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Salto nel vuoto


Regia:Bellocchio Marco

Cast e credits:
Soggetto:
Marco Bellocchio; sceneggiatura: Marco Bellocchio, Vincenzo Cerami, Piero Natoli; fotografia: Giuseppe Lanci; musiche: Nicola Piovani; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Anouk Aimée (Marta), Gisella Burinato (Anna), Michel Piccoli (Mauro Ponticelli), Michele Placido (Giovanni Sciabola); produzione: Silvio Clementelli Per La Clesi (Roma) E La Mk 2 (Parigi); origine: Francia/Italia, 1980; durata: 108'.

Trama:Marta Ponticelli ha fatto da madre e da sorella al fratello Mauro e ora, con la visione della vecchiaia davanti agli occhi e l’animo vuoto, la donna denota notevoli scompensi psichici. Mauro, giudice di professione, ha paura che Marta impazzisca e che si tolga la vita; ma, d’altra parte, a sua volta ampiamente complessato per la vita solitaria e per le esperienze drammatiche del suo lavoro, non riesce ad influire positivamente sulla sorella. Un giorno, quasi senza premeditazione, Mauro fa conoscere a Marta un suo imputato, Giovanni Sciabola, attore stravagante e non di rado al di fuori della legalità. La conoscenza diviene amicizia e Marta, messe in disparte le abituali crisi, esce sempre più spesso: Il giudice si sente tradito dalla sorella; è geloso, anche se non ne è cosciente; teme persino che ella, plagiata, da Giovanni, possa rovinare economicamente se stessa e il fratello. Mauro cerca di liberarsi di Giovanni facendolo arrestare; e lo stesso, dopo un ultimo incontro con Marta, fugge lontano. La vita riprende e Marta, finalmente più sicura di sé, decide di passare qualche giorno a Ostia, ospite della domestica Anna. Questa volta sono i nervi di Mauro che cedono e lo sospingono verso il vuoto della finestra ove, poco tempo prima, immaginava potersi trovare una possibile soluzione del caso "Marta".

Critica (1):Se Bellocchio, come appare dalle interviste minuziose che hanno accompagnato l’uscita del suo film, ha voluto tenersi legato ai mutamenti sociali e testimoniare, oltre la corruzione familiare, una speranza, ebbene le cronache gli danno ragione. Salto nel vuoto è anche un film dalla parte delle donne, un’altra analisi dell’istituzione Famiglia che non teme l’obiettivo risaputo e la pallida speranza che nasce come un riflesso incerto dove più totale è lo sconforto.
Ma se il film stesse soltanto in questa polemica testimoni sarebbe poco. In realtà Salto nel vuoto sboccia nel talento di Bellocchio con quella virulenza minacciosa che hanno i doni naturali. È l’aggiornamento di una furia personale, che per virtù di coerenza diventa anche un modo per afferrare le angosce contemporanee. Salto nel vuoto è la maturità dei Pugni intasca, con le rinunce dettate dall’età, con l’abbandono dell’opposizione radicale per una ricerca, più delicata e sofferente, nel linguaggio. Ci sono molte prove in mezzo, tra il primo film clamoroso e questo nuovo: su tutto Il gabbiano, come punto fermo dell’espressione.
Mettiamo che il protagonista dei Pugni in tasca non sia morto: invece di soggiacere all’odio e al male, è diventato adulto, s’è laureato, è un magistrato solerte e puntiglioso. Mettiamo che anche sua sorella sia viva. Essi abitano ora insieme in un appartamento romano, come una coppia di coniugi, uniti da una complicità profonda e dalla paura nata negli anni dell’infanzia. Il magistrato Michel Piccoli ha quasi convinto la sorella Anouk Aimée d’essere una fragile pazza senza autonomia, la vessazione è tra loro un rovescio simmetrico dell’amore.
Nel chiuso delle stanze, tra i riti della tavola e del sonno, si svolge il confronto familiare, testimoni rivelatori o mal sopportati, la cameriera e il bambino di lei. Basterà un piccolo intervento esterno, la conoscenza con l’attore Michele Placido, figura di sbandato spontaneo e vitale, per rompere il vincolo e consegnare la sorella alla propria libertà. Michel Piccoli, che era il più forte, scopre la debolezza della sopraffazione, quando non può alimentarsi di una vittima. Si uccide, con un salto nel vuoto. C’è una certa corrività nel disegno dell’ambiente esterno (Placido, il teatro sulla chiatta), ma tutto quanto avviene nella casa è stretto in un rigore degno di Bellocchio. Anche l’animazione dei ricordi d’infanzia è corretta da un sogghigno. Soprattutto si raccomandano certe interpunzioni del racconto, i passaggi veloci dei personaggi che tagliano l’inquadratura come estranei, i segni della inimicizia che bene riprendono I pugni in tasca (il parlar da soli, il far gesti ostili di nascosto). Tra gli autori italiani Bellocchio è di quelli che non si tradiscono.
S. Reggiani, Cinema chissà, Torino, 1991

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Marco Bellocchio
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