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Per un pugno di dollari


Regia:Leone Sergio

Cast e credits:
Soggetto: Sergio Leone, Duccio Tessari, ispirato a "Yojimbo" di Akira Kurosawa; sceneggiatura: Sergio Leone, Duccio Tessari, Fernando Di Leo Victor A. Catena; fotografia: Massimo Dallamano; musiche: Ennio Morricone-chitarra e fischio di Alessandro Alessandroni, tromba di Michele Lacerenza; montaggio: Roberto Cinquini; scenografia: Carlo Simi; arredamento: Francisco Rodríguez Asensio, Carlo Simi, Sigfrido Burmann; costumi: Carlo Simi; effetti: Giovanni Corridori; interpreti: Clint Eastwood (Joe), Marianne Koch (Marisol), Gian Maria Volonté (Ramon Rojo), Wolfgang Lukschy (John Baxter), Sieghardt Rupp (Esteban Rojo), Joseph Egger (Piripero), José Calvo (Silvanito), Margarita Lozano (Consuelo Baxter), Aldo Sambrell (Rubio), Mario Brega (Paco), Antonio Prieto (Benito Rojo), Fredy Arco (Jesus), Raf Baldassarre (Juan De Dios); produzione: Italia-Spagna-Germania Occidentale, 1964; durata: 100’.

Trama:Joe, un solitario pistolero, arriva a San Miguel, una cittadina al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, dove due famiglie, i Rojo e i Morales, si fanno la guerra da anni per il monopolio del contrabbando di alcool e di armi. In un complicato gioco di delazioni, di colpi di mano, di indagini, Joe aizza gli uni contro gli altri, sperando che si eliminino a vicenda. Scoperto da uno dei Rojo, Joe viene torturato senza pietà. Riuscito a fuggire, tornerà a San Miguel per vendicarsi spietatamente dei Rojo, dopo che questi hanno massacrato l'intera famiglia dei Morales.

Critica (1):Il Giappone dei samurai, la Grecia classica, la commedia dell'arte, Shakespeare e, finalmente, un po' di western: ecco le fonti della sceneggiatura. È evidente come, fin dalla scelta del materiale, l'intento sia innovativo nei confronti di un genere quasi imbalsamato nella convenzione. Si tratta di un western realistico, colto e soprattutto antitradizionale nella caratterizzazione dei personaggi. La grande novità di Per un pugno di dollari, quella che influirà maggiormente sul cinema successivo (non solo nazionale), consiste nell'eleggere a protagonisti personaggi che nel western americano rivestivano il ruolo di caratteristi. Questo perché secondo Leone, l'oleografia immutabile degli "eroi" non suscitava piú l'interesse degli sceneggiatori e li induceva ad occuparsi delle cosiddette figure di contorno, che poi sono quelle che rimangono piú impresse nella memoria. Si elimina la figura dell'eroe e si crea un universo popolato unicamente da "personaggi di contorno", proiettati improvvisamente al centro dell'azione. Mancando l'eroe, vengono ad essere meno definiti i confini tra Bene e Male: ecco la seconda novità del film. Il pistolero protagonista (lo chiamano Joe ma lui non si presenta mai) arriva a San Miguel cavalcando un mulo. Non ha motivazioni specifiche al di là del tornaconto personale. Informatosi da Silvanito su chi sia il piú forte in paese, offre una dimo-strazione delle proprie capacità di tiratore per farsi assumere dalla famiglia Rojo, che poi tradirà. Se Joe è un eroe, c'è da chiedersi come saranno i cattivi.
D'altronde, piú che un personaggio con una precisa caratterizzazione psicologica, Joe è un simbolo. San Miguel rappresenta la scena degli avvenimenti (quindi, unità di luogo e di azione), che si svolgono in un arco di giorni relativamente breve (quindi, unità di tempo). Le due famiglie antagoniste – Rojo e Baxter – dànno un'immagine distorta delle grandi dinastie dell'antichità. I paesani Silvanito, Felipero e Juan De Dios sono i testimoni non partecipi del dramma (quindi, la funzione che aveva il coro). E Joe, che viene dal nulla e nel nulla ritorna, è il Destino, il deus-ex-machina che alla fine del film, apparendo al dissolversi del fumo di un'esplosione (un'entrata decisamente teatrale), ricompone le parti in maniera cruenta e definitiva. Tutto questo appartiene al mondo classico, e in special modo alla tragedia di Eschilo, ma con una fondamentale differenza: mentre le passioni primordiali della tragedia erano sempre gover-nate da qualche Entità superiore, e comunque regolate dal volere degli dèi, quelle del West di Leone sono affidate al caso e, in misura minore, alla volontà dell'uomo. Come l'autore preciserà in seguito, il suo è un West senza Dio.
Joe, eletto a giudice-arbitro di questo universo di passioni sfrenate (per l'oro, per le donne, per le armi, per la morte), non poteva che essere un personaggio fuori delle parti: soprattutto non corrotto dalla bramosia del potere. Di queste passioni, l'unica che lo riguardi veramente è quella per le armi. Ma non le tratta da feticci come fa, ad esempio, Ramon con il Winchester: la pistola è il suo ferro del mestiere, fonte di guadagno e di sopravvivenza. L'oro gli interessa, ma non tanto da non essere in grado di rinunciarvi per favorire la fuga di Marisol e della sua famiglia. Le donne non rappresentano niente per lui (e neppure gli uomini: in Joe non c'è traccia di omosessualità): personaggio asessuato, è in grado di riflettere a freddo dove altri seguono istinti e passioni. La morte, poi, non può suscitargli alcun desiderio, perché se la porta dietro come una fedele compagna di viaggio e, in un certo senso, raggiunge con lei una totale identificazione. Joe sarebbe allora un personaggio senza passato, senza fu-turo, senza convinzioni specifiche? Non proprio. Quando don Benito Rojo, dopo averlo assunto, gli assegna l'alloggio, commenta: «Starete come a casa vostra». E Joe di rimando: «Spero proprio di no. A casa mia stavo malissimo». Soltanto qui Joe abbandona la sua funzione di simbolo, offrendo cosí una motivazione del suo gesto successivo di favorire la fuga di Marisol riunendo la famiglia divisa: quasi un tentativo di ricucire una ferita dolorosa del proprio passato (al marito di Marisol che gli chiede perché faccia tanto per loro, Joe risponde: «È una storia troppo lunga da raccontare». Troppo lunga e non necessaria: basta sapere che c'è).
Quanto alle convinzioni, Leone dà a Joe una dimensione chiaramente politica. Il pistolero, nel suo piccolo, conduce una personale forma di lotta di classe. «Devo ancora trovare un posto dove non ci siano padroni», dice a Silvanito poco dopo l'arrivo in paese. Il suo continuo oscillare da una fazione all'altra ha come scopo (non c'è dubbio) l'interesse personale, che è però secondario dinanzi al reale intento che lo fa agire: l'elimina-zione dei padroni. Nel mettere in crisi i potenti costringendoli a fare i conti con la sua presenza, Joe ricorda un grande del cinema che Leone ammira e a cui vuol rendere omaggio. Pensiamo alla scena iniziale di City Lights (Luci della città, 1931), quando il vagabondo, addormentato sulle braccia della statua, disturba l'inaugurazione alla presenza dei nota-bili della città, o a Modern Times (Tempi moderni, 1936) e allo sconvol-gimento degli ingranaggi della fabbrica: il personaggio chapliniano mette in crisi i padroni rivelando la loro vulnerabilità. E a Chaplin, nel celebre gesto di sollevare la bombetta, Leone dedica un ricordo affettuoso fa-cendo piú volte toccare a Joe la tesa del cappello in segno di ironico saluto.
Ciò che manca a Joe è il futuro. Alla fine della storia, il pistolero saluta Silvanito, riprende il suo mulo e se ne va nella direzione opposta a quella da cui era arrivato. La macchina da presa si alza lentamente arretrando fino a mostrare il totale della piazza da sopra i tetti delle case, alla ricerca, come Joe, di nuove praterie e nuovi orizzonti (il dolly verso l'alto, verso il basso, è uno dei movimenti di macchina piú ricorrenti nel ci-nema di Leone). Ma la macchina non segue il protagonista, resta ferma al centro del paese: come a dire che questi orizzonti non sono poi cosí certi, che la storia di Joe, proprio come il West, è finita lí.
La volontà di trasgressione si estende anche ad altri aspetti del film. Va ricordato che la formazione di Leone si svolse sotto il segno del neo-realismo, rottura autentica rispetto alla produzione dell'epoca (commedie di imitazione americana e melodrammi) ed elezione della realtà di tutti i giorni a protagonista assoluta. Successivamente, dal neorealismo si passò al piú popolare e commerciale «neorealismo rosa», e furono nuovamente commedie e melodrammi. In un certo senso, la violenza, l'accuratezza dell'ambientazione, il realismo a contrasto della finzione romantica del western americano sono segni dell'appartenenza di Leone alla scuola del neoreali-smo. Per un pugno di dollari arriva come un fulmine a ciel sereno nel cinema italiano, afflitto in quegli anni dal dilagare del documentario sexy, delle farse con Franchi e Ingrassia, degli epigoni del genere mitologico e di pedisseque imitazioni americane che oscillavano tra l'avventura di cappa espada e l'intrigo spionistico. Fra tanto artificio Leone introduce una favola per adulti raccontata nel modo piú realistico possibile: l'ambientazione, che per certi aspetti (le case basse e bianche, le donne vestite di nero, le porte e le finestre che si chiudono bruscamente al passaggio del protagonista) allude alla realtà dell'Italia meridionale, è in effetti più realistica di quanto non sembri. Il villaggio di San Miguel (la parte in muratura, non quella in legno) è né piú né meno un villaggio dell'Almeria, che presenta tratti architettonici molto simili a quelli del New Mexico. L'aria un po' dimessa, chiusa e, piú ancora, claustrofobica, è proprio quella che si doveva respirare all'epoca. Leone vi aggiunge un senso di morte che prefigura la fine di un mondo in attesa della nascita di una nuova so-cietà: «Mai visto un paese piú cadavere di questo», dice Joe a Silvanito: l'unica persona contenta dev'essere il becchino. Infine per entrare a San Miguel, si è costretti a passare sotto un capestro. La morte del West, secondo l'autore, non è imminente, ma già in atto.
Un accenno all'universo femminile, interessante piú che altro per gli sviluppi che avrà in seguito. Delle due donne presenti nel film – Marisol e la signora Baxter – sembra che la prima abbia il ruolo principale e la seconda una parte di contorno. In realtà, Marisol è un semplice pretesto che favorisce lo sviluppo della vicenda. Non solo, la donna rimanda anche nell'aspetto esteriore alla convenzione hollywoodiana, che vuole l'eroina sempre perfettamente truccata. Del resto che questo sia un personaggio marginale è dimostrato dal fatto che Marisol se ne va con la famiglia non appena esaurita la sua funzione di ago della bilancia, quando cioè non occorrono piú pretesti per far precipitare la situazione. Ancora una volta, il personaggio importante è quello apparentemente secondario (…): la signora Baxter, tuttavia, qui ha rilievo non tanto per la sua funzione nella vicenda, quanto piuttosto per motivi simbolici.
Per un pugno di dollari non contiene precisi riferimenti storici, se si eccettua la scena del massacro dei soldati messicani: Ramon e i suoi uomini indossano le divise blu dell'esercito nordista, e divise come quelle tanto a Sud lasciano immaginare che la guerra di Secessione sia già conclusa. Il film sarebbe dunque ambientato dopo il 1865, quando l'America, incamminata verso l'unità nazionale, stava per assistere al fenomeno sociale della nascita del matriarcato. E la signora Baxter – che prende le decisioni importanti e guida lei sola le sorti della famiglia – non è altro che un prototipo della figura matriarcale. Non a caso Esteban Rojo la uccide stupidamente la notte del massacro dei Baxter: è la società maschile che, avvertendo il mutare dei tempi, cerca di rimandare l'inevitabile nel-l'unico modo che conosce, con la violenza.
La violenza è forse l'innovazione piú appariscente (ma non sostanziale) rispetto al western americano. I personaggi muoiono urlando, e spesso in primo piano, le pistole sparano fragorosamente, il sangue scorre in abbondanza, anche se a ben guardare la violenza autentica è suggerita piú dagli atteggiamenti e dall'ideologia dei personaggi che da un esplicito ricorso alla crudeltà fisica. La violenza, per Leone, è un' esigenza di realismo: è il lato oscuro della favola, è ciò che mette lo spettatore di fronte all'evidenza della morte e del dolore fisico. Nel western americano c'erano le medesime situazioni: scazzottate, duelli, cacce all'uomo e tutto ciò che identificava il West come terra di conquista, dove la legge la facevano i piú forti e dove chi voleva vivere a lungo doveva essere piú veloce degli altri nello sparare. Anche nei film di concezione piú moderna – in cui la violenza aveva un'evidenza fisica, e certi personaggi solitamente "buoni" rivelavano lati oscuri del carattere che ne rinnovavano in parte l'immagine convenzionale – restavano tracce dell'alone romantico della terra di frontiera e dominava la statura mitica del personaggio che, in fondo, lottava per qualche forma di giustizia. (…)
Francesco Mininni, Sergio Leone, Il Castoro cinema, 1-2/1989

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