Risorse umane - Ressources humaines
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Regia: | Cantet Laurent |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Laurent Cantet, Gilles Marchand; fotografia: Matthieu Poirot Delpech, Claire Caroff; montaggio: Robin Campillo; scenografia: Romain Denis; interpreti: Jalil Lespert (Frank), Danielle Mélador (M.me Arnoux), Lucien Longueville (Proprietario), Chantal Barré (Madre), Jean-Claude Vallod (Padre); produzione: La Sept ARTE, Haut et Court, Centre National de la Cinématographie, PROCIREP, BBC Films; distribuzione: Mikado; paese d’origine: Francia, 1999; durata: 100’. |
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Trama: | Il padre operaio, il figlio responsabile delle risorse umane, che dopo gli studi di economia arriva nella fabbrica del genitore per tagliare posti di lavoro. Un contrasto che dalla fabbrica si trasferisce alla famiglia e viceversa. |
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Critica (1): | In alcuni film, la rivelazione dell’identità effettiva dell’ambiente dove ha luogo l’azione narrativa, ambiente che esercita una funzione essenziale nel motore della fabula e nella definizione del disegno dei personaggi, si verifica attraverso un capovolgimento radicale delle premesse e degli indizi disseminati all’inizio dei racconto. L’ambiente “scoperto” e “rivelato” da Risorse umane è la fabbrica, precisamente l’azienda di una cittadina della provincia francese, al cui interno ci introduciamo in una precisa congiuntura della cronaca attuale (l’approvazione della legge Aubry delle trentacinque ore, in vigore dal gennaio 2000) seguendo l’arrivo di Frank, giovane di umili origini, fresco di studi all’università parigina, che tutto sembra destinare al raggiungimento di quella carriera silenziosamente sognata per lui dal padre operaio. Frank vive nella sua persona la dicotomia tra le due dimensioni della fabbrica: quella dei padroni, nel cui ambito svolge il suo corso di formazione e a stretto contatto dei quali sembra avviato alla perfetta integrazione nei quadri dirigenziali, e quella degli operai, dal cui ceto sociale proviene (in una delle prime sequenze, il padrone gli mostra l’azienda e, con crudele naturalezza, si trovano a sostare proprio davanti alla postazione di lavoro del padre).
(...) Alla figura del padre effettivo, subentra immediatamente nel racconto un’altra figura paterna che occupa lo spazio lasciato vacante dalla prima: il padrone dell’azienda, che possiede i connotati della più accattivante bonomia. Questi incoraggia il giovane, gli suggerisce consigli e strategie, lo conduce all’incontro (che presto degenera in scontro violento) con la signora Arnoux, la collerica rappresentante dei sindacati, inizialmente antagonista dell’apprendistato di Frank, quindi sua complice quando il giovane passa dall’altra parte della barricata.
La dinamica di rovesciamento degli equilibri instaurati nella prima parte di Risorse umane, si attua attraverso la scoperta fortuita da parte del giovane della cinica strumentalizzazione della sua proposta di modifica degli orari lavorativi. Ecco che il luogo della fabbrica (il luogo del promettente avvenire del giovane) è svelato nella sua prassi ordinaria e peculiare di sopraffazione e abuso, di legittimazione dell’ingiustizia sociale e, in particolare, di alienazione del rapporto primario fra genitori e figli: per continuare il suo brillante apprendistato, Frank dovrebbe accettare il licenziamento del padre e la definitiva sottomissione della sua dignità (come aveva accettato, senza opporre alcuna reazione, un’estemporanea umiliazione del genitore rimproverato davanti a lui perché si era soffermato a spiegare il funzionamento della macchina al figlio).
(...) La forza di Risorse umane consiste nell’aver calato le problematiche civili e sociali nel seno privato ed intimo delle relazioni familiari, penetrandovi con pochi tratti sfumati (alcune brevi sequenze della vita nei modesti spazi domestici; la piccola cerimonia della cena coi genitori che prelude al licenziamento del padre). La scelta di una località marginale come sfondo della storia (una cittadina provinciale), conferisce una verosimiglianza quasi documentaristica alla vicenda (ricordiamo che, a parte il protagonista, gli interpreti sono tutti non professionisti). La dinamica di disvelamento delle maschere dei personaggi, che consegue al ribaltamento della situazione, non avviene secondo banali manicheismi perché il padrone non perde la sua attitudine paterna (quando caccia violentemente Frank dalla fabbrica dopo il “tradimento”, sembra sconvolto dal dolore della delusione che ha subito) ma è il codice della pragmatica iniquità cui egli obbedisce (e al quale Frank dovrebbe aderire per integrarsi definitivamente nell’universo dei padroni), ad emergere nella solita brutale, sbrigativa efferatezza della storia delle società industriali.
Il “gran rifiuto” di Frank (che, ricordiamolo, non avviene in nome di ideali teorici ma quando la manovra di licenziamento viene a colpire suo padre) costituisce una disobbedienza non soltanto al padre “adottivo” ma anche a quello effettivo. È un rifiuto che conduce al definitivo scambio dei ruoli: ora è il figlio a diventare padre di suo padre, a spronarlo a rivendicare il proprio arbitrio nel corso del magnifico, crudele monologo in cui gli rinfaccia la sua ignavia e lo rimprovera di avergli inculcato il sentimento di vergogna per l’appartenenza alla classe dei non privilegiati, umiliandolo davanti agli altri operai per impedirgli di accettare passivamente l’umiliazione dei licenziamento.
Roberto Chiesi, SegnoCinema n. 102, marzo-aprile 2000 |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| Laurent Cantet |
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