Orgoglio degli Amberson (L’) - Magnificent Ambersons (The)
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Regia: | Welles Orson |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Orson Welles; Basato sul testo: Di Booth Tarkington; fotografia: Stanley Cortez, Orson Welles, Jack MacKenzie; musiche: Roy Webb, Bernard Herrmann; montaggio: Mark Robson, Robert Wise; interpreti: Joseph Cotten (Eugene Morgan), Dolores Costello (Isabel Amberson), Anne Baxter (Lucy Morgan), Tim Holt (George Amberson Minafer), Agnes Moorehead (Fanny Minafer), Ray Collins (Jack Amberson), Erskine Sanford (Roger Bronson), Richard Bennett (Maggiore Amberson), Don Dillaway (Wilbur Minafer), Gus Schilling (Impiegato Emporio); produzione: Orson Welles Per La Mercury Productions; origine: USA, 1942; distribuzione: Rko; durata: 88’. |
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Trama: | Ambientata nei venti anni a cavallo tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, quando la nascente industrializzazione stravolse abitudini consolidate, la storia degli Amberson, una ricca famiglia del sud degli Usa, narra il loro tramonto per l’incapacità di accettare il cambiamento. La vedova Amberson vorrebbe risposarsi ma suo figlio, orgoglioso ed egoista, glielo impedisce. La donna muore di dolore e lui, ammaestrato dall’esperienza, apre gli occhi e sposa la figlia del mancato patrigno. Regia accuratissima, bellissima fotografia di Stanley Cortez e recitazione eccellente fanno del film un lavoro di prim’ordine. È il secondo film di Welles, dopo il capolavoro Quarto potere dell’anno prima. La suggestione non è la stessa ma il film ha una sua grande robustezza e preziosità stilistica (i maligni dissero che la prima era dovuta al montaggio eseguito dai collaboratori di Welles, partito per l’Europa). |
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Critica (1): | Orson Welles [...] è un re in esilio, che porta il suo regno dovunque vada, con autentica regalità. Un vero personaggio shakespeariano, con una corona magari di latta sulla testa, ma con una dignità scolpita nel più puro dei metalli. Ha fatto troppo pochi film, forse: in parte anche per colpa sua. Ma L’orgoglio degli Amberson è un capolavoro: mi piace il modo in cui Welles usava allora il cinema, quel suo senso barocco ed avvolgente, da pittore di soffitti.
Federico Fellini, in Dario Zanelli, Nel mondo di Federico, Torino, ERI, 1987 |
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Critica (2): | Anche se preferito da Bazin e dallo stesso Welles, L’orgoglio degli Amberson riscuote ancora meno successo di Citizen Kane, da cui comunque si differenzia per numerosi aspetti: a un primo sguardo, appare molto meno “virulento”, molto meno “barocco”, molto più maturo, più “sociale”, più “tecnico” [...] Il finale “roseo e ottimistico” introduce la “rissa” (la prima di una lunga serie, in verità) tra il regista e la produzione, accusata di avere introdotto aggiunte e apportato tagli mentre egli – siamo in tempo di guerra – si trova in America Latina su richiesta del governo. Comincia così, con L’orgoglio degli Ambersons, la lunga fila dei film rimaneggiati arbitrariamente da persone più o meno estranee e da lui rifiutati come spurii. [...] Ha scritto Truffaut: “Questo film fu realizzato in evidente antitesi a Citizen Kane, come se fosse l’opera di un altro regista che, detestando il primo, volesse dargli una lezione di modestia”. All’insuccesso, probabilmente, contribuisce anche il fatto che Welles qui non recita. Nella versione radiofonica interpretava il giovane e paziente Amberson. Ora si ritiene troppo vecchio e “ripiega” sul ruolo del narratore che, con la sua voce profonda, “lega” i vari momenti della storia del passaggio dal calesse all’automobile. [...] Sul piano più direttamente tecnico troviamo una maggior “calibratura”, come si è detto, dei procedimenti scoperti e applicati in Citizen Kane: principalmente il piano-sequenza e il grandangolo. Nel primo caso, “è verosimile pensare che Welles, uomo di teatro – dice Bazin – costruisca la sua regia sull’attore. Si può immaginare che l’intuizione del piano-sequenza, di questa nuova unità della semantica e della sintassi del film, sia nata dal modo di vedere di un regista abituato a collegare l’attore alla scenografia”. [...]. La tecnica, si è detto, appare più sobria. Domina ancora il grandangolo ma con minore insistenza. Ritroviamo, numerose, le riprese dal basso, con la macchina a terra; ritroviamo l’innovazione dei soffitti negli ambienti ricostruiti in studio.
Claudio Valentinetti, Orson Welles, Il castoro cinema, 1981 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| Orson Welles |
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