Commare secca (La) - Commare secca (La)
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Regia: | Bertolucci Bernardo |
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Cast e credits: |
Soggetto: da un racconto di Pier Paolo Pasolini; sceneggiatura: Bernardo Bertolucci, Sergio Citti, Pier Paolo Pasolini; fotografia: Giovanni Narzisi; musiche: Piero Piccioni, Carlo Rustichelli; montaggio: Nino Baragli; costumi: Adriana Spadaro; interpreti: Carlotta Barilli (Serenella), Lorenza Benedetti (Milly), Clorinda Celani ("Soraya"), Alvaro D'Ercole (Francolicchio), Giancarlo De Rosa (Nino), Gabriella Giorgelli (Esperia), Romano Labate (Pipito), Ada Peragostini (Maria), Emy Rocci (Domenica), Marisa Solinas (Bruna), Erina Torelli (Mariella), Renato Troiani (Natalino); produzione: Antonio Cervi per Compagnia Cin.Ca Cervi - Cineriz; origine: Italia, 1962; durata: 98'. |
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Trama: | Dopo il ritrovamento sul greto del Tevere del corpo di una donna assassinata, si giunge ad identificare un gruppo di persone che verso l'ora del delitto sono state viste aggirarsi nei dintorni. "Il Canticchia" – un ladruncolo di periferia – sostiene di esser passato di là tornando da un incontro con un prete che gli aveva promesso lavoro."Il Califfo" parla di una idilliaca passeggiata con la fidanzata, ma in realtà quella sera era capitato nel parco litigando con la sua amante per motivi di interesse. Teodoro, soldatino calabrese, finisce per ammettere di essersi seduto su una panchina e di essersi addormentato. Infine Natalino, un tipo strano che reagisce alle domande come un animale braccato accusando due ragazzi che ha intravisto quella sera.. |
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Critica (1): | Le circostanze che avevano portato Bertolucci a girare La commare secca, aggiunte al ricordo dell'aiuto-regia dell'anno prima e alla firma sul soggetto, furono sufficienti alla critica italiana - del resto abbastanza concorde nella stroncatura - a liquidare il film con una definizione di comodo, quella di «pasolinismo senza Pasolini». Certo una lettura superficiale ed episodica della Commare secca legittima questo giudizio; ma a ben guardare una serie di differenze sintomatiche - differenze tra il film e il progetto di partenza, innanzitutto - mostrano che i punti di riferimento dell'esordiente Bertolucci sono altri.
Si diceva delle differenze rispetto al progetto: differenze di intreccio ad esempio. Se il meccanismo della storia è il medesimo (un'inchiesta, e ciascun personaggio che per cosí dire «confessa» la propria vita) i protagonisti in gran parte cambiano: cambia la vittima, che per Pasolini è un omosessuale e qui è una prostituta, cambia l'assassino, nel soggetto uno degli adolescenti e nel film un friulano trapiantato a Roma (si tratta certo, da parte di Bertolucci, di un gesto proditorio: Pasolini è di origine friulana, ed ha esordito con un libro di poesie in dialetto friulano...), cambiano certi indiziati (alcuni scompaiono, come certi sottoproletari «tipici», altri se ne aggiungono, come il soldatino inventato ex novo). Questi mutamenti fanno sí che nel film venga persa una certa compattezza d'ambiente propria del progetto pasoliniano ma che venga anche guadagnata una piú decisa varietà di quadri e di toni: si veda ad esempio la vicenda degli adolescenti, giocata su gesti minimi, su stupori e trasalimenti - e tuttavia fatta terminare in tragedia: Pipito e Francolicchio credono di essere ricercati dalla polizia per un piccolo furto, ed ingigantendo la loro colpa per la paura, fuggono; nell'attraversare il Tevere a nuoto uno di loro muore.
Ma le differenze che contano non sono ovviamente quelle dei «contenuti» narrati: l'area geografica e culturale cui il progetto del film si rifà - la medesima del resto che Pasolini aveva investigato nei suoi primi romanzi - rimane comunque un punto di riferimento vincolante. Le differenze piú interessanti sono invece quelle a livello delle scelte stilistiche: si prenda ad esempio il meccanismo di «soggettivizzazione» del racconto (i personaggi prima narrano, poi via via « vivono » la loro storia: l'azione ha inizio con un discorso in prima persona) e si vedrà come a Bertolucci non interessi tanto mostrare la scollatura che c'è tra quello che gli indiziati dicono e quello che è veramente successo quanto interessa invece generalizzare l'ambiguità e la relatività delle singole vicende e dei singoli brani di « vita vissuta ». In questo senso infatti la « soggettiva » di Bertolucci non rappresenta il punto di vista dell'uno o dell'altro tra i personaggi ma incarna lo sguardo complessivo di chi, messo di fronte a un brano di realtà, sa di non poter decidere la parte cui tenere, e sceglie allora di seguire i propri « interlocutori » con un misto di diffidenza e di affetto, aspettando che agiscano ed insieme cercando di ricostruire le loro azioni.
L'attesa e la memoria: sono queste due le misure de La commare secca; pensando ad esse, del resto, si coglie bene sia l'autonomia del giovane Bertolucci rispetto a Pasolini, sia la relativa singolarità della sua posizione (pur in un momento che abbiamo detto «di passaggio» per tutto il cinema italiano) sia infine l'esistenza di legami precisi con certe esperienze allora in pieno svolgimento quali ad esempio la «nouvelle vague». L'attesa e la memoria: vediamo allora a quali esiti questi due caratteri di fondo, svolti in una dimensione che potremmo dire privata, portano La commare secca. In primo luogo i personaggi del film rinunciano ad una statura «epica»: essi non sono veri e propri soggetti della storia come poteva esserlo ad esempio Accattone, ma sono figure in senso stretto, ossia degli individui che ricoprono visibilmente dei ruoli. Si pensi alla recitazione non sforzata ma volutamente sovratono negli episodi del Canticchia ticchia e del Califfo, o - per andare ad un momento di maggior partecipazione e minor distacco - alla dimensione di «catalogo di comportamenti» che assume l'episodio di Francolicchio e Pipito. In ogni caso è proprio muovendo da un rifiuto degli «eroi» e conseguentemente dello stile «grande» che Bertolucci trova la propria vena piú autentica, quella di un lirismo molto soggettivo ma anche un po' spettacolare: il suo sguardo, rivolto a «rappresentazioni» quasi private, è rapido, impressionistico, e insieme filtrato da qualcosa di decisamente individuale.
In secondo luogo La commare secca non nasconde l'ambizione di essere un film «prezioso» (nel senso in cui si dice «prezioso» di certi componimenti poetici) : ciò significa che al posto di inseguire - come avrebbe fatto un Pasolini un poco rosselliniano - lo «splendore del vero», Bertolucci cerca invece di arricchire la ripresa con tutto quello che c'è di palesemente filmico. Ecco infatti l'uso di movimenti di macchina assai complessi ed elaborati, come nella sequenza tra gli anfratti e gli alberi del bosco dell'Eur che precede il tentativo di furto compiuto dal Canticchia; ecco ancora la presenza di «citazioni» talvolta segrete (l'assassino, come s'è detto, rimanda a Pasolini; il Canticchia è nato lo stesso giorno di Bertolucci, ecc.) ma piú spesso pubbliche, e cioè riprese dall'universo cinematografico (il primo episodio è girato secondo un coté giapponese, il terzo nei modi del cinema-verità, ecc.) ; ecco infine l'uso di certe trovate stranianti, che portando il film a dire «di piú» di quello che dice la pura e semplice storia (l'episodio del Califfo, di per sé molto drammatico, è ironizzato da un tango quale commento musicale; il carabiniere che conduce gli interrogatori non è mai mostrato, rimane una voce oft, presente eppure lontana come il potere che rappresenta). Ma, ripeto, la preziosità de La commare secca è impostata fin dal primo momento proprio grazie al doppio filtro della memoria e dell'attesa, che intervengono a esaltare ogni gesto o a sottolineare ogni scoperta.
In terzo luogo il film tenta una ricerca linguistica particolare, quella riguardante l'uso dei tempi, e lo fa promuovendo a fatto di «contenuto» una zona di solito considerata solo strumentale. Nella Commare secca infatti, i singoli racconti non seguono una linea progressiva, ma si incastrano l'uno nell'altro e anticipano e posticipano gli avvenimenti al loro interno secondo una traccia sinuosa; in piú essi evidenziano dei momenti ricorrenti, una sorta di cadenzato che ritorna lungo tutta la narrazione: un'inquadratura con cui praticamente tutte le vicende singole si concludono (un'immagine del Parco Paolino, variamente ripresa e messa a fuoco, che dovrebbe però raggruppare tutti i protagonisti della storia) ; un dato «esterno» che accomuna i personaggi (un acquazzone che li ha sorpresi in varie situazioni, il pomeriggio del delitto) ; ed inoltre - invenzione certo straordinaria - una scena che interviene tre o quattro volte, ma sempre in modo immotivato, mostrando la prostituta che si prepara ad uscire, nella sua povera stanza, tra le sue povere cose: non sospetta del proprio destino, eppure è come rassegnata. Ora una tale costruzione ad incastri e ad iterazioni non istituisce soltanto una forte tensione narrativa capace di far vivere lo scioglimento finale come una sorta di liberazione, ma porta anche lo spettatore a riflettere sui nessi taciuti ma presumibili che si stabiliscono durante il racconto e non in vista della sua fine: la matassa della vita, pare suggerire Bertolucci, non è facile da dipanare; né è dato chi conosca già da sempre come stanno le cose.
La coscienza di una sorta di magma temporale, una preziosità di racconto, personaggi-figure che introducono uno sguardo liricheggiante: sono questi gli aspetti forse piú rilevanti di La commare secca, sostenuti tutti e tre da quella tensione di attesa e di memoria personali di cui s'è detto. Pasolini dunque rimane lontano, pur ponendosi in un certo senso come il capofila di quella corrente post-realista in cui anche Bertolucci si inserisce; rimangono lontane certe esperienze italiane coeve di riaggiustamento del neorealismo (pensiamo, per restare agli esordienti di quegli anni, all'inconscia scoperta di una «purezza» in Olmi o alla struttura storico-epica di Un uomo da bruciare dei Taviani-Orsini); sono semmai piú prossimi certi modi di un cinema «d'autore» molto indeciso - inevitabilmente - tra mediatezza. e immediatezza quale il contemporaneo cinema francese giovane, quello del primo Godard, per intenderci, o del primissimo Resnais, o di certi passaggi de Le signe du Lion di Rohmer. Questi richiami non sono vincolanti, beninteso; servono solo ad indicare un'area di ricerca comune: ma basta pensare, per delimitarla, alla presenza sia in Bertolucci che negli altri di momenti improvvisati dentro una struttura prevista, di un'ottica soggettiva che rifiuta però la deformazione violenta, di un'alternanza di passione ed ironia, di una ricerca di rigore «cinematografico», ecc. (...)
Francesco Casetti, Bernardo Bertolucci, il Castoro Cinema, dicembre, 1975 |
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