Cormorani (I)
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Regia: | Bobbio Fabio |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Fabio Bobbio; fotografia: Stefano Giovannini; musiche: Ramon Moro, Paolo Spaccamonti; montaggio: Fabio Bobbio; suono: Manuel Paradiso, Simone Olivero; interpreti: Samuele Bogni (Samuele), Matteo Turri (Matteo), Valentina Padovan (Simona); produzione: Fabio Cavenaghi, Paolo Cavenaghi, Mirko Locatelli, Giuditta Tarantelli per Strani Film, in collaborazione con Officina Film; distribuzione: Strani Film in collaborazione con Mariposa Cinematografica; origine: Italia, 2016; durata: 88'. |
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Trama: | Nell'estate dei loro dodici anni Matteo e Samuele passano le giornate tra il fiume, il bosco e il centro commerciale, ma rispetto agli anni precedenti qualcosa sta cambiando. Il gioco diventa noia, la fantasia cede il passo alla scoperta, l'avventura si trasforma in esperienza di vita: Samuele e Matteo sono due Cormorani, in continuo adattamento nel rapporto con il mondo che li circonda, con il loro corpo che sta cambiando e alla ricerca di un'autonomia e di uno spazio da far proprio, da colonizzare. Un'estate senza inizio e senza fine, il racconto di un'amicizia, di un'età e di un territorio costretti a mutare con il tempo che scorre inesorabile. |
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Critica (1): | Per Matteo e Samuele l’estate dei loro dodici anni sembra un’estate come tutte le altre. Ciondolano nel bosco senza meta, girano per centri commerciali deserti commentando le vetrine con i nuovi videogiochi, discettano di pesca e fidanzate, si aggirano in luna park illuminati al neon, si confidano con un’intimità naturale e cristallina. Sotto la superficie di un quotidiano che sembra ripetersi sempre uguale cominciano però a farsi strada le increspature della crescita, i fremiti della scoperta (emotiva e sessuale), la consapevolezza di una distanza tra loro che è qualcosa di ancora impercettibile ma che porta già in sé l’implacabile segno dello scorrere del tempo.
Il cormorano è un uccello acquatico, famelico e abituato all’apnea, diviso tra cielo e mare, inviso ai pescatori con cui rivaleggia nella pesca, cacciato e protetto, uno dei pochi volatili capaci di muovere gli occhi. Così sembrano essere anche Matteo e Samuele, i giovani cormorani del film, solidali e solitari, placidi predatori e inconsapevoli prede del mondo che li circonda, golosi di scoprire il contesto che si schiude davanti al loro perenne guardare.
L’opera prima di Fabio Bobbio è un racconto di formazione deprivato di una trama vera e propria, che si affida al pedinamento dei suoi protagonisti per plasmare il loro presente cadenzato da casualità e ripetizioni ma in continuo divenire. I due giovani si lasciano vivere in una sorta di bolla indolente mentre dentro di loro cresce una curiosità esistenziale, una fisicità maschile che ancora non conoscono – il loro reiterato osservare la routine di una prostituta, con gli occhi incerti di un’età acerba – ma di cui iniziano a sentire i morsi.
Bobbio mette il proprio punto di vista all’altezza dei ragazzi, mantenendo allo stesso tempo una pudica oggettività. Osserva loro che osservano il mondo. Il risultato è un’opera fluida e asciutta, che non si concede facili evasioni (una pulizia affettiva che può ricordare Il primo giorno d’inverno, esordio di Mirko Locatelli, che non a caso qui è produttore) né si rifugia in derive metaforiche (come accade invece a tratti nei film di Alessandro Comodin, a cui I cormorani fa comunque pensare in più di un momento). Bobbio sceglie due protagonisti e li immerge nella realtà – naturale e umana – che abitano, aspettando, spesso inutilmente, una reazione quasi chimica, una scossa elettrica, un segnale di vita impreciso.
Pregevole è il lavoro con i due giovani attori, che sembrano muoversi con assoluta naturalezza, quasi incoscienti della macchina da presa che li scruta. I limiti del film si palesano proprio per eccesso di rigore, per la dichiarata volontà di non deviare mai dall’assunto, incapaci – ancor più dell’età che racconta – di scarti improvvisi, di repentini cambi di direzione.
Ne viene fuori un film fin troppo controllato, preoccupato di non cedere mai a un’empatia posticcia per non correre il rischio di sembrare eccessivo, di perdere la tonalità giusta. I cormorani, a tratti, sembra vittima della propria purezza di sguardo ma resta, per lucidità e controllo, un esordio più che convincente, un film sulla ricerca di un tempo e di uno spazio autonomo dove poter crescere, che mantiene le distanze per rispetto dei personaggi, generoso e non accomodante, lontano dalle tante stonate rappresentazioni dell’adolescenza che funestano il cinema italiano di oggi.
Federico Pedroni, cineforum.it, 9/12/2016 |
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Critica (2): | Al cuore dell'adolescenza. Nulla di sociologico, nessun riferimento, o quasi, ai nostri giorni. Un'astrazione spaziale, anche se vagamente profumata di atmosfere paesane, di una campagna assopita e serenamente marginale, sporcata dal centro commerciale e da un modesto luna park. Una poesia sottile della natura umana, vivace canto a quel segmento brevissimo dell'esistenza così eternamente soggetto a inafferrabilità. Racconto d'estate, di torsi nudi, corse e silenzi. Di due ragazzini magri che vagano, perlustrano e si annoiano, che scrutano e poi si avventurano; si tuffano e si asciugano al sole come due cormorani. Si scoprono lentamente, inconsapevoli e inarrestabili, mentre i loro volti si tagliano di turbamento, stupore, desiderio e smarrimento.
Fabio Bobbio imbocca questa strada, coraggiosa, per provare a catturare l'essenza della pubertà al maschile. Immerge Samuele e Matteo nel profondo della calda stagione, coi suoi verdi pomeriggi desertici, con un gelato, col sole alto e bianco, poi basso e infuocato, infine sepolto da un sera rumorosa di lucine e macchine a scontro. Sottrae tutto il superfluo, rinuncia ai raccordi narrativi, al capo e alla coda, e caccia via tutti gli estranei: genitori, insegnanti, chiunque possa inquinare il suono del fiume interiore che muove i suoi ragazzi. Tutto ciò che possa contaminare la loro pedinata soggettiva. L'esordiente regista, già montatore dei film di Mirko Locatelli, scioglie i suoi mistons da ogni convenzionalità e li lega al prato, agli alberi del bosco, al cielo e all'acqua del fiume, a un'estate che sembra già lontana, già nostalgico ricordo. E forse, un pizzico di nostalgia c'è anche per quel tempo, insieme storico e mitico, in cui l'infanzia e la sua morte si consumavano a contatto la natura.
Ed è un omaggio, dell'autore, anche alla letteratura e al cinema sul tema, a quei racconti, di immagini o parole, già capaci di catturare la bellezza del fugace istante cerniera. Bobbio tenta la riproduzione di un'emozione provata, nel reale e sullo schermo, schizzando linee secche e al tempo stesso morbide, che insieme formano un omogeneo mazzo di momenti. Li accumula con una logica non lineare, libera come un vagare della mente. È cinema di confine, il suo, rubato e leggero, oltre la sceneggiatura, oltre il documentario e oltre la finzione. Ben oltre il realismo. È piccolo e aperto
cinema, spontaneo e meditato, decisamente autoriale. Che sa di Piavoli e di Nouvelle vague, che rielabora liberamente la lezione dei maestri, costantemente rinnovabile, la stessa che già altri giovani cineasti italiani di recente – vedi Alessandro Comodin con L'estate di Giacomo – hanno assorbito e riletto. E un cinema, quello di Fabio Bobbio, fortemente consapevole dello spazio esile che il mercato gli concede; è un film, I cormorani, che impegna e fa selezione, che stanca per il suo rigore totale, per le sue scelte radicali, ma che alla fine, attraversato e digerito, ripaga lo sforzo e spiega il suo valore.
Edoardo Zaccagnini, Cineforum n. 561, 1-2/2017 |
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Critica (3): | L’immersione dentro l’estate. In un’età acerba, fatta di riti, ripetizioni e scoperte. Matteo e Samuele sono due dodicenni che passano le giornate tra il fiume, il bosco e il centro commerciale. Sembra esserci un tempo astratto, segnato dai rumori della natura, dell’acqua, delle voci di cui non si riesce però a scorgere il significato delle parole. Quasi una ‘dimensione fantastica’, ma anche di isolamento, dove i due protagonisti sembrano vivere e appartenere a un mondo tutto loro. Nei bagni nel fiume, al luna-park (le luci contaminanti come quelle dello schermo dei telefonini), in una gestualità comune come per oltrepassare la noia, quindi quel tempo. Ma anche nei loro nomadismi sulla strada, con il pedinamento leggero e complice dello sguardo di Fabio Bobbio – qui al suo primo lungometraggio dopo essere stato assistente e montatore in I corpi estranei di Mirko Locatelli, che di questo film è tra i produttori assieme alla moglie Giuditta Tarantelli e Fabio e Paolo Cavenaghi.
Matteo e Samuele si fanno filmare e rincorrere. Sono però le loro traiettorie che disegnano le ‘storie’ che sono come molteplici ipotesi di un diario di iniziazione. Dove vengono seguite geometrie precise, come nella scena in cui i due ragazzi sono circondati e poi inseguiti dagli altri coetanei, in uno squarcio improvviso: un cambio di marcia improvvisamente thriller come se rompesse all’improvviso quell’atmosfera astratta. Il paesaggio sembra plasmato e modificato attraverso i loro occhi. Come se le loro immagini allo specchio – come quelle nel retro del luna park – moltiplicassero la loro presenza e ci lasciassero addosso le loro percezioni. Dalle inquadrature alla festa, alle finte-soggettive e le immagini frontali di quanto vedono la giovane prostituta scendere dalla macchina, I cormorani moltiplica i punti di vista soltanto attraverso quei due corpi. Dove gli adulti sono come trasparenti, entità passeggere. Sono come due alieni ma i loro occhi si espandono catturando dettagli, umori, sensazioni. E il fuori-campo può essere improvvisamente rivelato anche solo per lo spostamento di uno di loro.
Quello di Bobbio è un esordio notevolissimo, studiato nel dettaglio ma anche intenso per il modo in cui si abbandona e si lascia trascinare da questi due adolescenti. Che sembra recuperare frammenti di esperienze di una memoria personale. Di letture o di film visti. Che sembra galleggiare nell’acqua e nell’aria, immergersi e riemergere, pieno di colpi di luce e magie come la scena in bicicletta sulle note di Ho lasciato il tuo amore della Cranchi band o gli sguardi con le ragazze sull’autoscontro, in una festa degli occhi e dei sensi che sembra arrivare direttamente dal cinema di Franco Piavoli. In un cinema che va su e giù. Come il cavallo del rodeo. Rompendo quella sua apparente linearità e, attraverso questi due sguardi, aprendo più mondi e proiettando(ci) nel passato o nel futuro. Con Samuele e Matteo figure senza tempo. Forse gli highlander sopravvissuti da più secoli e generazioni. Venuti qui sulla terra. Per poi ripartire. E poi tornare ancora.
Simone Emiliani, sentieriselvaggi.it, 30/11/2016 |
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Critica (4): | |
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