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Nymph(o)maniac Vol. 1- Vol.2


Regia:Von Trier Lars

Cast e credits:
Sceneggiatura: Lars von Trier; fotografia: Manuel Alberto Claro; musiche: Rammstein; montaggio: Molly Marlene Stensgård; scenografia: Simone Grau Roney; arredamento: Thorsten Sabel; costumi: Manon Rasmussen; effetti: Peter Horth; interpreti: Charlotte Gainsbourg (Joe), Stellan Skarsgård (Seligman), Shia LaBeouf (Jerôme), Christian Slater (padre di Joe), Stacy Martin (Joe ragazza), Jamie Bell (K), Uma Thurman (Sig.ra H),Willem Dafoe (L), Mia Goth (P), Sophie Kennedy Clark (B), Connie Nielsen (madre di Joe), Michaël Pas (Jerôme adulto), Jean-Marc Barr (debitore), Udo Kier (cameriere), Nicolas Bro (F), Hugo Speer (Sig. H), Jens Albinus (S), Felicity Gilbert (Liz), Tabea Tarbiat (Valeria), Tania Carlin (Renée); produzione: Zentropa Entertainments-Zentropa International-Slot Machine-Zentropa International France-Caviar, Zenbelgie-Arte France Cinèma; distribuzione: Good Films; origine: Danimarca-Germania-Francia-Belgio, 2013; durata di ciascuna parte: 145’. VM 18

Trama:La sera di un freddo inverno, il vecchio Seligman, scapolo affascinante, trova Joe percossa e tumefatta in un vicolo. La porta nel suo appartamento dove si prende cura delle sue ferite mentre lei gli racconta la sua vita autodefinendosi ninfomane. Seligman ascolta con attenzione Joe che, nel corso di otto capitoli, racconta la lussuriosa e avventurosa storia della sua esistenza, ricca di relazioni e incidenti di percorso.

Critica (1):È una delle prime cose che ti insegnano a educazione sessuale: il coitus interruptus non solo è rischioso ma abbassa molto anche la soglia del piacere. E infatti, alla fine delle due ore e 25 minuti di questo Nymph()maniac vol . I (la «o» del titolo è sostituita da due parentesi tanto per non cadere nel dubbio: si parla di quella cosa lì!), proprio sui titoli di coda scorrono delle immagini del vol. II e la sensazione di essere rimasto a metà, e per giunta sul più bello, si fa strada. Le ragioni di questa scelta tronca sarebbero state da chiedere al regista Lars von Trier, dopo la presentazione fuori concorso al festival di Berlino della sola prima parte, pur se integrale, ma il discusso regista danese non si è presentato alla conferenza stampa (...) E così siamo restati tutti con i nostri dubbi. Che cosa racconta allora questa prima parte? L'incontro casuale tra Joe e Seligman, cioè tra Charlotte Gainsbourg e Stellan Skarsgård. Il secondo la trova pesta e priva di sensi per strada e la porta a casa, dove lei comincia a raccontare all'uomo come è finita così malconcia. E la prende da lontano, dalla scoperta infantile della propria sessualità, che lei chiama nel modo più diretto possibile. Da subito, fin dalla postura dei due (lei sdraiata a letto, lui su una sedia) si capisce che quello a cui von Trier ci invita è un viaggio psicoanalitico intorno al tema della sessualità vista dalla parte femminile. Lei racconta, mettendo subito in chiaro la sua «ninfomania», e lui domanda, puntualizza, spiega. È la parte più convincente del film, anche per merito dei due attori che sanno restituire, attraverso una serie di primi piani sempre più ravvicinati, la forza emotiva dei discorsi. Qualche volta viene il dubbio che von Trier stia provocando a bella posta – il paragone tra l'adescamento femminile e la pesca con la mosca – altre volte sembra voler usare il film per scusarsi (dopo le accuse di antisemitismo fa del comprensivo personaggio di Seligman un ebreo) o per smontare le certezze dei luoghi comuni (difficile contestare Joe quando sostiene che il rapporto tra i delitti commessi per amore e quelli per sesso è di cento a uno) ma in generale l'ambizione non comune dell'operazione mi sembra sorretta da una drammaturgia adeguata. Dove il gusto della provocazione fine a se stessa ritorna a fare capolino è nei tanti flash back con cui Joe racconta la sua odissea sessuale. Qui la Gainsbourg lascia il campo all'esordiente Stacy Martin (tornerà protagonista al 100% nella seconda parte) a cui tocca il compito di dare un volto e un corpo al suo lungo viaggio nel sesso. E qui le immagini, spesso molto realistiche, finiscono per dimostrare minor efficacia delle parole, di cui perdono la forza evocativa e allusiva. Con un'eccezione, però, quando Uma Thurman entra in scena: una lunga, straordinaria scena, fatta di rabbia vendicativa e dolore trattenuto, di grande forza e ancor più grande emozione, che riscatta le inutili scivolate nel troppo esplicito che ogni tanto fanno capolino. E che fa rimpiangere un film sullo stesso argomento ma con una forma diversa. Anche se vederne solo metà resta l'errore più grande e imperdonabile di von Trier.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera, 10/2/2014

Critica (2):Film femminista o misogino? si interroga sulle colonne de 'Les Inrockuptibles' il critico e amico Serge Kaganski. Nessuno dei due verrebbe da dire, anche se la misoginia più del femminismo è inscritta profondamente nell'universo di von Trier. O meglio più che di misoginia si può parlare di un perverso piacere del martirio del femminile, condannato dalla comunità a atroci tormenti, alla follia o al massacro in nome di un qualche sacrificio sociale personale amoroso. Era il motivo che rendeva odioso Le onde del destino e pure l'escursione medievale di Antichrist sempre in complicità come in Nimph(o)maniac con Charlotte Gainsbourg, dove la follia della protagonista, che dal contemporaneo si immerge nella violenza del medioevo, quando per eliminare le donne le si accusava di essere streghe, elabora una vendetta contro il maschile che nasce comunque da una colpa. (…) Nelle Onde del destino avevamo invece il riscatto del marito malato, che la protagonista ottiene attraverso la devastazione sessuale (fino alla morte) di se stessa. L'equazione sesso/colpa/redenzione/morte finisce sempre contro la donna, e riuscire a vedervi un rovescio in questi film è impossibile nonostante la evidente distanza dal maschio del regista che mette sempre le donne al centro dei suoi film. L'inizio di Nymph(o)maniac che già dal titolo gioca con una delle sue metafore predilette, la pesca, come migliore amica dell'uomo ma anche come paradigma «semplice» della sessualità (il protagonista ci dirà lungamente della pesca a ninfa, indicate sui manuali come molto efficace e difficile, che fa leva sulla certezza che i pesci (i maschi?) passano il loro tempo a nutrirsi), ci fa vagare in un vicolo stretto e piovoso. La macchina da presa con virtuosismo contenuto si muove tra i mattoni, e scopre il corpo di una donna svenuta (Charlotte Gainsbsourg). Intanto in casa un uomo (Stellan Skarsgård) scende a comprare latte e dolci per la colazione. Solo, con una sportina, che sembra uscito da un film di Kaurismaki. La vede, la solleva, la porta a casa. Le offre un letto pulito, un pigiama, il the caldo che aveva chiesto. E comincia ad ascoltare la sua storia. Nymphomaniac volume 1, in attesa del volume 2, è un lungo flashback, punteggiato da continui ritorni al presente, a quella stanzetta con la luce fioca, in cui Joe (Gainsbourg), ripercorre per Seligman (Skarsgård) la sua adolescenza. I ricordi vengono interrotti da riflessioni e considerazioni su quanto lei sta raccontando. L'uomo è il suo specchio ma anche colui che oppone un ragionamento «culturale» all'ossessione della donna di presentarsi come una peccatrice a ogni costo. (...) Non siamo però in un vero e proprio romanzo di formazione, non almeno in questo volume 1, che più di un'esplorazione dell'erotismo e delle sue variazioni possibili, appare come una catalogazione dei topici del sesso. Porno, forse, ma nemmeno fino in fondo. Il dialogo a due appare più come una sorta di seduta psicanalitica, in cui da una parte e dall'altra c'è sempre il regista, Lars von Trier. Il quale sembra mettere a confronto il suo universo filmico, e le sue donne martoriate e «peccatrici», con una demistificazione dello stesso. (...) La scelta stilistica di von Trier è morbida, la macchina da presa ha abbandonato da tempo i movimenti del Dogma. Il sesso sono primi piani di genitali come da manuale, e la catalogazione dei peni fatta da Joe, ma in questo primo volume siamo sempre dalle parti di una sessualità d'accumulazione con poco piacere, e anche poca fantasia nelle posizioni sciorinate. Infine più che un film sul sesso, Nymphomaniac appare come una affabulazione narrativa attraverso il sesso, nel corso della quale il regista cerca la corrispondenza tra parola e immagine forzandone i limiti dentro lo stereotipo. Comune e popolare, mischiato al pensiero di una filosofia che oscilla intorno al concetto di peccato con umorismo e autoironia. Joe si rappresenta come una grande peccatrice, il suo ascoltatore la smonta. Il maschile, appunto, è anche qui opaco e strumentale. Se non patetico come l'amante che si presenta con le valigie a casa di Joe pronto a trasferirsi (ma chi lo vuole?) seguito dalla moglie (Uma Thurman meravigliosa) chef a una scenata da tragedia greca... Gli uomini anche quando amati, sono sempre proiezioni di lei, di questa sua lunga confessione. Ma è proprio questa dualità che rende possibile il gioco, per uno dei film meno dogmatici, del regista (qualcuno ha citato Seidl o addirittura Dreyer ma siamo lontanissimi dall'uno e dall'altro). È come se entrambi i personaggi cogliessero l'occasione di stare lì per ripercorrere il suo cinema, e le sue ossessioni, mostrandone il funzionamento e anche i limiti. Ma anche, e forse soprattutto, la possibilità di narrare il sesso e la sessualità, e di rendere immagine il desiderio. Cosa difficilissima che porta con sé anche nelle esplicitazioni più nette la delusione. Un po' come il virtuale e il reale, ma questa sarebbe un'altra storia.
Cristina Piccino, il manifesto, 11/2/2014

Critica (3):La seconda parte del film di Von Trier ricomincia esattamente dove si era interrotta la prima. Jerome e Joe sono di nuovo assieme, hanno un figlio, ma raggiunta la serenità familiare, la protagonista sembra perdere ogni capacità di appagamento sessuale. In un impeto di generosità, Jerome le concede di vedere altri uomini e sperimentare ogni perversione, da un comico rapporto a due con muscolosi uomini di colore – più intenti a litigare sulle rispettive posizioni che a soddisfare le voglie di Joe – sino ad un lungo rapporto sadomasochistico che la protagonista intrattiene con il misterioso Mister K. Nonostante i suoi obblighi di madre e moglie, Joe sparisce nella notte per raggiungere un ufficio in cui K somministra frustate e altre violenze ad un piccolo gruppo di donne, che attendono pazientemente il proprio turno in una curiosa sala d’aspetto.
È il sesto capitolo del film: The Eastern and the Western Church (The Silent Duck) che prende spunto da un’icona russa appesa alla parete della stanza di Seligman, per mostrare l’ennesimo detour morale e sessuale di Joe, che finirà per distruggere il proprio rapporto con Jerome, quando una notte, il loro bambino sarà sul punto di fare la stessa fine di quello di Antichrist, in una curiosa e improbabile riproposizione dello stesso contesto narrativo e musicale.
L’atteggiamento spregiudicato di Joe, anche sul lavoro, la conduce ad un gruppo di sostegno per sex addict, che le impone una forzata astensione. Nella parte migliore di questo volume 2, la protagonista rimuove dal proprio appartamento qualsiasi elemento che possa sollecitare il suo desiderio. Persino gli specchi della casa sono oscurati, il telefono tagliato e gli spigoli smussati. Ma l’astensione forzata non potrà durare a lungo.
In The Mirror Joe finisce per cambiare lavoro, grazie all’intervento di L, un ambiguo personaggio che la assume per la sua spregiudicatezza e le affida il compito di convincere, con ogni mezzo, alcuni debitori, riluttanti a far fronte ai loro obblighi. Joe si trova finalmente a suo agio in un ruolo di comando e di potere, e su suggerimento di L, nell’ultimo capitolo del film The Gun, si sceglie un’erede che possa portare avanti la sua attività con dedizione assoluta. La individua nella giovane P, un’adolescente sola al mondo, di cui diventa prima una sorta di genitore adottivo, quindi un’amante, infine una rivale…
Von Trier svela il mistero che preludeva all’incipit, con Joe picchiata ed abbandonata in strada, prima di chiudere con una sorta di sberleffo stonato e posticcio. (…)
È un peccato che il questo secondo volume ritornino i vezzi più fastidiosi dell’ultimo Von Trier, la sua pedanteria ideologica ed anche la sua misoginia latente, ad inquinare il magnifico ritratto femminile che era riuscito ad imbastire nella prima parte, rimanendo in perfetto equilibrio tra provocazione e grande racconto, ironia e commozione. Anche dal punto di vista visivo, questo secondo episodio è ancor più convenzionale, con solo un paio di sequenze da ricordare: la visione mistica della giovanissima Joe, proprio all’inizio e l’immagine dell’albero piegato dal vento nella seconda metà. Per il resto Von Trier alterna senza troppa fantasia – almeno in questa versione corta del film – immagini assai esplicite delle perversioni sessuali di Joe, a momenti in cui più classicamente si limita solo a suggerirle, mostrandone gli effetti sui volti e nelle espressioni dei protagonisti.
Peccato che il film negli ultimi suoi tre capitoli non mantenga le promesse e vada come spegnendosi in un sensazionalismo di maniera, che nulla aggiunge a quanto già detto da Pasolini, Bergman e Oshima, molti anni fa. In particolare, sembra essere proprio il maestro svedese il nume ispiratore di questa seconda parte, soprattutto i suoi film sul silenzio di Dio e sull’amore borghese, ma siamo molto lontani dal rigore tragico di Persona o dalla ricostruzione d’ambiente di Fanny e Alexander.
stanzedicinema.com

Critica (4):Joe prosegue la narrazione della sua vita in rapporto con la sessualità mentre l'anziano Seligman la ascolta suggerendo, talvolta, inattesi paralleli. Apprendiamo così che il blocco dell'orgasmo con cui si chiudeva il primo volume continua e Jerome è, obtorto collo, costretto ad accettare che Joe cerchi altri uomini per trovare soddisfazione. Questo però non impedisce che nasca un figlio la cui presenza non contribuirà però a cementare la coppia. Tra esperienze con africani ed esplorazioni del proprio versante masochistico, Joe scoprirà anche l'interesse per un rapporto lesbico. Quando un film viene diviso dal suo autore in due parti a causa della lunghezza il rischio che si corre è quello di non valutarlo come un'opera unica come invece è. Perché di fatto Von Trier prosegue il percorso iniziato con il Volume 1 semmai forzando ancor più gli elementi già messi in gioco. A partire dai nomi. Perché il fatto che la protagonista si chiami Joe e che partecipi (per poco tempo) a riunioni di sex addicted dovendosi presentare prima di prendere la parola non può non richiamare alla memoria l'alcolista protagonista di My Name is Joe di Ken Loach. E se il perfido Von Trier avesse volutamente affibbiato al suo quasi incolore e introverso ascoltatore Seligman il nome dello psicologo teorico dell'apprendimento dell'ottimismo e ideatore del concetto di impotenza appresa? Quello che è certo è però che il regista danese ci fornisce un'esplicita autocitazione presa di peso da Antichrist e ricontestualizzata nella storia di Joe. Di lei seguiamo il lucido percorso di ricerca del superamento della solitudine mettendo ogni volta alla prova la capacità di sottomissione alle esperienze più umilianti con l'intenzione di separare il sesso dal sentimento.
Ancor più che nella prima parte Von Trier si diverte a provocare fino a sfiorare la blasfemia per poi ritrarsi o a creare arditi paralleli tra la storia della religione e le impostazioni che Joe ha dato alla propria vita. Ma la provocazione non può (e forse non vuole) nascondere ciò che appare sempre più evidente: tutti i suoi film ma questo più di tutti costituiscono una lunga seduta psicoanalitica in cui con sadomasichistica lucidità si mette a nudo. Perché Lars è Joe, così come è Seligman. È un narratore che ama ascoltarsi, è un affabulatore in cui invenzione e dati di realtà finiscono con l'intrecciarsi ma è anche colui che cerca di sublimare le proprie pulsioni con la cultura e la citazione alta. È l'intellettuale che non ha ancora deciso se sia meglio tagliarsi le unghie delle mani a partire dalla destra o dalla sinistra ma che conosce bene (forse perché li ha visti in se stesso) i lati oscuri dell'essere umano. Tenendo però sempre fermo un principio caratteriale inalienabile che ha attribuito ai suoi personaggi femminili (anche a quelli apparentemente più passivi): l'autodeterminazione. Joe è una di loro.
Giancarlo Zappoli, mymovies
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