Cosmonauta
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Regia: | Nicchiarelli Susanna |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Susanna Nicchiarelli, Teresa Ciabatti; fotografia: Gherardo Gossi; musiche: Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo, Max Casacci; montaggio: Stefano Cravero; scenografia: Alessandro Vannucci; costumi: Francesca Casciello; interpreti: Claudia Pandolfi (Rosalba), Sergio Rubini (Armando), Miriana Raschillà (Luciana), Pietro Del Giudice (Arturo), Susanna Nicchiarelli (Marisa), Angelo Orlando (Leonardo); produzione: Domenico Procacci per Fandango in collaborazione con Rai Cinema; distribuzione: Fandango; origine: Italia, 2008; durata: 85’. |
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Trama: | È il 1957, la cagnetta Laika è stata appena mandata nello spazio dai sovietici, Luciana ha nove anni e sul più bello scappa dalla cerimonia della comunione: "Io là non ci torno perché sono comunista!". È stato suo fratello più grande a trasmetterle la passione per la politica: un ragazzo strano, Arturo, che vive in un mondo tutto suo, forse per colpa delle medicine che prende per l'epilessia … è fissato con l'Unione Sovietica e soprattutto con la corsa allo spazio, tanto che parla solo di quello, e crescendo Luciana comincia a vergognarsi di questo fratellone un po' bizzarro. In famiglia poi, la ragazza non fa altro che litigare: Luciana non sopporta il patrigno, la sua casa, i suoi soldi, e il modo in cui cerca di farle da padre. Ed è nella sezione locale della FIGC che Luciana fa tutte le esperienze fondamentali nella vita. Tuttavia lei è troppo impulsiva e spregiudicata, anche per i suoi compagni di partito e si troverà a scontrarsi con il sessismo e i pregiudizi degli altri. Suo fratello Arturo, un tempo sempre presente, non le potrà essere accanto, ma Luciana troverà lo stesso la forza dentro di sé – e nell'ammirazione per la prima donna cosmonauta, Valentina Tereshkova – per andare avanti... |
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Critica (1): | «Astronauta se è americano. Ma se è sovietico si dice cosmonauta». Nei 6 anni tra il 1957 e il 1963, a Roma, borgata Trullo, sezione Pci, ambiente Fgci (i più beatnick, all'epoca), passò la Storia. Un film cerca di catturare la scultura interiore, complicata, del momento. E quasi ci riesce, Cosmonauta. Ma la conquista dello spazio non è uno scherzo. Dal Trullo, quartiere rosso, fascisti, pugilotti a pagamento, polizia e carabinieri erano tenuti ben a distanza. Dal Trullo partì Pasolini e il '68, non La notte prima degli esami. Del '63 è Come si agisce di Balestrini, non lo slogan «morte al Psi!» inventato dalla sceneggiatrice Teresa Ciabatti, come fosse un gioco da ragazze. Comunque l'idea di partenza è geniale. La grande sfida tra Usa e Urss, tra dc spacconi e comunisti appena riemersi dopo l'apnea maccartista, viene osservata intelligentemente, nell'opera prima di Susanna Nicchiarelli (factory Moretti dei Diari), non solo attraverso il conflitto (preme, nel fuori campo) tra borghesi e classe operaia, ma attraverso la gara spaziale Usa-Urss. Dallo Sputnik 1 all'Explorer, dal Nautilus sotto il Polo a Yuri Gagarin che compie, nel 1961, la prima gita nello spazio attorno alla terra sulla sua navicella Vostok 1... E poi Valentina Tersckhova, dal fisico da ballerina snodabile, e prima la cagnetta Laika, e altri animali, animaletti e insetti caduti o sopravvissuti (come ci racconta un cartoon zen collegato al film). Non mancano ottimi materiali di repertorio, alcuni non Rai, ma sono teenagers. Luciana (9-15 anni), Mariana Raschillà all'esordio, ben dominato, e Arturo il fratello maggiore, epilettico e sformato dai farmaci (Pietro Del Giudice, più che perfetto) ereditano la passione pacificamente rivoluzionaria dal padre, prematuramente scomparso, e si battono soli, in casa e fuori, contro tutti: un partito che sembra già sbalestrato tra Stalin e resa, la Fgci maschilista di Occhetto già sterminator, burocrati perbenisti che già addestrano al carrierismo servile e puritano (a cui Angelo Orlando e Susanna Nicchiarelli regalano corpi di dolce ottusità), la mamma bigotta (Claudia Pandolfi, perfettamente irritante). Rispondono, i ragazzi, con fughe improvvise, esperimenti di fuoco in terrazzo, no alla comunione, no al rimatrimonio di mamma con un orrendo putrido fascio (Sergio Rubini, perfetto), no ai suoi soldi, impertinenze sessuali... gesti squadristici.
Il tutto nell'arco di tempo che va da Tambroni ministro dell'interno (poi cacciato a pietrate dai ragazzi con le magliette a strisce), fino al primo governo Moro, al successo elettorale del Pci, al Vaticano II e alla morte del Papa buono e John Kennedy, passando per la Cee, la nazionalizzazione dell'industria elettrica, il partito radicale che lascia il Pli, il muro di Berlino, il martirio di Lumumba, cui contribuirono i nostri eroici caschi blu, l'insorgenza dell'Fln algerino.....Si tace di ciò. Ma come raccontare ai ragazzi d'oggi del dimenticato e arcaico mondo dei Quaderni Piacentini e Rossi, di Togliatti nemico del «centro-sinistra» e dei cinesi che rompono con Mosca? Che lo leggano su wikipedia, mica siamo ideologici. Perché qui si racconta, con tono di fiaba, di un distacco, salubre – aizzato dalla cabina regia – da due chiese passatiste, la cattolica e la marxista, da parte di due orfani che devono affrontare il mondo con le loro gambe. Ecco perché le canzoni popolari italiane dell'epoca, «Cuore», «Cuore matto», «E la pioggia che va», «Io che amo solo te» - un must per morettiani, rock è brutto, droga - qui vengono stropicciate come da uno specchio deformante e rallentante, liquefatte della grana fotografica e a luci fioche, di Gherardo Gossi, co-orchestratore nostalgico.
Roberto Silvestri, Il Manifesto, 19/9/2009 |
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Critica (2): | Laddove avevano osato proiettarsi soltanto Astolfo per recuperare il senno dell'Orlando ormai furioso, i soci del Gun Club di Baltimora di Jules Verne («Dalla Terra alla Luna»), Mister Bedford insieme allo stralunato (è il caso di dirlo) dottor Cavor di H.G. Wells («I primi uomini sulla luna») e gli ipercinetici astronomi imbarcati su un proiettile da Georges Méliès (Le voyage dans la Lune), là, nel tentativo di raggiungere quella scabra e misteriosa superficie, si era trasferita, ad un certo punto, la più grande e stridente rivalità tra opposte ideologie di tutto il Ventesimo Secolo. Sfioratisi più volte sulla Terra, arrischiatisi lungo paralleli da solcare vicendevolmente per tornare agli auspicabili equilibri di una coesistenza pacifica, Stati Uniti e Unione Sovietica avevano spostato l'asticella delle proprie performance al di là dell'atmosfera, lungo ellissi orbitali che avrebbero esaltato l'immaginario fino allora soltanto terracqueo di molti comuni mortali e sollecitato domande più ampie e vertiginose sull'origine umana e su un nuovo cammino possibile. Era il 4 ottobre 1957 quando iniziò ufficialmente il programma spaziale sovietico con il lancio del primo satellite artificiale Sputnik: impiegò poco più di un'ora e mezza per compiere la sua orbita intorno alla Terra, ma l'eco dell'impresa si propagò ad ogni latitudine. Herb Caen, vivace polemista del «San Fancisco Chronicle», ribattezzò con il furto del suffisso “nik” l'assonanza con il neonato movimento Beat, fresco della pubblicazione del suo manifesto, «Sulla strada» di Jack Kerouac, foriero di non meno complesse gravitazioni esistenziali. John Fitzgerald Kennedy cominciò a nutrire la speranza di commutare la Frontiera verso Ovest, ormai esauritasi storicamente (ma nel periodo più fecondo nella sua traduzione cinematografica), in un nuovo limite possibile verso l'ignoto delle «speranze incompiute e dei sogni», come disse ufficialmente nel discorso alla Convention democratica del luglio 1960 che ne sancì la candidatura alla Casa Bianca. Chi osservava dal basso, dalla sua finestra aperta verso il firmamento, poteva anche permettersi di sognare la supremazia della visione comunista sull'informale imperialismo capitalista, e di innalzare la povera cagnetta Laika, i due più fortunati cani (in compagnia di 40 topi, due ratti e un'articolata varietà di vegetali, come ci ricorda anche il curioso cortometraggio animato che fa da prologo al film, una sorta di «Fattoria degli animali» che ha metabolizzato anche il potere personale dello staliniano Napoleon) e il leggendario Jurij Gagarin, l'infallibile Fetonte dell'epica sovietica, a mirabile esempio di una superiorità che presto sarebbe stata dimostrata anche nell'ambito della politica interna (senza contare Valentina Tereskova, prima donna nello spazio, incarnazione ideale di auspicabili pari opportunità). Il Cosmonauta (contrapposto al capitalista Astronauta, più consono forse alle stelle che adornano la sua bandiera) come l'Eroe che si erge per un breve istante dal Popolo, di cui è diretta emanazione, ed esalta la grandezza dell'incessante opera di ricerca tecnologica del socialismo. Allo stesso modo del tedesco dell'Est Sigmund Jähn, leggenda nazionale da contrapporre ai concittadini al di là del muro, emblema illusorio di un'affermazione storica ed eroe dell'infanzia per il piccolo Alex di Good Bye Lenin! (Wolfgang Becker, 2003), il viaggiatore dello spazio diventa il riferimento primario di un'epoca di grandi speranze e di tumulti individuali nel Cosmonauta di Susanna Nicchiarelli, suo primo lungometraggio.
L'altezza dell'aspirazione cosmica sovrapposta alla vacillante gravitazione quotidiana di due fratelli, uno astolfesco per inclinazione congenita, l'altra intrappolata nel bel mezzo di una bufera puberale. La vita privata riflessa nella lotta politica, l'individualità rispecchiata nei mutamenti vorticosi della Storia e la fragilità delle persone confrontata con l'infallibilità dell'ideologia. E su questi contrasti che Cosmonauta imposta il suo piccolo e garbato racconto di educazione sentimentale ed individuale ai tempi del comunismo, o perlomeno, tanto per non incorrere nella stessa vulgata revisionista che ci ha caratterizzato negli ultimi tre lustri, ai tempi in cui il comunismo era una forza di opposizione granitica in grado di mobilitare più di sette milioni di elettori (così come testimoniano i risultati della consultazione elettorale del 28 aprile 1963, visti nel film attraverso una mal sintonizzata televisione all'interno della sezione del Partito). Quello allestito dalla Nicchiarelli è un gradevole teatro delle emozioni in cui la piccola Luciana, dapprima impegnata in una fuga dalla Prima Comunione, poi quindicenne preda dei primi furori amorosi, è il fulcro di una rappresentazione progettata intorno a pochi scenari privilegiati, ognuno dei quali dotato di una connotazione definita, ciascuno presente in qualità di sfondo che fornisce il sintomatico contesto e gli adeguati personaggi di una recita formativa capace di travalicare gli ambiti di riferimento e generare le necessarie contraddizioni di un'esperienza adolescenziale. Negli spazi di una sottosezione dei giovani comunisti del quartiere romano del Trullo e in quelli di un rispettabile alloggio borghese, si definisce il percorso tortuoso, ellittico (nel senso geometrico, orbitale del termine), di Luciana, giovane comunista che si affaccia alla vita tramite i dubbi della sua incipiente femminilità, credendo contemporaneamente in una ben definita utopia.
La passione politica alimenta i turbamenti del cuore sullo sfondo di un muro rosso su cui campeggia, maestosa, l'effigie della sacra trimurti formata da Marx, Engels e Lenin, mentre il conflitto di classe, paradossalmente, si vive tra le mura domestiche, accanto ad una madre vedova di un uomo di cui si è perso lo stampo («Non ci sono più i comunisti come tuo padre», dice a Luciana il vecchio attivista disilluso durante la vendita porta a porta di «L’Unità»), risposatasi (per soldi, è l'accusa della figlia) con un ingegnere conservatore dall'attitudine al comando e dal pregiudizio tranciante. La lotta ideologica è diretto nutrimento per l'ardore degli affetti, i confini si perdono e gli ambiti si confondono: dopo una violenta reazione di gelosia di Luciana avvenuta all'interno della sezione,Vittorio la strattona con energia e la costringe contro il muro rosso su cui sono ritratti i tre padri del socialismo reale; in difesa della ragazza sopraggiunge il corpulento Angelo, suo fidanzato ufficiale, la cui presenza replica nel numero la solenne disposizione sulla parete, ma ribalta radicalmente l'idealità dello scopo in una bega da pollaio. L'universale e il particulare entrano in rotta di collisione alla ricerca della giusta gravitazione, fuoriuscendo dai confini dettati dagli scenari (e anche da una predisposizione che si potrebbe definire sineddochica rispetto alla contestualizzazione d'ambiente, un po' per scelta di immediatezza dei codici della composizione iconica e un po' per intrinseche limitazioni di budget). La conseguenza è un approdo in luoghi differenti, periferici rispetto al teatro delle emozioni e agli specifici ruoli sociali da ricoprire. Estensioni all'interno delle quali l'individuo non è più costretto a giocare una parte prestabilita nel complesso meccanismo dell'interazione, spazi in cui può mostrarsi autentico, solo con se stesso e con tutto il carico di innocente ribellione e rabbiosa vulnerabilità. L’inconfondibile sagoma del Palazzo della Civiltà Italiana all'Eur visto dalle colline circostanti e il terrazzo di casa su cui sdraiarsi con il fratello Arturo per sognare di esaltanti viaggi stellari intorno al proprio mondo sono le immagini di un'intimità in via di definizione, contigua sul piano spaziale ma lontana per spontaneità alla commedia quotidiana vissuta da Luciana. Luoghi in cui la forza dei sentimenti, il recupero di affetti familiari accantonati, il difficile cammino per essere donna e rispettata in quanto tale trovano una dimensione esclusiva, raccolta, necessaria ad una piena consapevolezza.
Quello della Nicchiarelli (la quale, coerentemente con la funzione di premurosa illustratrice dell'evoluzione in atto, si ritaglia il ruolo di una compagna più matura, una sorta di grillo parlante per la smarrita Luciana) è un racconto di formazione eccentrico, che avanza per strappi, pause, repentini mutamenti e non lungo le coordinate di una vettorialità crescente fino al punto più alto della consapevolezza o della perdita dell'innocenza. Cosmonauta è invece uno spaccato indicativo del contrasto possibile tra dogmi inviolabili e sensazioni individuali, tra prassi collettiva e dilemmi esclusivi, con la scansione del programma spaziale sovietico a punteggiare l'illusione di una crescita proporzionata ai successi ideologici (con il disincanto dell'ultima inquadratura del film, in cui si vedono Armstrong e Aldrin danzare sul suolo lunare e in qualche modo "liberare" Luciana da uno sviluppo esclusivamente politico) e con il corredo espressivo delle canzoni anni Sessanta (attualizzate secondo la versione di Gatto Ciliegia vs. Il Grande Freddo) a fornire, con la plasticità di un fumetto, la trasparenza dell'anima tumultuosa e sbarazzina di Luciana. Uno sguardo su un passato che pare preistoria, superato non solo dalla fine del sogno spaziale, ma anche da un presente spesso indirettamente evocato (Marisa che fa riflettere Luciana sulle conseguenze della sua discutibile condotta individuale) che origina, latente, un impulso nostalgico per la schiettezza del dibattito politico e per la candida impulsività delle scelte personali mostrate. Sembra che da allora sia trascorsa una vita ed invece è bastato il tempo di un lungo ed inesauribile spot.
Giampiero Frasca, Cineforum n. 488, 10/2009 |
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