Magliari (I)
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Regia: | Rosi Francesco |
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Cast e credits: |
Soggetto: Francesco Rosi, Suso Cecchi d'Amico; sceneggiatura: Francesco Rosi, Suso Cecchi d'Amico, Giuseppe Patroni Griffi; fotografia: Gianni Di Venanzo, Aiace Parolin; musiche: Piero Piccioni; montaggio: Mario Serandrei; scenografia: Dieter Bartels; costumi: Graziella Urbinati; interpreti: Alberto Sordi (Ferdinando Magliulo, detto Totonno), Belinda Lee (Paula Mayer), Renato Salvatori (Mario Calducci), Nino Vingelli (Vincenzo), Aldo Giuffré (Armando), Lina Vandal (Frida), Aldo Bufi Landi (Rodolfo Valentino), Nino Di Napoli (Ciro), Carmine Ippolito (Don Raffaele Tramontana), Pasquale Cennamo (Don Gennaro), Josef Dahmen (Herr Mayer); produzione: Franco Cristaldi per Vides-Titanus, S.G.C.; distribuzione: Cineteca Nazionale; origine: Italia-Francia, 1959; durata: 107’. |
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Trama: | Mario Balducci, giovane operaio italiano, sta per lasciare Hannover, dove ha tentato invano di far fortuna, per tornare in Italia, ma conosce per caso Totò, astuto trafficante romano che si è arricchito vendendo stoffe e tappeti, e si fa convincere a restare. Mario si mette a lavorare con Totò, poi entra al servizio di Raffaele, un intraprendente napoletano che ha organizzato su vasta scala, per mezzo di un gruppo di magliari, la vendita di stoffe in tutta la Germania Occidentale. Però Totò, che si vuol creare una posizione indipendente, convince i magliari ed anche Mario a lasciare don Raffaele e a lavorare sotto i suoi ordini per conto di un certo Mayer, un ricco tedesco. I magliari si trasferiscono da Hannover ad Amburgo, ma qui cominciano ben presto i guai: i napoletani hanno spodestato un gruppo di profughi polacchi che si vendicano degli intrusi sabotando la loro attività e rendendola difficile e pericolosa. Inoltre Mayer ha una moglie giovane ed avvenente che dimostra molta simpatia per Mario: tra i due si stabilisce ben presto una relazione, favorita da Totò nella speranza che questo contribuisca a legare Mario e gli altri all'organizzazione commerciale di Mayer. Ma gli eventi precipitano: tra i magliari e i polacchi si accende una violenta zuffa che provoca l'intervento della polizia. I magliari si rifiutano di continuare a lavorare agli ordini di Totò che, non sapendo come superare la difficile situazione, tenta di ricattare la moglie di Mayer: questa però trova modo di bloccare l'attacco. Mayer si mette d'accordo con don Raffaele, che riprende in mano l'organizzazione dopo aver cacciato via Totò. Mario cerca di convincere la moglie di Mayer a fuggire con lui in Italia, ma la donna, che ha conosciuto la miseria, non vuol rinunciare all'agiatezza raggiunta. I due si separano per sempre. |
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Critica (1): | Da un particolare punto di vista, I magliari costituisce, a nostro avviso, un passo avanti, sia pure limitato, rispetto a La sfida. La ricostruzione ambientale è più accurata e approfondita, non si limita ai puri elementi esteriori, ai semplici dati di fatto, ma tenta invece di andare oltre, di esprimere un giudizio, o, comunque, di scoprire cause e rapporti, di significare al di là degli stati d’animo e delle psicologie, una realtà sociale. Rosi ci presenta infatti, da un lato, la Germania del dopoguerra, la facciata apparentemente lustra e scintillante di un ennesimo “miracolo tedesco”, personificata dalla cordialità bonaria (che maschera una spietata corruzione) di Herr Mayer: il mondo, insomma, che con assai minore sincerità ci aveva mostrato il regista Thiele nel suo sopravvalutato La ragazza Rosemarie. Dall’altro lato l’ambiente intricato e degradato del sottoproletariato, dei “magliari” appunto, con le sue facili fortune e le sue altrettanto facili e rovinose cadute, con il suo “codice dell’onore”, la sua violenza, e, anche, la sua disperata, tragica, amara volontà di sopravvivere, con la sua assoluta e inconfessata sete di sicurezza.
Tra questi due universi, opposti e complici si muovono i protagonisti. Totonno abile e spregiudicato, cinico e privo di scrupoli, ma vigliacco, debole e assolutamente negato al comando. Paula, che ha conosciuto la miseria, l’abbrutimento morale e materiale, e che, appunto per questo (ma si può fargliene una colpa?), resta disperatamente abbarbicata alla tranquillità e all’agiatezza instabili che si è conquistata prostituendosi, rinunciando anche aI calore di un affetto sincero. E Mario, infine, l’operaio disoccupato immesso per caso in quell’ambiente, trascinato suo malgrado a una vita cui non è sostanzialmente tagliato e cui, nel finale, trova la forza di sottrarsi con una embrionale presa di coscienza. Quei tre personaggi, pur restando perfettamente umani, non riducendosi, come poteva accadere, a semplici schemi astratti, acquistano, nella economia del film, un significato preciso, staremmo per dire simbolico. Mario, soprattutto, rappresenta il rifiuto al compromesso, alla soluzione dell’inganno e della violenza: ma è un rifiuto amaro, disperato, senza una prospettiva. Al suo ritorno in Italia egli si troverà ancora una volta di fronte all’angoscioso problema della sopravvivenza, e non avrà neppure il calore di Paula a sorreggerlo e a riscaldarlo.
Non diciamo questo, intendiamoci, per togliere certi meriti al film, né per indicare una limitazione: in realtà Rosi ha saputo descrivere molto bene una situazione purtroppo reale. Vogliamo soltanto sottolineare come I magliari costituisca un frutto preciso di quest’Italia, dove chi non accetta il compromesso, la prepotenza e l’imbroglio si trova isolato e schiacciato, chiuso in un compartimento stagno privo di sbocchi. Resta ancora, è vero, la via della solidarietà e della lotta: la solidarietà che il disoccupato Ricci aveva trovato nel figlio Bruno, la lotta di cui si scorgeva la ferma determinazione nello sguardo acceso del pescatore ‘Ntoni di Acitrezza. Ma i limiti concessi a questa soluzione diventano di giorno in giorno più ristretti, sempre meno numerose e probabili le possibilità di uscire dall’isolamento.
Franco Valobra, Cinema Novo, 1959 |
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Critica (2): | I magliari (1959), girato e ambientato in Germania, conferma l'importanza delle scelte unitarie d'atmosfera. Le vicende sono calate in un ambiente grigio, costantemente immerso nella nebbia e nel freddo.
Anche qui si tenta di spiegare il funzionamento del meccanismo di un commercio abusivo e sotterraneo controllato dalla camorra napoletana. Come già per La sfida siamo nell'ambito di organizzazioni modeste, di interessi e di strutture organizzative molto semplici, destinate, nel decennio successivo, a essere travolte dall'avvento di una nuova delinquenza, interessata a traffici ben altrimenti redditizi. Tuttavia I magliari non vuole parlarci solo della camorra; allarga lo sguardo su un altro fenomeno sociale di proporzioni ben piú drammatiche: il fenomeno dell'emigrazione italiana in Germania, che raggiunge, proprio in quegli anni, punte assai alte. Rosi (...) «ci offre due immagini dell'emigrato, l'operaio che guadagna difficilmente la propria vita e il trafficante che si arricchisce in attività disoneste».
La figura del magliaro nasce dal rifiuto del lavoro alienante nella fabbrica tedesca e al tempo stesso dalla coscienza che, comunque, lo sfruttamento della strada non sia meno umiliante.
Le condizioni di vita degli operai napoletani costretti in baracche o in stanze, veri e propri lager, accentuano il senso di drammaticità della storia e mantengono costantemente a fuoco i problemi dell'ambiente rispetto a quelli dell'intreccio. La vicenda si svolge ad Hannover e ad Amburgo. Il regista mostra, con lo sguardo fermo portato entro ogni ambiente, dalle case lussuose dei magliari e dai simboli di prestigio di cui si circondano alle stazioni ferroviarie, ai bar, ai nights, alle ragazze in vetrina, alle strade prive quasi di illuminazione e di vita, dove avvengono i regolamenti di conti, di aver saputo mettere ancora una volta a frutto la lezione del film nero americano combinandola con una marcata capacità di caratterizzazione d'ambiente. Soprattutto i personaggi di contorno, Ciro 'O Curto, 'O boxer, Rodolfovalentino «il sud se lo portano dietro non come una patina di colore... bensí come arretratezza sociale; l'ambiente tedesco al quale si raffrontano li rivela nella loro unica realtà: prodotti di un paese sottosviluppato». Sotto lo sguardo del regista non finiscono solo gli emigrati poveri, finisce anche la realtà tedesca del miracolo economico, una realtà che egli osserva non immemore della lezione rosselliniana, piú volte da lui stesso ricordata come punto di riferimento fondamentale.
Gian Piero Brunetta, Storia del cinema italiano, Ed. Riuniti, 1998. |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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