We are legion: the story of the hacktivists
| | | | | | |
Regia: | Knappenberger Brian |
|
Cast e credits: |
Fotografia: Lincoln Else, Dan Krauss, Scott Sinkler; montaggio: Andy Robertson; musiche: John Dragonetti; produzione: Brian Knappenberger; origine: Usa 2012; durata: 94′. |
|
Trama: | Anonymous è un collettivo di hacker e attivisti, famoso per gli attacchi ai siti web di grandi gruppi come Scientology, PayPal, Sony. Gli hacktivist che fanno parte del gruppo rifiutano le gerarchie, si battono per la libertà d’espressione e contro il potere economico delle multinazionali, e le loro azioni hanno ridefinito il concetto di disobbedienza civile su internet. Grazie alle testimonianze di attivisti ed esperti, il documentario ricostruisce la storia del gruppo dalle origini, gli hacker di Cult of the dead cow e i siti di riferimento come 4chan, fino alla maturazione politica e al ruolo assunto nella primavera araba e nel movimento Occupy. Nato come forum sul web, Anonymous è diventato un movimento globale capace di sfuggire a ogni strumentalizzazione |
|
Critica (1): | Il regista ha voluto ripercorrere, in oltre novanta minuti di film, l’evoluzione del fenomeno Anonymous all’interno dei più generali movimenti di attivisti che stanno operando in questi ultimi anni. Gli aspetti interessanti, trattati, sono diversi. (...)
La prima parte del film, “The History”, è dedicata, dopo una prima intervista a una ragazza diciannovenne arrestata a seguito dell’Operazione Payback e dopo un cenno all’ambiente hacker del Mit degli anni Sessanta (con un’intervista allo scrittore Levy), all’analisi della bacheca “4chan” e alla nascita di una comunità di soggetti che si ritrovano su tali pagine non solamente per comunanza d’interessi ma anche per affinità di linguaggio (soprattutto scherzoso) e ideali.
In questa prima parte del documentario il fenomeno dell’hacktivism è descritto ancora in embrione capace già, però, di destare la curiosità dell’interprete (per l’importanza futura che assumerà). Al centro dell’attenzione, si è detto, una bacheca, 4chan, con una grafica da sito web degli anni Novanta ma che diventa ben presto il più importante luogo di aggregazione al mondo e che rende, contestualmente, il ragazzino che l’ha fondata un paladino della libertà di manifestazione del pensiero e della opposizione alla censura.
In un contesto così informale, e per certi versi estremo, nato per la passione del fondatore per i manga e contenente immagini di ogni tipo, senza limiti né censure (compresa la celebre bacheca /b, in gergo “b board”, dove sono pubblicate random quelle immagini che servono a far sì che non si ritorni a vedere le immagini di quella board…) il regista cerca di individuare i semi di quel movimento che farà della libertà di manifestazione del pensiero e della lotta al potere (e al segreto custodito dal potere) la sua bandiera.
Suggestivi i riferimenti, che i nostalgici apprezzeranno, a Cult of The Dead Cow (indicato come punto di partenza dell’hacktivism), al collettivo hacker Lopht, all’ambiente dei trenini del Mit e al sense of humor correlato alle azioni dei primi hacker.
La parte centrale del film, per la verità piuttosto lunga, affronta invece il momento in cui questo apparente gruppo di “angry teens” raggiunge la maturità e, in un certo senso, manifesta il suo potere. La prima occasione è la battaglia contro un colosso del calibro della Chiesa di Scientology, battaglia motivata dall’urgenza di libertà di diffusione di contenuti in rete.
Numerose interviste toccano punti di grande interesse: l’opposizione alle minacce (“ci avevano detto di non far circolare in rete il video di Tom Cruise, ma non possono dirci cosa far circolare o no in Internet. Questo è il nostro territorio”) e la volontà di scardinare segreti (e Scientology è vista come il regno del segreto) sino alla consapevolezza dell’impatto politico che possono avere le loro azioni, anche nei confronti di grandi gruppi di potere o corporation, se coordinate in maniera efficace.
La terza parte riguarda, infine, gli arresti che furono conseguenza dell’attacco a siti web quali quelli di PayPal e Visa in seguito al boicottaggio di molte aziende operato contro WikiLeaks e a un nuovo mutamento di prospettiva di lotta con lo schieramento a fianco di dissidenti in Paesi in rivolta (quali Egitto e Tunisia). In questo caso Anonymous diventa, anche, caso di cronaca (strettamente legato all’esplosione del caso WikiLeaks) e le tecniche di attacco (ad esempio con il software Low Orbit Ion Cannon o con nuovi sistemi di attacchi basati sul DenialOfService) vengono affinate.
Il potere di Anonymous di essere “qualunque cosa” e “ovunque”, senza un centro, e di fornire strumenti, anche tecnologici, per la protesta che sono d’incredibile efficacia, è probabilmente il lato più affascinante del documentario.
Contestualmente, l’idea di Anonymous che ne viene fuori (e come gli stessi ex attivisti intervistati interpretano) quale un vero e proprio sistema di relazioni tra persone con grandi competenze, di tutte le età, arriva a disegnare un caleidoscopio senza possibilità di definizione precisa ma con alcuni punti comuni, che sono la condivisione delle informazioni e di tecnologie, la convinzione di essere dalla parte giusta, la motivazione delle azioni in base a principi ritenuti corretti e l’opposizione costante al potere e al segreto.
“Power” si noti (e non è un caso) è il termine che ricorre con più frequenza nel film.
Giovanni Ziccardi, ilfattoquotidiano.it, 3/10/2012 |
|
Critica (2): | |
|
Critica (3): | |
|
Critica (4): | |
| |
| |
|