Tatjana - Pida huivista kinni Tatjana
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Regia: | Kaurismäki Aki |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Aki Kaurismäki, Sakke Järvenpää; fotografia: Timo Salminen; montaggio: Aki Kaurismäki; musica: The Renegades, The Regals, Veikko Tuomi, The Blazers, Helena Siltala, The Esquires, Piotr’ I. Caikovskij (Sesta sinfonia); suono: Jouko Lumme; scenografia: Kari Laine, Markku Pätilä, Jukka Salmi; costumi: Tuula Hilkamo; interpreti: Kati Outinen (Tatjana), Matti Pellonpää (Reino), Kirsi Tykkyläinen (Klavdia), Mato Valtonen (Valto), Elina Salo (la padrona dell’hotel), Irma Junnilainen (la madre), Veikko Lavi (Vepe), Pertti Husu (Pepe), Viktor Vassel (l’autista dell’autobus), Carl-Erik Calamnius (l’impiegato della stazione di servizio); produzione: Sputnik Oy/Pandora Film; distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Finlandia, 1994; durata: 65'. |
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Trama: | L’azione si svolge a metà degli anni Sessanta, l’età dell’oro, quando le industrie di automobili e le società di pulizie svedesi assorbivano i surplus della forza lavoro finlandese, quando si era appena aperta la prima pizzeria a Dappooranta, quando la maggior parte dei taxi erano delle Volga russe, quando andavano forte le battaglie tra i rockers e i beatniks ma a nessuno sarebbe mai venuto in mente di colpire qualcuno già a terra. Il titolo del film, Attenta al foulard, Tatjana, si spiega grazie a una delle usanze dell’epoca secondo la quale una ragazza o una donna, seduta in moto di traverso dietro al guidatore (a causa delle gonne strette che si portavano allora), copriva i suoi capelli, spesso con la permanente, con un foulard annodato sotto il mento. Il film è un road-movie sulle avventure di due finlandesi che viaggiano insieme su una Volga nera. Valto, l’uomo della Volga, consuma quantità prodigiose di caffè. Reino, meccanico, beve duro e parla, parla, parla. Due donne, una estone, l’altra russa, si uniscono alle loro peregrinazioni. Non è facile stabilire una comunicazione, anche perché i due uomini sono assolutamente incapaci davanti a una donna. Comunque, l’assurdo, a poco a poco, cede il posto ai sentimenti. Il film è una commedia che mostra al mondo il singolare universo mentale del maschio finlandese e illustra le relazioni finno-russo-estoniane.
Aki Kaurismäki, dal pressbook del film.
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Critica (1): | (...) Tatjana è un film di (falso) viaggio con un po’ di rock e con dei quasi proletari (un sarto con madre padrona e un meccanico). Quel che conta, comunque, non sono né il viaggio, ne il rock, né l’esser quasi proletari. O meglio: queste sono marche che fanno del cinema di Kaurismäki un cinema immediatamente riconoscibile e, in fondo, ripetitivo; sono segnali che stanno lì per dimostrare che siamo ancora una volta dentro lo stesso mondo e che, con ogni probabilità, non ne usciremo neppure stavolta. Quel che conta è appunto che, riconosciuto subito quel mondo, subito si capisca che non vi troveremo niente di diverso rispetto alle descrizioni che già ne abbiamo avuto nei film precedenti: anche stavolta cominceremo a girare in tondo intorno al niente, vedendo se sia mai possibile costruirci sopra qualcosa. (...) Kaurismäki conosce evidentemente bene le teorie antiche e moderne del viaggio, da Omero in giù. È stato Baudelaire (Le voyage) a tracciare il quadro di riferimento per il tema del viaggio in epoca moderna, fondandolo contradditoriamente sul desiderio di partire e sulla consapevolezza che si finirà sempre per stare nello stesso posto, dentro se stessi, quale che sia il posto in cui si sta. (L’aveva già sostenuto, ad esempio, Voltaire: «Le paradis terrestre est où je suis»). (...) È quello che succede nei film di Kaurismäki (...): il viaggio è un non viaggio e il racconto del viaggio è un non racconto, senza istruzioni, consigli, morali da trarne, senza più utile. (...) Valto fa il sarto. Lavora in casa su una macchina da cucire di marca Husqvarna (...). Vive con una mamma padrona e fumatrice di sigari che gli molla sberle se lui osa tirare una boccata. Beve di continuo caffè su caffè. Il suo amico Reino fa il meccanico e beve vodka su vodka. Valto chiude la mamma in uno stanzino, passa a prendere Reino e su una macchinona nera partono tanto per partire. Dopo l’incontro con la russa Klavdia e l’estone Tatjana, turiste rimaste a piedi per una panne al loro pullman, la mèta diventa il porto da dove prendere il traghetto per Tallinn, Estonia. Durante il viaggio si visitano hotel vuoti e tristi; Klavdia e Tatjana ballano in coppia in saloni malinconici; si pulisce l’astina dell’olio del motore con la cravatta; si fotografa, a testimonianza dell’avvenuto viaggio, una brioche. Nemmeno l’ombra di un paesaggio. Tutt’al più i due uomini si fermano a guardare la vetrina di una ferramenta e a discutere di chiavi inglesi mentre le donne aspettano. Si pronunciano pochissime frasi, tanto lapidarie quanto inconsistenti, tipo: «è una vita abbastanza dura», «un rocker non deve vivere a lungo», «la conoscenza tra i nostri popoli si è consolidata in questi giorni». Si arriva, quando proprio si va troppo in là, ad appoggiare la testa (di Tatjana) sulla spalla (di Reino) e il braccio (di Reino) sulla spalla (di Tatjana). Si torna infine alla Husqvarna, dopo aver liberato la mamma malconcia dallo stanzino. Si partecipa insomma (noi e i personaggi: tutti un po’ esteti, un po’ dandy, un po’ flaneurs), con distinta serenità e silenzioso distacco, alla rappresentazione della normale lontananza dalle cose e della reverenza che alle cose, agli altri e a noi stessi si dovrebbe imparare a portare. Senza alzare la voce e senza lamentazioni. Quasi sempre nel silenzio. (...)
Bruno Fornara, Cineforum n. 344, maggio 1995 |
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| Aki Kaurismäki |
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