Ladro di Parigi (Il) - Voleur (Le)
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Regia: | Malle Louis |
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Cast e credits: |
Soggetto: da un romanzo di Georges Darien; sceneggiatura: Louis Malle e Jean-Claude Carrière; dialoghi: Daniel Boulanger; fotografia (eastmancolor): Henri Decaé; scenografia: Jacques Saulnier; costumi: Ghislain Uhry; musica: Henri Lanoe; montaggio: Henri Lanoe; interpreti: Jean-Paul Belmondo (Georges Randal), Geneviève Bujold (Charlotte), Julien Guiomar (Lamargelle), Charles Denner (Canonnier), Christian Lude (lo zio), Frangoise Fabian (Ida), Marie Dubois (Geneviève), Paul Le Person (Roger La Honte), Bernadette Lafont (Marguerite), Marlène Jobert (Broussaille), Martine Sarcey (Rende), Roger Crouzet (Mouratet); produzione: Norbert T.Auerbach per le Nouvelles Editions du Film e le Productions Artistes Associés; origine: Francia, 1967; durata: 119'. |
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Trama: | Parigi, verso la fine del 1800. Per vendicarsi del suo tutore che lo ha derubato del patrimonio e gli ha rifiutato la mano della figlia Carlotta, il giovane George compie il primo furto della sua vita. La perfetta riuscita del colpo e la facilità con la quale è entrato in possesso di una forte somma, inducono il giovane a compiere altre imprese ladresche. Conosciuto un falso abate che è a capo di una banda di ladri, George apprende tutti i segreti del mestiere ed in breve tempo diventa uno specialista dello scasso. Raggiunto da Carlotta, la quale ha abbandonato il padre per venire a vivere con lui, George riesce ad introdursi al fianco della fanciulla nei più eleganti circoli mondani, dove non gli è difficile captare utili informazioni per i suoi colpi. Alla morte del padre di Carlotta, George, scoprendo che il vecchio ha diseredato la fanciulla ed ha destinato a scopi benefici le sue sostanze, falsifica il testamento in modo da entrare in possesso di tutta l'eredità. Ormai ricchi, i due giovani potrebbero condurre una esistenza tranquilla, ma George è insoddisfatto: il furto è diventato per lui una ragione di vita, non può farne a meno. Sarà proprio Carlotta a procurargli l'occasione per un grosso colpo, lasciandolo libero di seguire l'unica strada attraverso la quale riesce ad esprimere veramente se stesso ed essere felice. |
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Critica (1): | (...) Le inquadrature dell'inizio sono quasi tassonomiche nell'esibire l'evento su cui si costruisce la verità del film. Dal quadro buio si staglia il bianco accecante di un colletto, cui tengono dietro i lineamenti e la silhouette del "ladro". La scena è pressoché immobile, con ridottissimi spostamenti di macchina: quasi fosse individuato il riscontro, o un riscontro, del nodo che sta al centro del film (quell'indefinita irrequietezza che non sa uscire dai suoi margini astratti e che qui si oggettiva nella sacertà del furto). Randal si muove con signorile flemma. Non ha esitazioni, né è frenato da ineleganti remore. Scassina con accortezza e intelligenza. Nella relativa fissità dell'inquadratura (la camera annota i vari passaggi, li visualizza ma mantiene una sua oggettività) e all'intemo di un cromatismo opaco si colgono i soli riquadri svelati dalla lampada: il volto, le mani, gli oggetti divelti e sventrati con metodo. Soltanto quando l'azione è ormai completa nella e per la sua meccanica, sì che dalla sua apparenza fenomenica (l'effrazione, la meccanica del furto, il contesto storico e sociale cui l'ambiente rinvia) si possa giungere all'intuizione delle motivazioni; cioè solo dopo l'esposizione del rito fondato e indispensabile della rapina, alle immagini si accompagna il commento. Randal dice di fare "uno sporco mestiere", ma di vedervisi costretto da un destino cui non può sottrarsi. Tutto qui: senza querimonie, ma anche senza moralismi. Con la motivazione semmai, successivamente tradotta in esemplificazione narrativa, della naturale eticità di quella azione. (...)
(...) La visualità contrastata delle inquadrature d'avvio si rovescia così in uno squarcio abbagliante che, per contrasto,rende ardua ogni immediata percezione. Una dissolvenza lascia il campo alla camera che carrella inclinata verso l'alto: il furto e la parte di commento che lo accompagna si riportano per intrinseca necessità alle motivazioni, psicologiche, sociali, umane, del gesto. Ecco dunque il giardino e la' villa in cui Georges cresce da orfano, in condizione relativamente emarginata rispetto alla sua classe; e, -per venire ancora più addentro, la visita al cimitero con l'adiposo tutore che rampogna il ragazzo perché cessi di mangiucchiarsi le unghie non per il malgarbo della cosa quanto invece per il fatto che esse sono "sue", costituiscono una sua "proprietà". Poco di poi, a chiudere il quadro della perfetta bietolaggine borghese, ad un vecchio mendicante che gli chiede l'elemosina l'Homais del film replica: "Non fare il cretino, va a lavorare". Si hanno così gli elementi che spiegano il comportamento del "ladro", a muovere dalle esperienze della prima infanzia. Il bambino percepisce progressivamente la sua diversità rispetto alla cugina, ma avverte che tale differenza è sanzionata dalla morale dominante. Di qui l'ancora oscura contrapposizione ai miti e alle norme che gli sono propinati: il denaro, il perbenismo tartufesco, la proprietà privata. "Io lo detestavo", precisa Georges: "ma volevo Charlotte". Per Georges, la ragazza rappresenta inconsciamente un'immagine pulita dell'universo borghese, la speranza di un suo diverso modo d'essere. Ma nella realtà del film, nella scrittura del film, è lei che blocca Randal dentro il mondo e la classe che egli dissacra. Charlotte è così la proiezione catartica di una realtà contrastata e alienante. La sua disponibilità a non lasciarsi soggiogare dalle situazioni di fatto non la pone fuori della prassi borghese. Esprime la sua classe con la medesima spregiudicata difesa degli interessi, con un'uguale insensibilità per i problemi morali: la differenza rispetto al padre non è più che generazionale, è quella di una borghesia che vuole infine mascherare la volgarità evidente. E' allora scontato che solleciti il recupero della "normalità" una volta rientrata in possesso del "patrimonio". La relativa indulgenza con cui la si presenta - ogni sua apparizione è accompagnata da una adagio di pianoforte (ma questo corrisponde anche a quella affabulazione sentimentale che la scrittura sottolinea) - richiama la situazione di Georges, la sua contraddizione fondamentale, per il fatto di veicolare il tentativo, forse inconsapevole, di sublimazione della scissura borghese introducendo un termine di distinzione rispetto alle situazioni estreme. E risponde ancora, semmai, alla simpatia con cui in Le voleur si guarda alle figure femminili. Cui pertengono leggiadria e eleganza (le due filles de joie), charme e sbarazzina civetteria (la moglie del futuro ministro Courbassol), intuito e ribellismo tutto femminile, non percorso da venature politiche esplicite (anche le donne, in una società dominata dagli uomini e dai borghesi, combattono la loro privata battaglia al buio e di nascosto, esattamente come il nostro scassinatore).
Gualtiero De Santi, Malle Il Castoro Cinema, 1977 |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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