Terramatta
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Regia: | Quatriglio Costanza |
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Cast e credits: |
Soggetto: tratto dalle memorie autobiografiche "Terra Matta" di Vincenzo Rabito (Ed. Einaudi); interpreti: Roberto Nobile (narratore), Turi Rabito (se stesso), Tano Rabito (se stesso), Giovanni Rabito (se stesso); produzione: Cliomedia Officina e Cinecittà Luce, in collaborazione con Film Commission Regione Siciliana, in associazione con Stefilm; distribuzione: Istituto Luce-Cinecittà ; origine: Italia, 2012; durata: 74’. |
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Trama: | Una sinfonia di paesaggi di oggi e di ieri, filmati d’archivio e musiche elettroniche, terre vicine e lontane. Una lingua inventata, né italiano né dialetto, musicale ed espressiva come quella di un cantastorie. Nato nel 1899, l’analfabeta siciliano Vincenzo Rabito racconta il Novecento attraverso migliaia di fitte pagine dattiloscritte raccolte in quaderni legati con la corda. Dall’estrema povertà al boom economico, è un secolo di guerre e disgrazie, ma anche di riscatto e lavoro. Il punto di vista inedito è quello di un ultimo che, scrivendo la propria autobiografia, rilegge la storia d'Italia in una narrazione appassionata e travolgente che emoziona e commuove, obbligando a fare i conti con verità contraddittorie e scomode. |
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Critica (1): | Vincenzo Rabito di Chiaramonte Gulfi, provincia di Ragusa è stato protagonista, postumo, di un caso editoriale. Terramatta, il suo diario di tremila fittissime pagine è stato pubblicato in sintesi da Einaudi qualche anno fa. L'aspetto curioso è che Vincenzo, morto nel 1981 era, come scrive lui, inalfabeta. Quindi ha scritto con una lingua tutta sua, particolare, singolare, efficace. Ci sono magnifici sussulti linguistici: la madrepatria diventa madrepadre, gli americani si trasformano in amiracani, i fuochi artificiali delle feste della Madonna ricordano gli scoppi della guerra e diventano i fuochi altiufficiali, in guerra si usava la tintura di iodio che diventa appropriatamente tintura di odio. Scorrere quel che ha scritto Vincenzo, ragazzo del '99 è fantastico perché significa rileggere la storia d'Italia del'900 osservata dal punto di vista di un ultimo. Ecco quindi la prima guerra mondiale, che lui fa come ragazzo del '99, poi il fascismo e l'adesione per avere lavoro, poi la guerra d'Africa dove è finito come volontario per ignoranza e raggiro, gli fecero firmare dei fogli senza spiegare cosa fossero. Poi la seconda guerra mondiale, l'arrivo degli americani in Sicilia, il dopoguerra, la repubblica, il 1948 e i comunisti, il governo Dicaspere. Lui sempre a sgobbare. aveva cominciato a sette anni per mantenere la famiglia numerosa, babbo è morto presto. Cosa che non gli impedisce di avere tre figliuie e massacrarsi per farli studiare e quando il maggiore si laurea in ingegneria beh... è facile immaginare cosa possa avere provato. Ora quella massa di parole che raccontano una vita e un intero paese sono diventate un documentario per opera di Chiara Ottaviano che lo ha prodotto (con la Sicilia Film Commission) per la regia di Costanza Quatriglio che abbiamo incontrato a Venezia, dove il film è stato presentato nell'ambito delle Giornate degli autori. La prima cosa che ha catturato Costanza leggendo il libro è stata «la lingua così sgrammaticata così efficace. Ne ero entusiasta, poi Chiara Ottaviano mi ha chiamato per dirmi ma perché non ci facciamo un film? Lei aveva in mente una ricostruzione storica, io pensavo invece al documentario, ho voluto costruire il film così, usando il linguaggio, creando un link tra passato e presente. Avevo di fronte una materia immane e dovevo trovare una chiave di lettura. Ho assunto il punto di vista di Vincenzo Rabito, poi ho chiesto a Roberto Nobile di interpretare il narratore lavorando su un doppio livello: da un lato sono il narratore, dò a te la mia voce, un tono epico per ciò che racconto, ma anche intimo perché lo racconto solo a te singolo spettatore. Dall'altro lato sono anche l'oggetto delle cose narrate. Il linguaggio nasce dall'esigenza di essere in soggettiva. Ho voluto raccontare il paesaggio come lui lo attraversava e ho usato il materiale d'archivio rivisitandone il senso. Perché la storia di un ultimo che riscrive la nostra storia deve vincere sulla storiografia ufficiale. Quindi le immagini solenni dell'ufficialità, quelle dell'Archivio Luce, che appartengono a una visione di regime. Del fascismo, ma anche quelle successive, sono state piegate alla realtà di Rabito. Per cui la Prima Guerra mondiale è come un piccolo film muto con la parola che quasi si fa icona di se stessa, mentre per la parte in Africa ho giocato quasi come se lui fosse spettatore di un film di regime». Per affrontare questa marea di testo scritto da un autodidatta bisognava trovare una chiave. Costanza racconta: «La ricerca è nata dopo aver cercato di comprendere chi fosse Vincenzo Rabito e l'ho capito quando lui, negli anni '30, durante il fascismo, a un professore che gli chiedeva cosa avesse letto replica così 'il libro dell'opera dei pupi della storia dei paladini di Francia e il libro del Guerino il meschino.'. Quindi lui si era affrancato da una condizione di totale analfabetismo attraverso una cultura orale, radicata nel territorio quella dello cunto e dei pupi. Tra parentesi Manzoni nei Promessi sposi dice del sarto che... sapeva tutto, che era un uomo di cultura perché aveva letto il libro dell'opera dei pupi e il Guerin meschino». Rabito racconta e affascina, parlando della trincea e dell'Isonzo mentra intorno scoppiano la cannonate nemiche dice «la terra tutta tremava e io tremavo come la terra», una sintesi fulminante. Anche per la regista «Lui vive fino in fondo quel che gli capita, la Prima Guerra mondiale, l'essere andato in Africa col fucile senza volerlo, e in vecchiaia rielabora (i testi sono stati scritti dal 1970 in poi) e nella rielaborazione riesce a trovare un filo e questa è la cosa meravigliosa. Il passaggio “la terra tremava e io...” è per me uno dei più belli del libro, mi sono molto emozionata e mi ha fatta innamorare di questo testo e convincere a fare il film. Quando ho letto il libro di Einaudi, l'ho fatto diventare mio con gialli, rossi, verdi, blu tutti i colori per segnare le parti che volevo usare, poi ho cercato di filmare i quaderni originali, ma stanno all'archivio di Pieve Santo Stefano, e io non ho potuto andarci così non ho avuto accesso a quei quaderni. Ma in casa dei figli ci sono degli altri quaderni che sono stati trovati successivamente perché lui una volta che si era visto sottratto il diario dal figlio che li aveva presi e mostrati in giro, li ha riscritti da capo, era talmente ossessionato che trovava le stesse parole. Questi nuovi quaderni io li ho fisicamente posseduti per tutto il tempo in cui abbiamo fatto il film. Li ho letti, li ho posseduti con la macchina da presa con un obiettivo macro molto potente per planare su parole che diventano gigantesche. Poi messi tutti in fila abbiamo realizzato un carrello di dodici metri. Facendo impazzire la produzione. Non finivamo mai di filmare i quaderni perché aprivi a caso e trovavi cose magnifiche, un autentico godimento. E ho cercato sempre di tenere l'io, la soggettività».
Con Costanza c'è anche Roberto Nobile, compaesano dei Rabito che ha conosciuto Vincenzo, è lui la voce narrante in soggettiva. E Nobile racconta: «sono amico del figlio minore e lui mi faceva leggere i manoscritti da ragazzo. Lui voleva farli pubblicare e uno degli escamotage fu quello di riscriverlo in una lingua più commestibile. Lui mi mandava tutto per un giudizio. Quindi ho letto tutto. Siamo dello stesso paese, avevo una possibilità di identificazione molto forte anche perché l'ho conosciuto di presenza. Ha tradotto il suo pensiero con il vocabolario che aveva».
In una vita intera e talvolta grama non mancano episodi disgraziati. Tra questi uno stupro che ha visto Vincenzo complice di un amico elettricista che intendeva vendicare uno sgarbo perpetrato da una ragazza friulana. Vincenzo non rimuove, non edulcora, racconta anche quello «È stato difficile affrontare lo stupro – racconta Costanza – in tutto il dattiloscritto c'è sotteso un filo di ironia, ma per quella pagina oscura, scomoda, inedita ho dovuto trovare una chiave, ho cercato di dare l'idea della pagina nera per questo la pagina del quaderno è in negativo per poi riemergere con la macchina per scrivere quasi a uscire dall'incubo.
Perché lui racconta senza il filtro dell'autocensura, mentre nei libri di storia non si parla di violenza nei confronti delle donne. C'era il rischio di respingere lo spettatore, ma quella pagina gli dà la patente dello scrittore perché entra nelle pieghe della storia. Era un rischio da correre, metterlo in fondo, dopo avere conosciuto il protagonista sarebbe stato un errore madornale». Anche Nobile aggiunge qualcosa che chiarisce: «Vincenzo ha cominciato a scrivere nel '69 o ‘70, suo figlio mi dava questi fogli scritti a macchina, difficili da leggere perché non c'erano interspazi, per
risparmiare metteva le parole tutte insieme e c'erano episodi straordinari che non ci sono poi nel libro. A un certo punto lui lo dice: ‘la vita bisogna viverla anche per raccontarla’, ‘se nella vita l'uomo non c'incontra aventura non ave niente da racontare’. Credo avesse un'intenzione costante di registrare bene quello che gli succedeva al punto da ricordarsi tutto perfettamente anche a distanza di cinquanta anni. Credo anche che lui avesse una sorta di sua etica anche sull'episodio di Pilanina, quella dello stupro, e che consiste nel dire ‘io racconto anche le cose che sono sgradevoli’. Per esempio lui scrive anche di un altro episodio quando suo figlio piccolino, l'ultimo, ha dato uno schiaffo a un bambino suo coetaneo. Arriva il padre di questo bambino e dice tuo figlio ha dato uno schiaffo a mio figlio e ha mollato uno schiaffo a Vincenzo. Per noi siciliani e soprattutto per lui di una certa generazione confessare che uno ti ha dato uno schiaffo... beh... e lui conclude dicendo e io me lo sono preso. Questo è veramente segno di grandissima onestà, come se avesse una moralità. Forse non pensava di farli leggere, quando suo figlio mi dava questi fogli poi li rimetteva a posto perché sembrava una cosa sua, del padre, una cosa molto privata di cui era molto geloso». Ora non rimane che far vedere, a tutti, questa storia d'Italia del '900 vista dal basso e raccontata con magnifici sussulti linguistici.
Antonello Catacchio, il manifesto, 8/9/2012 |
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