Lovers - French Dogma #1 - Lovers - French Dogma #1
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Regia: | Barr Jean-Marc |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Pascal Arnold, Jean-Marc Barr; fotografia: Jean-Marc Barr; montaggio: Brian Schmitt; musica: Irina Decermic, Michko Plavi; scenografia: Françoise Rabut; costumi: Mimi Lempicka; suono: Pascal Armant; interpreti: Elodie Bouchez (Jeanne), Sergei Trifunovic (Dragan), Genevieve Page (Alice), Thibault de Montalembert (Jean-Michel), Dragan Nicolic (Zlatan); produzione: Toloda; distribuzione: Istituto Luce; origine: Francia, 1999; durata: 96’. |
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Trama: | Parigi. È la storia d’amore tra un pittore jugoslavo di venticinque anni, Dragan, e una ragazza parigina quasi della sua stessa età, Jeanne. La storia del loro incontro, della loro prima notte e della felicità del loro amore anticipa la scoperta della verità su Dragan: immigrato clandestinamente in Francia e privo del permesso di soggiorno, è costretto ad abbandonare il paese entro tre giorni. Così, una storia d’amore che avrebbe potuto durare per tutta la vita rischia di essere bruscamente interrotta. Pur di restare insieme, tuttavia, i due giovani decidono di mettersi contro la legge vivendo in una difficile condizione di semi-clandestinità che mette a dura prova il loro amore. Solo nei rari momenti di intimità i due ragazzi trovano un po’ di serenità e di pace che dà loro l’illusione di essere finalmente liberi. |
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Critica (1): | Lovers è la storia di due persone appartenenti a due culture diverse, destinate ad amarsi per il resto della vita ma condannate dalla legge a vivere in clandestinità. Sentivamo la necessità di comunicare qualcosa di umano e di etico attraverso uno stato d’animo completamente libero. L’amore è l’ultimo baluardo, l’ultima forma di resistenza contro il caos di questo mondo. Lovers è un film che sfida ogni sistema rigido. Il manifesto di Dogma 95 e il successo dei film ad esso ispirati hanno dato un’improvvisa credibilità ai film girati in digitale. Il Dogma che noi abbiamo seguito ci ha permesso di non prenderci troppo sul serio, offrendoci la possibilità di coniugare il massimo della creatività con un budget contenuto. Lo scopo: stimolare il potenziale umano a lavorare con una troupe limitata ma con le tecnologie più avanzate ed essere in grado di cogliere l’intimità di una semplice storia d’amore.
Ritrovare il senso della libertà. Ci siamo ispirati alla Nouvelle Vague, ai suoi registi e al loro stato d’animo. Essi sapevano controllare gli strumenti di produzione, traendo il massimo dalle nuove tecnologie, ed erano inoltre in grado di realizzare film servendosi dei loro specifici criteri e creando nuove forme di narrazione per opporsi al sistema vigente. La nostra speranza è che Lovers incoraggi altri come noi a ricercare la strada della libertà.
Le riprese sono state interamente effettuate a Parigi e crediamo di essere stati capaci di cogliere momenti di vita spontanei e giocosi. Abbiamo voluto scrivere per Elodie Bouchez, un’attrice che manifesta la propria libertà scegliendo personalmente i ruoli da interpretare e la cui generosità emotiva fa di lei una vera benedizione per il cinema, al di là di ogni frontiera. Un film europeo in inglese, prodotto in Francia. I nostri due protagonisti, una giovane parigina ed uno jugoslavo che parlano tra di loro in inglese... come la maggior parte degli europei. L’Europa esiste. Non possiamo essere separati. Saremo forse ingenui, ma pieni di speranza.
Jean-Marc Barr, Pascal Arnold |
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Critica (2): | I dogmatici crescono e fanno proseliti anche oltre i confini danesi: julien donkey-boy di Harmony Korine, visto a Venezia, sarà presentato come Dogma #6, e Lovers si fregia di essere il primo French Dogma. Non è questa la sede per alimentare il dibattito che verte sul manifesto programmatico e sul "voto di castità" promulgati da Von Trier, Vinterberg e soci, ma il successo dell'iniziativa appare sicuramente emblematico, sia per il coinvolgimento di nuovi giovani autori, sia per l'esportabilità del marchio, che attesta e rende riconoscibile al pubblico internazionale un tipo di cinema che cerca l'essenza di ciò che mette in scena e non vuole fermarsi alle superfici luccicanti o alle convenzioni narrative e stilistiche. Metaforicamente, si potrebbe parlare di un cinema "biologico" che cerca un suo spazio di resistenza nel cinema industriale, serializzato e globalizzato. La mela Dogma appare meno invitante di quella industriale, talvolta potreste trovarci dentro anche un vermino, ma se l'addentate troverete sapori diversi, molto più intensi di quelli standardizzati che ci capitano in bocca (o negli occhi) di solito. Jean-Marc Barr, attore da quindici anni ed esordiente alla regia con Lovers, frequenta da anni Von Trier e sa bene come lavora, avendo interpretato il protagonista in Europa e il ruolo di Terry in Le onde del destino. Barr però non è danese, ma francese, e la cosa non è secondaria: scegliere la denominazione French Dogma non è solo un vezzo sciovinista, ma una sorta di programmatica declinazione del manifesto originario in una diversa accezione. Lovers infatti condivide con gli altri Dogma un estremo rigore stilistico e la radicalità di certe scelte pauperistiche (nessun set ricostruito, luce naturale, macchina a mano, continuità dell'azione, musiche solo se provenienti dal luogo in cui si gira...), ma appare meno interessato a far risaltare formalmente tali opzioni, concentrandosi completamente sul rapporto tra i due personaggi e su una traccia narrativa molto esile, ovvero l'incontro e la passione tra due sconosciuti che di colpo si ritrovano in coppia, completamente trasformati. La sensazione è che si sia passati direttamente dal soggetto alla realizzazione, saltando una vera e propria sceneggiatura, e se ciò comporta alcune discontinuità, d'altro canto permette spesso un sapore di forte immediatezza, anche grazie all'ottima prova attoriale di Sergej Trifunovic, già presente nella Polveriera di Paskaljevic, e di Elodie Bouchez, che si conferma tra le migliori giovani attrici non solo francesi.
In tal senso i riferimenti, come ha ammesso lo stesso Barr, vanno cercati anche oltre Dogma, fino alla prima Nouvelle Vague, che portava la "caméra-stylo" nelle strade, ritmava il film sugli umori dei protagonisti, rendeva Parigi uno dei personaggi più importanti e non aveva paura di filmare dialoghi (con relativi silenzi) di un quarto d'ora o di "sprecare" inquadrature che la norma giudicava non funzionali allo sviluppo narrativo. Il fascino di Lovers sta soprattutto in questo recupero, che non avviene in chiave nostalgica o citazionista, ma traduce una rinnovata urgenza di fare un cinema vivo, che della realtà assuma vortici e stasi, sogni e preoccupazioni concrete. Ne deriva un film passionale e minimalista al tempo stesso, in cui l'intensità degli sguardi, dei gesti e dei corpi di Dragan e Jeanne si accompagna alle preoccupazioni per le bollette del telefono e della luce, al timore di prendere un giorno di permesso sul lavoro, alla meschinità di molte persone "normali", come un figlio di papà vendicativo e un edicolante truffatore. In questo senso, il film si fa perdonare certi vezzi stilistici o alcune prolissità narrative, come accade nel caso della lunga notte slava, in cui non a caso Barr sembra giocare fuori casa e cede all'immaginario più in voga: in un colpo solo, lo slavo bevitore, musicante, triste, passionale, geloso e rissoso, senza il gioco grottesco di Kusturica o l'introspezione amara di Paskaljevic. Per gli spettatori italiani è deleterio il doppiaggio, che trasforma l'inglese parlato dai due in italiano maccheronico, con il rischio di innestare una patina caricaturale completamente estranea al film. Il problema è tanto più grave per un'opera che vive di immagini più che di suoni: la ricerca di un particolare cielo in un dipinto (realmente italiano, in questo caso) fa incon
trare i due protagonisti; gli abiti e i colori di Jeanne la fanno spiccare dal grigiore della routine quotidiana; gli spazi domestici rassicuranti ma claustrofobici e la città notturna che promette libertà, ma cela trappole; la pittura di Dragan che lo isola dal mondo per giorni e gli fa perdere ogni cognizione di spazio e tempo nelle sue creazioni fantastiche, in cui il surreale incrocia inquietudini profonde, che il film ha l'accortezza di non esplicare mai pienamente, evitando così di banalizzarle. Soprattutto sono gli sguardi dei due protagonisti, ancor più delle parole, che danno credibilità ad un amour fou destinato inevitabilmente ad una brusca conclusione. La scena della separazione, nella sua secchezza narrativa, che evita ogni indugio melodrammatico, vale da sola il biglietto, con quel lunghissimo e straziante piano sequenza finale in cui la camera segue dall'alto Jeanne che sale lentamente le scale di casa, in un'interminabile progressione emotiva che la porta dall'iniziale stupore per aver perso così il suo compagno ad un pianto inconsolabile: anche per lei non sarà facile continuare a vivre sa vie.
Michele Maranghi, Cineforum n. 389, novembre 1999 |
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Critica (4): | |
| Jean-Marc Barr |
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