Estate di Davide (L’)
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Regia: | Mazzacurati Carlo |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Carlo Mazzacuaati, Claudio Piersanti; fotografia: Alessandro Pesci; montaggio: Paolo Cottignola; musica: Ivano Fossati; scenografia: Leonardo Scarpa; costumi: Francesca Sartori; suono: Alessandro Zanon; interpreti: Stefano Campi (Davide), Patrizia Piccinini (Patrizia), Tony Bertorelli (Lo zio di Davide), Silvana De Santis (La zia di Davide), Serasudin Mujic (Alem), Alessandro Mizzi (L’uomo con la Mercedes), Roberto Messini D’Agostino (Don Luigi), Emanuele Barresi (Il medico), Paola Rota (La cognata di Davide), Marinella Anaclerio (La moglie del mafioso), Manrico Gammarota (Janne); produzione: Roberto e Matteo Levi per Tangram Film; distribuzione: Tangram Film; origine: Italia, 1998; durata: 92' |
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Trama: | Davide, diciotto anni si ritrova a dover passare le vacanze presso gli zii nel Polesine. Qui Davide conosce l'amore con una ragazza del posto e stringe amicizia con un giovane bosniaco che si mantiene facendo il barista e spacciando droga. I due bidonano il ricco amante della ragazza di un'ingente quantità di droga che sperano di rivendere in Puglia, ma le cose non funzionano mai come dovrebbero... |
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Critica (1): | Davide vive a Torino con il fratello; questi, sposato e da poco padre, non naviga certo nell’agiatezza. Superato l’esame di maturità, Davide si guadagno qualche soldo come lavamacchine e investe i pochi risparmi in una vacanza, che decide di trascorrere in Polesine, presso gli zii. Qui si innamora di una ragazza, Patrizia, più anziana di lui e meno trasparente di quanto non sembri. Contemporaneamente, fa amicizia con Alem, un ragazzo bosniaco pieno di energie, disposto a tutto e segnato da un passato amaro.. Patrizia conduce una doppia vita, fatto di droga e di un amore clandestino con un industriolotto locale implicato nel narcotraffico: l’amore con lei si trasformerò presto nella scoperto dei dolore e della disillusione; l’amicizia con Alem aprirà invece la strada a un’avventura dalla conclusione insensata e tragica. Sopravvissuto a questa esperienza, Davide ritornerà a Torino: alle spalle si sarà lasciato definitivamente l’adolescenza, ma la ‘saggezza’ così conquistata potrà davvero essergli d’aiuto nella sua esistenza fatta di assoluto precarietà? Con L’estate di Dovide, Carlo Mazzacurati è tornato nella basso Veneto, in provincia di Rovigo, a pochi chilometri dal mare e dal delta, facendone il cuore geografico-narrativo del film, che però inizia a Torino e lì termina, dopo una tragica trasferta in Puglia. Ritorno irrequieto, dunque, che testimonia, da una parte, di quella libertà che Mazzacurati si auspicava e, dall’altra, della consapevolezza ormai acquisita circa le componenti del proprio universo creativo. A prima vista, l’occasione è quella di un riaccostamento al racconto italiano, dopo il confronto spaesante con l’Europa slava e balcanica. Ma poco a poco il film si allontana dal percorso su cui pareva avviato: e la storia di provincia fermenta le sue inquietudini; lo studio dei luoghi e dei caratteri, secondo una propensione cara a Mazzacurati, mette a punto irreversibilmente una dinamica non solo amorosa, che lascia presagire il lato ‘oscuro’; lo sgorgare occidentale del sangue chiama in campo il personaggio che nel sangue morirà - Alem, giovane bosniaco che ha troppo fiducia nella propria intraprendenza e nella propria buona sorte. La bella estate con cui Davide voleva dare una tregua alla catena dei conflitti e delle tensioni, che in città lo stringeva alla gola, lo prende e lo strapazza senza pietà, prima di riconsegnarlo appena ventenne a una tranquillità troppo precaria per essere credibile.
La dolcezza della regressione agli anni e alle figure parentali, che la memoria aveva troppo ingenuamente mitizzato e che la prima veduto del casale dove abitano gli zii sembra preannunciare, viene subito messa a dura prova dalle parole dello zio: nel ribaltamento emotivo che generano è anticipata tutta la durezza della prova che attende il ragazzo ben al di là della fatica con cui dovrà guadagnarsi l’ospitalità. Inizio da qui ad articolarsi la rete dei confini lungo i quali il film si muovera dapprima e finirà per precipitare.
Adriano Piccardi, Cineforum n. 378, ottobre 1998 |
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Critica (2): | Il film di Carlo Mazzacurati ci hanno abituato al movimento orizzontale. O meglio, alla singolare ambiguità di uno scorrimento che a volte si trasforma in barriera. Notte italiana organizzava il paradosso di un ambiente tutto scoperto e tutto misterioso, Un’altra vita ergeva la linea del mare, dopo tanto correre, a confine geografico ed esistenziale, e Vesna va veloce offriva, del suo Adriatico per vacanze, un insolito scorcio magrittiano. Con L’estate di Davide il regista trova un ulteriore, prezioso equilibrio: riscopre un paesaggio, lo interpreta con sicurezza e se ne lascia guidare. Un equilibrio che gli consente prodigi di sintesi, cioè di accedere a un’astrazione tanto incisiva, nell’uso dei racconto e del trapasso simbolico, quanto lieve. La novità credo sia data dalla lentezza. Per la prima volta il pudore, che Mazzacurati ha convenzionalmente tutelato in ogni sua prova, viene alla luce, si dichiara e conferma se stesso. Usare la lentezza significa infatti rinunciare alle scorciatoie di ritmo e di azione, mettendosi nel rischio dell’aperta inconsuetudine. Il paesaggio dell’Estate di Davide si abbandona a questa lentezza, la riconosce come propria; non si limita a reinventare lo spazio, a creare una sorta di vuoto bressoniano attorno al rilievo plastico dei corpi, ma va oltre. Quei campi solari, alternati da notturni scuro-argentei, assumono poco alla volta il carattere della superficie. La lentezza serve a depositare, la frontalità dei piani e la pressione della macchina-avanti (o indietro, ma sempre supponendo un virtuale schermo piatto) mitigo l’effetto di profondità. In altri termini lo scenario che pure si definisce per fughe e incuneamenti, subisce l’effetto di stasi e trasfigura. Se in ciò vi è qualcosa di vero, L’estate di Davide può apparirci come il film più modernamente pittorico di Mazzacurati. ( ... )
Tullio Masoni, Cineforum, n. 378, ottobre 1998 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| Carlo Mazzacurati |
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