Scarpette rosse - Red Shoes (The)
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Regia: | Powell Michael, Pressburger Emeric |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Michael Powell, Emeric Pressburger; soggetto: Emeric Pressburger (dalla fiaba di Hans Christian Andersen); fotografia (colore): Jack Cardiff; operatore: Christopher Challis; effetti speciali: F. George Dunn, D. Hague; production designer e costumi: Hein Heckroth; scenografia: Arthur Lawson; coreografia: Robert Helpmann; musica: Brian Easdale; suono: Charles Poulton; montaggio: Reginald Mills; cantante: Margherita Grandi; ballerino: Alan Carter; interpreti: Marius Goring (Julian Craster), Anton Walbrook (Boris Lermontov), Moira Shearer (Victoria Page), Jean Short (Terry), Gordon Littman (Ike), Julia Lang (appassionata del balletto), Bill Shine (il suo compagno), Leonid Massíne (Ljubov), Austin Trevor (il professor Palmer), Esmond Knight (Livy), Eric Berry (Dimitri), Irene Browne (Lady Neston), Ludmilla Tcherina (Boronskaja), Jerry Verno (l'usciere dell'entrata degli artisti), Robert Helpmann (Ivan Boleslawsky), Albert Basserman (Ratov), Derek Elphinstone (Lord Oldham), Madame Rambert (se stessa), Joy Rawlins (Gladys), Marcel Poncin (Boudin), Michel Bazalgette (Rideaut); produzione: Michael Powell, Emeric Pressburger per "The Archers"; origine: Gran Bretagna, 1948; durata: 133'. |
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Trama: | Lermontov, direttore di una celebre compagnia di balletto classico, ingaggia Vicky Page - giovane ballerina dalle grandi potenzialità - e la sottopone ad una disciplina ferrea cercando di convincerla a sacrificare tutto per la danza. Vicky è dibattuta tra l'amore per la danza (e la dedizione a Lermontov) e l'amore che nutre, ricambiata, per il compositore Julian Craster. Giunta al successo danzando "Scarpette rosse", Vicky si fa convincere da Julian ad abbandonare Lermontov. Ma non riuscirà a star lontana dal balletto e una volta ritornata alla sua interpretazione di successo ci sarà una completa identificazione con il personaggio che la porterà a danzare fino alla morte. |
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Critica (1): | [...] Se Blimp (Duello a Berlino n.d.r.) è il film preferito di Pressburger e A Matter of Life and Death (Scala al Paradiso n.d.r.) quello di Powell, The Red Shoes (Scarpette rosse n.d.r.) è stato il beniamino del loro pubblico, non solo contemporaneo. Insieme a The Thief of Bagdad (Il ladro di Bagdad n.d.r.) ovviamente uno dei primi ad essere scoperto dagli spettatori adolescenti (per la sua presunta e disattesa origine fiabesca), crea vocazioni al cinema: Brian De Palma sostiene di aver deciso di diventare regista dopo averlo visto, da ragazzo; mentre Martin Scorsese (il maggior paladino, insieme a Coppola, dei film degli Archers) ricorda la sequenza del balletto come il suo primo, intenso shock visivo. "Fin dalla prima visione", scrive Scorsese nell'introduzione a "Arrows of Desire" di Ian Christie, «fui colpito dal mistero di The Red Shoes, dalla sua isteria, con quei primi piani degli, occhi di Moira Shearer che sente di essere condotta alla morte dalle scarpette, o forse da se stessa. Poi, col tempo, fui sempre più affascinato dal Lermontov di Anton Walbrook: dal suo isolamento volontario, dalla brutalità, dalla crudeltà (e dalla bellezza) del suo personaggio».
Amato incondizionatamente per una sorta di perversa e immotivata fascinazione infantile, odiato con tenacia esattamente per gli stessi motivi, The Red Shoes (in gran parte a causa del suo incredibile successo commerciale) è l'unico film della coppia citato (anche se spesso a denti stretti) nelle storie del cinema dell'epoca. Proprio per questo, forse, è, di tutti i loro film maggiori, quello che (dopo il recupero critico degli anni Settanta e Ottanta) è stato soppesato con più guardinga attenzione. Non è un capolavoro martoriato come Blimp, né un tabú come Peeping Tom (L'occhio che uccide n.d.r.), né un film sconosciuto come A Canterbury Tale (Un racconto di Canterbury n.d.r.) e I Know where I'm Going (So dove sto andando), né un pozzo di San Patrizio di effetti speciali e di acume dialettico come A Matter of Life and Death, né un oscuro campione della "agonia romantica" come Black Narcissus (Narciso nero). In fondo, a differenza degli altri, ha avuto giustizia: è stato, ante litteram, un vero cult movie, amato apertamente dalle platee piangenti di tutto il mondo e, più in segreto, dai cinéphiles. Eppure, non è abbastanza delirante, né abbastanza "puro" nella sua ricerca stilistica, da poter essere recuperato (come accade invece a The Tales of Hoffmann - I racconti di Hoffman n.d.r.) come campione del kitsch cinematografico. È una di quelle combinazioni rare in cui il talento degli autori (nel pieno della maturità) si traduce in affabulazione pura: i trucchi scorrono, impercettibili, al di sotto della messa in scena melodrammatica, l'astrazione stilistica si fa palese solo nella sequenza dichiaratamente irreale del balletto, la vicenda rinverdisce i luoghi comuni del romanticismo cinematografico in termini di dannazione drammatica. Il congegno è irresistibile e, perciò, sospetto. Eppure è vero che - come scrivono Nigel Andrews e Harlan Kennedy, - «Michael Powell ha avuto il proprio posto nella storia del cinema e nell'affetto degli spettatori nel momento stesso in cui Moira Shearer, Anna Karenina della Costa Azzurra, si è gettata sotto il Montecarlo Express alla fine di The Red Shoes».
Il fatto è che The Red Shoes, senza essere il film migliore di Powell e Pressburger, è quello che concilia meglio la loro innata popolarità di narratori (e quindi anche il loro "cattivo gusto", o meglio il loro gusto per il luogo comune, il genere, la prevedibilità esigente del racconto popolare) con la loro propensione curiosa alla sperimentazione (e quindi al delirio visivo, ai controplot, al ribaltamento delle convenzioni narrative delle quali si ergono apparentemente a campioni). Ammantandolo con i colori smaglianti del melodramma tradizionale, fanno digerire al pubblico un assunto incredibile: il fatto (come sottolinea lo stesso Powell) che l'arte sia qualcosa per cui si può morire. L'apparente triangolo amoroso diventa un esile equivoco dietro al quale balenano le suggestioni più fosche e meno "digeribili" del romanticismo. The Red Shoes è dominato da Hoffmann, da Dorian Gray, dal demonismo faustiano. Apre uno squarcio insanabile sui grovigli tortuosi della mentalità anglosassone. In questo senso, è anche un momento di fusione esemplare nella filmografia dei due autori (e di Powell in particolare), il polo centrale tra Blimp e Peeping Tom, affondato come questi due nel genere e intento come questi due a deludere le aspettative conscie del pubblico e a suffragarne le pulsioni sommerse. Intessuti di masochismo (che si colora, rispettivamente, di malinconia, di disperazione e di tragica consapevolezza), i tre film sono superiori all'ossessivo Black Narcissus, all'inquietante A Canterbury Tale, allo sfrenato The Tales of Hoffman, perché a differenza di questi, non cadono mai nell'autocompiacimento stilistico o narrativo, non perdono mai di vista l'illusorio "effetto di realtà" del cinema, tenendo così in pugno senza cedimenti lo spettatore. Sono favole di infelicità e di predestinazione, come A Matter of Life and Death è una favola di amore appagato. Sono capaci però di attenersi, in apparenza, all'universo della quotidiana realtà.
Il più perfetto melodramma della storia del cinema britannico (un incongruo, trionfale connubio tra mélo e britannicità) aveva cominciato a nascere nel '39, come sceneggiatura commissionata da Korda a Pressburger e poi messa nel cassetto dal produttore, impegolato con The Thief of Bagdad e quindi costretto a sospendere temporaneamente l'attività. Ma Pressburger non l'aveva scordata. «Emeric aveva scritto la sua storia e se ne era innamorato. Siccome il progetto non era mai stato realizzato, continuava a ripetermi: "Dopo la guerra, bisogna assolutamente che ricompriamo quel progetto da Alex, se vuole venderlo". Korda, che non aveva pagato molto la sceneggiatura, quando gliela abbiamo richiesta, ci domandò un prezzo molto alto, perché intuiva l'interesse dell'idea. Comunque, ce la rivendette Più tardi se ne pentì. Lessi la sceneggiatura e dissi a Emeric: "Va bene, ma la protagonista deve essere una vera ballerina. E poi, dobbiamo creare un balletto originale. Non possiamo continuare per tutto il film a parlare della creazione di un'opera d'arte e poi non crearla! Dobbiamo farla davvero. Altrimenti, è inutile buttarsi in questa impresa". E Emeric, che adorava la sua storia, rispose: "D'accordo. Tutto quello che vuoi"».
Pressburger vuole veder tradotta in immagini la sua storia faustiana; Powell vuole perfezionare gli entusiasmanti esperimenti musicali abbozzati in Black Narcissus. Il favore di cui godono presso il pubblico consente loro di mettere in piedi una produzione a dir poco sontuosa. Allestiscono una vera compagnia di balletto, composta da Leonid Massine, Robert Helpmann, Ludmilla Tcherina e una giovane ballerina del Royal Ballet, Moira Shearer. La musica è affidata a Brian Easdale, mentre Alfred Junge è come di consueto a capo del reparto scenografia e costumi. È proprio durante la fase preparatoria di The Red Shoes, però, che ha termine la lunga collaborazione con Junge. "Si trattò di un conflitto tra realismo e astrattismo", ricorda Powell. Per il balletto Powell vuole una scenografia che corrisponda alla sua intuizione di "partitura cinematografica", capace di prescindere dalla spazialità obbligata del teatro e dalle convenzioni figurative del balletto classico. Palcoscenico, proscenio, interpreti e spettatori devono scomparire, in una ennesima, vertiginosa reinvenzione dell'impressione di realtà del cinema. Il balletto delle Scarpette Rosse deve aver luogo nello spazio e con i tempi della mente dei protagonisti (e del pubblico cinematografico). Junge. invece, sta creando costumi dalla polverosa leggerezza ottocentesca e una scenografia studiata sulla dimensione e la prospettiva del palcoscenico. Fin dai tempi di A Matter of Life and Death, alle dipendenze di Junge lavora un pittore tedesco, Hein Heckroth, incaricato dei bozzetti dei costumi. Profondamente influenzato dall'avanguardia e dall'astrattismo, Heckroth corrisponde all'ideale artistico di cui Powell ha bisogno in questo momento. Il passaggio delle consegne è teutonicamente scontroso: Junge: se ne va a lavorare alla MGM e Heckroth disegna per il balletto esili costumi astratti (e contemporaneamente ispirati a un quotidiano realismo) e una scenografia in 120 bozzetti che fonde romanticismo, espressionismo e astrattismo. Giustamente famoso, il balletto delle Scarpette Rosse annulla lo spazio teatrale in una successione di dissolvenze incrociate, aprendo la strada al grandi musical MGM degli anni Cinquanta, in particolare a quelli di Minnelli e An American in Paris (Un americano a Parigi), per il quale Gene Kelly dichiara esplicitamente di essersi ispirato a The Red Shoes.
Non è, però, tutto il film. Il balletto non può esistere (se non in tutto il suo perfezionismo tecnico) senza il sontuoso tormento del film, che, d'altra parte, trova nel balletto la propria sintesi rarefatta. Più di qualsiasi musical, The Red Shoes è la più esemplare manifestazione cinematografica del melodramma, dove ogni evento è mosso da una musicalità intensa e animato da un cromatismo violento. La passione e il destino corrono nella matematica scansione temporale delle sequenze nelle spalle fragili di Moira Shearer e nel verde, opprimente peso del mantello con il quale sale la scalinata arcaica della villa di Lermontov, nel cumulo di emozioni inespresse che, più della realtà, guida i protagonisti, nello sguardo incantatore e "assoluto" di Lermontov. Padrone incontrastato del film, Anton Walbrook non ha più bisogno di grandi, immote scene madri. Nei suoi stupefacenti occhi da gatto si è concentrato tutto il potere e il tormento del creatore, dei cineasti. Lermontov è già esplicitamente (e, forse, con ancor più terribile consapevolezza) il Mark Lewis di Peeping Tom; ha lo stesso, disperato potere distruttivo e la stessa atona voce da marionetta quando (in uno dei finali più bruscamente agghiaccianti della storia del cinema) annuncia dal palcoscenico la morte di Victoria Page, prima ballerina. Il ciclo (autobiografico e artistico) si è compiuto: l'uomo d'onore e di ideali, il campione della consapevolezza amara e solitaria (Peter di 49th Parallel e, soprattutto, Teo Kretschmar-Schuldorff) ha lentamente assunto la fisionomia dei maghi oscuri (Colpeper) o gioviali (Reeves) balenanti in altri film. Ne è emerso, in tutta la sua demoniaca grandezza, l'unico mago possibile, l'artista, sintesi stregata di dedizione e fascinazione. Colui che sta in bilico e patteggia costantemente tra realtà e immaginazione, capace di astrarsi dal mondo per ritrascriverlo in sogni concreti, fino a quando il sogno non lo fagociterà con violenza (come accade a Mark Lewis). Peeping Tom, del solo Michael Powell, è già tutto contenuto in uno scambio di battute, scritto da Emeric Pressburger per The Red Shoes.
Al loro primo incontro, Lermontov chiede all'aspirante ballerina Vicky Page «Perché vuole danzare?». E Vicky risponde: «Perché lei vuole vivere?». E il destino di morte, scritto negli occhi di Lermontov, avvia il proprio inarrestabile percorso. [...]
Emanuela Martini, Powell&Pressburger, il castoro cinema, 1989 |
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| Emeric Pressburger |
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