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Io, Daniel Blake - I, Daniel Blake


Regia:Loach Ken

Cast e credits:
Sceneggiatura: Paul Laverty; fotografia: Robbie Ryan; musiche: George Fenton; montaggio: Jonathan Morris; scenografia: Fergus Clegg, Linda Wilson; costumi: Joanne Slater; interpreti: Dave Johns (Daniel Blake), Hayley Squires (Katie), Dylan McKiernan (Dylan), Brianna Shann (Daisy), Kate Rutter (Ann), Sharon Percy (Sheila), Kema Sikazwe (China), Micky McGregor (Ivan); produzione: Sixteen Films-Why Not Productions-Wild Bunch-Le Pacte; distribuzione: Cinema Di Valerio De Paolis; origine: Belgio-Gran Bretagna-Francia, 2016; durata: 100’.

Trama:Il 59enne Daniel Blake ha lavorato come falegname a Newcastle, nel nord-est dell'Inghilterra per la maggior parte della sua vita. Ora però, in seguito a una malattia, per la prima volta ha bisogno di un aiuto da parte dello Stato. Il destino di Daniel si incrocia con quello di Katie, madre single di due bambini piccoli, Daisy e Dylan, la cui unica possibilità di fuga dalla monocamera in un ostello per senza tetto a Londra è quello di accettare un appartamento a circa 500 chilometri di distanza. Daniel e Katie si troveranno così insieme, confinati in una terra di nessuno e impigliati nel filo spinato della burocrazia delle politiche per il Welfare nella moderna Gran Bretagna.

Critica (1):È sufficiente (non) guardare con attenzione il folgorante inizio di I, Daniel Blake per comprendere le intenzioni cinematografiche di Ken Loach in questo suo ultimo lavoro: uno schermo completamente nero persiste per diversi minuti mentre due voci dialogano in maniera serrata e tesa arrivando in più riprese a sfiorare la lite.
ll contesto, neanche a dirlo, è quello di un uomo - il Daniel Blake del titolo – che quotidianamente combatte con la vita per cercare di stare a galla, provando ad assecondare le rigide costrizioni che la burocrazia britannica gli impone per poter godere dei benefici previsti dallo Stato. Lungo la sua strada Daniel incontrerà Katie, una giovane madre che, seppur per ragioni differenti, si trova nelle medesime condizioni. La strada per un’analisi appassionata dei benefici statali o del lavoro dei servizi sociali britannici era dunque spianata; tuttavia, proprio come testimonia lo schermo nero del prologo, a Loach non interessa mostrare (e/o accusare) i simili cavilli, la povertà tangibile di alcuni quartieri britannici o l’evidente stato di crisi in cui, ancora oggi, una buona parte della popolazione è immerso.
Quello che preme all’autore è invece mettere in scena il disagio intimo e personale a cui è costretto chi, come i due protagonisti, viene lasciato inesorabilmente a margine di una società sempre più cinica e individualista. In maniera opposta ma complementare, il film segue, da un lato, le vicende di un uomo sessantenne privo di significative relazioni umane, e dall’altro di una giovane madre con a carico due bambini. Due perdenti che, per questa stessa ragione, vengono emarginati da una filosofia di pensiero che non ha più tempo per fermarsi a riflettere e aiutare chi non riesce a stare al passo.
Il messaggio solidale di cui Loach si fa portavoce, quindi, è tanto semplice quanto genuino, mirato a scuotere le coscienze sulla forza dei valori morali da sempre innati nell’essere umano e costantemente messi al bando per diverse ragioni (l’ultima, in ordine cronologico, la crisi economica di cui ancora il cinema continua a parlare). (...)
Simone Soranna, cineforum.it, 17/10/2016

Critica (2):(...) quando sul nero dei titoli di testa, parte uno dei migliori dialoghi di sempre del cinema loachiano, quell'inconfondibile stridore fra umorismo disperato e indignazione, l'attenzione scatta subito e resta puntata saldamente sino alla fine del film. (...) Loach ritrova il colore ambientale del suo cinema settantesco. I movimenti di macchina essenziali e le inquadrature attente a contestualizzare il conflitto nell'inquadratura con il fuori campo; una vividezza, finalmente di nuovo capace di graffiare, dovuta alla precisione con la quale il linguaggio diventa parte integrante della tessitura sonora del film, sono gli elementi formali che segnalano di una urgenza ritrovata. Il rapporto che Daniel ha con il suo vicino di casa (...) coglie alla perfezione la riorganizzazione dal basso di ciò che resta della classe operaia britannica e del proletariato ormai privo di orientamento che non sia la sua mera sopravvivenza. La presenza di Rachel (...) pur inserendosi in un'idea di mélo che ha in Chaplin e De Sica le sue punte più alte, offre a Loach la possibilità di tratteggiare con agghiacciante precisione il quadro di una nuova e atroce povertà. (...) In fondo è vero: si tratta del «solito» Loach. Solo che il «solito» Loach con I, Daniel Blake ha ritrovato la necessità delle sue opere migliori.
Giona A. Nazzaro, il manifesto, 14/5/2016

Critica (3):

Critica (4):
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