Sacro Gra
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Regia: | Rosi Gianfranco |
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Cast e credits: |
Soggetto: da un’idea originale di Nicolò Bassetti; sceneggiatura: Gianfranco Rosi; fotografia: Gianfranco Rosi; montaggio: Jacopo Quadri; suono: Gianfranco Rosi, Stefano Grosso, Riccardo Spagnol, Giuseppe D'Amato; produzione: Marco Visalberghi per Doclab in coproduzione con Carol Solive per La Femme Endormie e con Rai Cinema; distribuzione: Officine Ubu; origine: Italia-Francia 2013; durata: 93’. |
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Trama: | Dopo l'India dei barcaioli (Boatman), il deserto americano dei dropout (Below Sea Level ) e il Messico dei killer del narcotraffico (El Sicario, room 164), Gianfranco Rosi ha deciso di raccontare il proprio Paese girando e perdendosi per tre anni con un mini-van sul Grande Raccordo Anulare di Roma – che con i suoi 70 km è la più estesa autostrada urbana d'Italia – per raccogliere le storie di chi vive intorno alla grande strada-cintura: personaggi colti nella loro esistenza quotidiana, un viaggio attraverso le vite e i paesaggi inattesi della città eterna. Mondi invisibili e futuri possibili che questo luogo magico cela oltre il muro del suo continuo frastuono. |
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Critica (1): | (…) C'è qualcosa di nuovo nel cinema del mondo, anzi d'antico, visto che la realtà, da sempre, supera la fantasia: «Non ho mai considerato – dice Rosi – la divisione tra cinema di finzione e cinema documentario Ogni situazione può essere raccontata in un modo differente. La forza del documentario sta nella sperimentazione e, quando si gira, quello che conta è capire che cosa è vero e che cosa è falso». I personaggi di Sacro Gra (…) non pongono questo problema, anzi, balzano fuori dallo schermo con tutto il carico della loro umanità, irresistibili, indimenticabili, come nel più affascinante dei melò: «Sono attori che recitano senza sapere di recitare, inconsapevolmente offrono una rappresentazione poetica di se stessi».
Spinti ai margini di una società incapace di coglierne le immense potenzialità, i protagonisti del film, dal botanico Francesco, in perenne lotta con l'insetto che mina la vita delle palme, al barelliere Roberto, che salva ogni notte le esistenze delle persone che stanno male, raccontano la storia di una periferia in espansione, sul bordo di una capitale «mummificata, ridotta a un pantano gastronomico e culturale». Sacro Gra potrebbe essere l'altra faccia della Grande bellezza di Paolo Sorrentino, il rovescio della medaglia, non meno affascinante e misterioso: «Con il suo fiume di traffico in eterno movimento, con le sue incredibili contraddizioni, il Grande Raccordo Anulare è un luogo irreale che chiede di essere raccontato». Per farlo l'unico modo era imparare a starci, scoprendone gli abitanti e le innumerevoli forme di vita: «Sono abituato a lavorare da solo, quando inizio un film non so mai bene quando finirà, il tempo è il più grande investimento». Alla fine del montaggio durato sette mesi (le ore girate erano 200), Rosi ha composto un mosaico in cui ogni tessera è fondamentale e funzionale alle altre: «Quello che tiene insieme i personaggi è il legame fortissimo con il passato».
Così il nobile piemontese relegato in un mini appartamento affacciato sul Raccordo, insieme alla figlia sempre seduta davanti al computer, commenta con lo stesso linguaggio forbito di un tempo, la nuova realtà in cui si è ritrovato a vivere. Così il pescatore legge articoli sui giornali che parlano delle anguille del Mar dei Sargassi chiedendosi perchè chi li ha scritti non sia venuto a informarsi da lui che, con quei pesci, ha trascorso la vita intera. Così il principe che fa ginnastica con il sigaro in bocca, offre l'antica magione in cui vive per nuovi usi, dal bed and breakfast (pronunciato in un originalissimo modo) al set per il cinema. Così le signore in età che aspettano clienti sulla strada si sfamano in macchina addentando prosciutto e mozzarella. Così l'infermiere, prima di affrontare le sue notti tormentate, dialoga con l'anziana madre malata di demenza senile. Ma il Raccordo è anche, e ancora, luogo della natura dove le pecore pascolano in mezzo all'eco dei clacson, dove una nevicata, inusuale per la città, può avvolgere tutto in un silenzio ovattato e allarmante.
La fantascienza urbana di Sacro Gra, dedicato allo scomparso Renato Nicolini, architetto e inventore dell'estate romana che ha spinto Rosi nell'impresa del film, diventa un esempio imitabile di cinema del reale, più vero del vero, più bello del vero: «Non volevo raccontare storie in negativo, e non ho fatto domande ai miei personaggi. Non li considero alieni, ma anzi li vedo come abitanti di uno spazio ideale, che non è una striscia d'asfalto, ma il luogo di un futuro possibile». Alla fine, sull'immagine dei quadranti con i diversi pezzi di Gra, si alzano le note del Cielo di Lucio Dalla: «La crisi è anche mancanza di identità e invece i protagonisti del mio film ne hanno tutti una. Fortissima».
Fulvia Caprara, La Stampa, 6/9/2013 |
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Critica (2): | Difficile resistere alla tentazione di leggere Sacro Gra di Gianfranco Rosi, il film innovativo premiato con il Leone d'oro alla Mostra veneziana, come un'involontaria metafora del Paese: il Grande raccordo anulare è un'autostrada rotonda (la più lunga autostrada urbana europea: quasi 70 km), una forma geometrica chiusa, un anello tangenziale che porta da tutte le parti ma dove si gira continuamente e febbrilmente a vuoto (sono celebri i suoi ingorghi). Il celebre ossimoro che ci ha accompagnato per anni – le «convergenze parallele» – potrebbe essere sostituito da «progresso circolare». Il regista, che ha lavorato due anni al documentario, assume il Gra come universo variegato di racconti. In ciò il suo vero libro ispiratore, che però non ho sentito citare, è probabilmente Grande raccordo anulare. Alla ricerca dei confini di Roma di Mario De Quarto, geografo urbano alla ricerca di storie periferiche. Il Gra diventa così specchio fedele del Belpaese, e cioè dispensatore di trame, fonte inesauribile di narrazioni, tutte diverse ma tutte anche un po' eguali e, diciamolo, un po' parassitarie; tutte che sembrano girare in moto perpetuo intorno a un vuoto insondabile, com'era il centro della terra secondo Verne. L'orizzonte del raccordo dovrebbe essere la linea che separa il dentro dal fuori, ma poi dentro ci sono immensi spazi vuoti e fuori enormi agglomerati! Se aggiungete che il Gra non è originariamente un acronimo ma un eponimo, deve cioè il nome al suo creatore, il mitico ingegner Eugenio Gra (un romano assai appartato, di famiglia cattolico-liberale), ecco che ci sembra d'essere finiti in un racconto di Borges! Ho l'impressione che anche la nostra politica, che macina indifferentemente a ogni stagione larghe e piccole intese, compromessi storici e unità nazionali, opposizioni dure e consociativismi, intenda riprodurre un Eterno Ritorno dell'Uguale ma con l'illusione del cambiamento. Sisifo incontra il Gattopardo. L'anello autostradale somiglia a un labirinto: ha innumerevoli uscite, ma ci va di trovarle?
Filippo La Porta, Corriere della Sera, 16/9/2013 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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