privi di scrupoli e di ideali vivono ai margini della legalità: Tuco, il Brutto, Joe, il Buono e Sentenza, il Cattivo. Sentenza è da tempo sulle tracce di una grande quantità d'oro nascosta dal temibile Bill Carson al sicuro dentro una tomba. Per uno scherzo del destino, però, è il Buono a scoprire il nome scritto sulla tomba e il Brutto a individuarne l'ubicazione. Così i tre uomini, che si odiano e non si fidano l'uno nell'altro, sono costretti ad iniziare insieme le ricerche, legati dal destino e dalla stringente necessità di sorvegliarsi l'un l'altro giorno e notte. Nel cimitero, i tre si affrontano nel duello decisivo: dopo aver eliminato il Cattivo, Il Buono deride il Brutto per poi lasciarlo in vita, malconcio, spaventato a morte e con una tale quantità di monete d'oro che non riuscirà mai a spendere e forse neppure a trasportare.

Critica (1):Per completare la trilogia sulla prima frontiera americana, e per sfuggire ancora una volta al rischio della ripetizione, Leone aumenta il numero dei protagonisti da due a tre. Come Eastwood aveva ceduto il passo a Van Cleef in Per qualche dollaro in piú, Eastwood e Van Cleef devono cederlo a Eli Wallach in Il buono, il brutto, il cattivo. Wallach non è nuovo a esperienze nel western: la sua caratterizzazione del bandito Calvera in The Magnificent Seven e quella di Charlie Gant (ancora un fuorilegge) in How the West Was Won (La conquista del West, 1963) di Hathaway, Marshall e Ford, devono certo aver influito sulla scelta di Leone (che aveva anche intuito come l'attore potesse offrire il "risvolto" comico necessario al tono del film).
Un'altra novità è l'irruzione massiccia della Storia ufficiale, sotto forma di guerra di Secessione. Ma piú ancora è singolare la collocazione del film all'interno della trilogia. L'autore sembra voler suggerire un andamento ciclico che potrebbe non aver mai fine: se nei primi due film si poteva intuire la guerra già conclusa, qui la troviamo in atto. Piú che di un'ultima parte, insomma, si tratterebbe di un antefatto. A conferma di ciò, il personaggio di Clint Eastwood (la costante che lega i tre film) non si presenta con il consueto abbigliamento: invece del poncho, indossa un lungo soprabito. Alla fine, disfattosi del soprabito, "trova" un poncho, il suo poncho, e lo indossa giusto in tempo per il duello conclusivo, tornando ad essere anche esteriormente il personaggio di sempre. (…)
« Qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda ». È il celebre adagio che conclude The Man Who Shot Liberty Valance di John Ford, dichiarazione di intenti che riassume il senso di tutta l'epopea del West: non è detto che quei fatti siano accaduti, ma dal momento che sono stati tramandati cosí e che la gente ci ha creduto, diventano veri. E Leone, che ha sempre ritenuto Ford un ottimista e se stesso un pessimista, non poteva non capovolgere l'affermazione sostenendo che nel West, quando comincia a soffiare il vento della Storia, tocca al mito farsi da parte. È l'idea che sostiene Il buono, il brutto, il cattivo, terzo e ultimo atto della cosiddetta "trilogia del dollaro". Le azioni dei protagonisti si svolgono per la prima volta su un preciso sfondo storico, la guerra di Secessione. Dal confronto con la Storia deriva il senso di morte imminente che attraversa tutto il film e che si riferisce non tanto ai massacri della guerra, o alla piú artigianale violenza dei personaggi "privati", quanto proprio alla conclusione di un'epoca, di una leggenda e anche di un tipo di cinema. Dopo Il buono, il brutto, il cattivo, il cinema di Leone cambierà obiettivi e procedimenti: affronterà tempi più ampi e condurrà ricerche tecniche piú approfondite.
L'idea del film fu suggerita a Leone dalla autodifesa che Chaplin fa pronunciare a Monsieur Verdoux nel film omonimo (1947): di fronte ai massacri voluti dai potenti del mondo, che cosa sono i delitti artigianali di un singolo? O meglio, è giusto definire « mostro » un uomo come Verdoux e chiamare « grandi » gli artefici della Seconda Guerra Mondiale? Leone non nega che il Biondo, Tuco e "Sentenza" siano assassini, ma quanto lo sono se inquadrati sullo sfondo della guerra di Secessione? E poi, loro uccidono per un motivo concreto, una cassa di dollari. Ma i soldati per che cosa muoiono? È Tuco stesso a porsi la questione quando, di fronte al massacro di Legstone, commenta: « Mai visto tanta gente morire tanto male ». La morte è sempre morte, ma davanti agli stermini di massa i delitti dei tre killer assumono l'aspetto di un macabro gioco. Ed è proprio l'aspetto del gioco a diventare essenziale nel film, sia all'interno della storia che, piú genericamente, nella composizione della sceneggiatura (la piú complessa e articolata di tutti i western dell'autore). Il buono, il brutto, il cattivo è concepito come una caccia al tesoro (o un gioco dell'oca) con tre pedine e una serie interminabile di ostacoli e penitenze. Il numero ricorrente del gioco è il 3.
Sono tre i killer che tentano di uccidere Tuco nella sequenza d'apertura; tre i compari (Stevens, Becker e Jackson) che sottraggono l'oro all'esercito; tre le sagome di pellerossa cui Tuco spara per provare la nuova pistola formata con i pezzi di tre differenti armi (gli indiani mancano completamente nei film di Leone, e gli unici che si vedono sono finti); tre gli uomini di Tuco quando, in paese, ritrova il Biondo e cerca di impiccarlo; tre le volte in cui Tuco infila il collo in un cappio e altrettante quelle in cui il Biondo spara alla corda; tre i cacciatori di taglie che minacciano il messicano un attimo prima dell'entrata in scena del Biondo; tre, infine, i protagonisti che, per risolvere la loro guerra personale, non possono che affrontarsi in un duello a tre, per l'occasione ribattezzato « triello ». Questa ricorrenza di sapore cabalistico dà l'esatta immagine del film: un triangolo con i protagonisti ai vertici e il tesoro al centro. Il buono, il brutto, il cattivo, minuto piú minuto meno, dura tre ore, e a ognuno dei tre protagonisti è dedicata, comprese le parti comuni, un'ora di racconto. (…)
La morte, compagna inseparabile del cinema di Leone e del cammino dei suoi personaggi, diventa nel «triello» protagonista assoluta. Il tesoro cui tutti dànno la caccia è nascosto in una tomba; la resa dei conti ha luogo su uno spiazzo circolare al centro del cimitero, quasi che i morti ne fossero testimoni, giudici o anche semplici spettatori. "Sentenza, colpito dalla pallottola del Biondo, cade in una fossa vuota, che il destino aveva preparato appositamente per lui; il Biondo, passandogli davanti, spara alla pistola e al cappello, e li manda a raggiungere "Sentenza" nella fossa (cappello e pistola: accessori simbiotici del cowboy, che neppure un nemico oserebbe separare dal padrone, anche se morto); e il lungo, interminabile finale con il faticoso equilibrio di Tuco sulla croce di legno, la corda al collo, al cospetto dei sospirati 100 mila dollari. Tutto questo, insieme all'eco delle cannonate della Storia, suona come una marcia funebre per il West della conquista, irrimediabilmente finito. (…)
Francesco Mininni, Sergio Leone, Il Castoro cinema, 1-2/1989

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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