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Manta Ray


Regia:Aroonpheng Phuttiphong

Cast e credits:
Sceneggiatura: Phuttiphong Aroonpheng; fotografia: Nawarophaat Rungphiboonsophit; montaggio: Lee Chatametikool, Harin Paesongthai; scenografia: Sarawut Karwnamyen; costumi: Chatchai Chaiyon; musica: Christine Ott, Mathieu Gabry; suono: Chalermrat Kaweewattana, Arnaud Rolland, Charles Bussienne; effetti visivi:Achawin Chayarattanasilp; interpreti: Wanlop Rungkamjad, Aphisit Hama, Rasmee Wayrana; produzione: Diversion, Les Films de l’Etranger; distribuzione: Mariposa Cinematografica (2019); origine: Francia-Thailandia-Cina, 2018; durata: 105’.

Trama:In una foresta vicino a un villaggio costiero thailandese, affacciato sul mare in cui sono annegati migliaia di rifugiati Rohingya, un pescatore del luogo si imbatte in un uomo ferito e privo di sensi. Dopo aver portato in salvo lo sconosciuto, che non parla una parola della sua lingua, gli offre amicizia e lo chiama Thongchai. Quando però il pescatore scompare all’improvviso in mare, Thongchai incomincia lentamente a impadronirsi della vita dell’amico: della sua casa, del suo lavoro e persino della ex moglie...

Critica (1):Phuttiphong Aroonpheng viene dalla Thailandia, ha studiato belle arti a Bangkok e cinema a New York. Un percorso tra arti visive e immagini in movimento che trova uno sbocco ideale in Manta Ray, fulminante apologo sul senso profondo del sopravvivere raccontato attraverso inquadrature fisse e lunghe silenziose sequenze che sembrano quadri. Il cinema di riferimento è quello sospeso di Apichatpong Weerasethskul, che però il giovane autore rilegge in maniera personale e senza esserne minimamente schiacciato.
In un villaggio vicino al mare in cui sono annegati migliaia di rifugiati Rohingya, un pescatore trova uno sconosciuto privo di memoria che in più non parla la sua lingua. L’uomo lo accoglie in casa e gli da un nome, Thonchai. Quando il pescatore un giorno, all’improvviso e misteriosamente, scompare, Thonchai lentamente si impadronisce della sua identità, del lavoro e persino della moglie giunta in visita da un paese lontano.
Chi sono gli sconosciuti che bussano alle nostre porte? In occidente come in oriente, popolazioni senza voce abbandonano le proprie terre in cerca di lavoro, cibo, sicurezza e spesso lo fanno perché perseguitati. Milioni di esseri umani senza volto né nome cui spesso viene persino negato il diritto di parola. E se non si può raccontare la propria storia è come cancellare per sempre la memoria del proprio passaggio sulla terra.
Aroonpheng si fa carico di far voce ai rifugiati nel mondo, ma soprattutto ricorda il popolo Rohingya perseguitato in Birmania e costretto ad avventurarsi in mare in cerca di salvezza. Un viaggio della speranza segnato il più delle volte dalla morte per annegamento, destino comune e crudele ad ogni latitudine.
Se il messaggio è diretto, non lo è affatto il linguaggio scelto dal regista per raccontarlo, egli infatti preferisce affidarlo al filtro della poesia.
Manta Ray è un film che lavora per sottrazione, si affida a impercettibili snodi narrativi, conta su suoni e luci, suggerisce sottovoce piuttosto di urlare. Un’opera visivamente affascinante, luminosa, sfuggente, rarefatta eppure incisiva come un poema. Un esordio clamoroso. Una vera scoperta.
Greta Leo, cinematografo.it

Critica (2):Vincitore della sezione Orizzonti alla 75ma mostra di Venezia e di molti altri premi insigniti dai festival che l’hanno ospitato, Manta Ray del regista e sceneggiatore thailandese Phuttiphong Aroonpheng è un film singolare che evoca le atmosfere delle moderne istallazioni artistiche, il clima tra sogno e realtà della virtual reality. Ed è allo stesso tempo profondamente ancorato al valore dei diritti umani, tanto da essersi meritato il patrocinio di Amnesty International. Nel presentarlo Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, ha detto: “Manta Ray ci fa conoscere qualcosa di cui sappiamo poco: la tragedia del popolo Rohingya. Dal 25 agosto 2017, fuggiti da un sistema di assoluto apartheid, sono quasi un milione i rifugiati. Molte sono vittime di stupro, molti uccisi. Né ci sono le condizioni per un ritorno dei Rohingya in Myanmar. Mi sono commosso quando ho visto che il regista ha voluto dedicare a questo popolo il suo film”. Phuttiphong Aroonpheng , parlando dei migranti Rohingya alla ricerca disperata di salvezza in Thailandia, racconta: “In una scena fondamentale del mio film, sentiamo molte voci nella foresta, piene di angoscia e lacrime. Sono voci di rifugiati Rohingya che avevo registrato. Queste voci non scompariranno e non saranno totalmente dimenticate. Continueranno a esistere nel mio film”.
Ed ecco la storia: nella fitta foresta di un villaggio sulla costa thailandese un giovane pescatore dai capelli ossigenati (Wanlop Rungkamjad) s’imbatte in un uomo ferito e privo di sensi (Aphisit Hama). Il ragazzo lo soccorre portandolo in ospedale e a casa propria. Lo sconosciuto non parla – forse è muto per il trauma – così il pescatore gli assegna il nome di una pop star thailandese. Tra i due s’instaura una forte amicizia, anche perché il pescatore è solo per essere stato abbandonato dalla moglie. La vita scorre tranquilla ma capita che una mattina il giovane vada a pesca e scompaia in mare. Lentamente, quasi inesorabilmente, il profugo si ritroverà a occupare il suo posto, convivendo con l’ex moglie del pescatore (Rasmee Wayrana) quando questa all’improvviso si rifà viva perché non sa dove andare …
“Manta Ray” è il nome della mitica manta gigante, dal mantello scuro, pesce nomade dei mari. Phuttiphong Aroonpheng usa simbolismi tratti dalla cultura nazionale e dalla personale creatività, per evocare significati inconsci su ciò che non si conosce, sulla trasmigrazione delle identità culturali, sul mistero del dolore, della distruzione, sull’imprescindibile realtà dell’amore, durante l’inesplicabile traversata della vita. E in questo suo film visionario, non solo chi migra, bensì tutti siamo nomadi e precari nella foresta del pianeta, ciascuno alla ricerca del proprio sogno, di un posto dove trovare pace.
Bruna Alasia, articolo21.org

Critica (3):

Critica (4):
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