Se chiudo gli occhi non sono più qui
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Regia: | Moroni Vittorio |
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Cast e credits: |
Soggetto: Vittorio Moroni; sceneggiatura: Vittorio Moroni, Marco Piccarreda; fotografia: Massimo Schiavon, Andrea Caccia; musiche: Mario Mariani; montaggio: Marco Piccarreda; scenografia e arredamento: Fabrizio D'Arpino; costumi: Grazia Colombini; suono: Luca Bertolin; interpreti: Giorgio Colangeli (Ettore), Beppe Fiorello (Ennio), Mark Benedict Bersalona Manaloto (Kiko), Hazel Morillo (Marilou), Anita Kravos (Prof.ssa Giuliani), Elena Arvigo (Prof.ssa Granatelli), Ivan Franek (Feliks), Stefano Scherini (Prof.), Ignazio Oliva (Jacopo), Vladimir Doda (Spiro), Igor Sancin (Vesko); produzione: Vittorio Moroni per 50n con Rai Cinema; distribuzione: Maremosso in collaborazione con Lo Scrittoio; origine: Italia, 2013; durata: 100’. |
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Trama: | L'adolescente Kiko vive in Friuli con la madre filippina Marilou. Suo padre è morto, e ora la mamma ha un nuovo compagno, Ennio, che recluta e sfrutta lavoratori clandestini. Kiko, si sente diverso dai suoi coetanei; frequenta la scuola, dove talvolta le sue origini asiatiche gli procurano problemi di razzismo da parte di alcuni compagni, e per aiutare la famiglia è costretto a lavorare nei cantieri edili di Ennio. C'è solo un posto dove Kiko si sente tranquillo: Saturno, un vecchio autobus abbandonato che lui ha trasformato in un rifugio. Poi un giorno Ettore, un vecchio amico di suo padre, riesce ad accendere in Kiko l'interesse per un sapere completamente diverso da quello che viene insegnato a scuola. Kiko trova così la forza per ribellarsi fino a quando, però, le cose si complicheranno e lui si troverà a dover fare delle scelte decisive...
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Critica (1): | Si parte dall'Eden, dal paradiso perduto, in Se chiudo gli occhi non sono più qui di Vittorio Moroni, e si prosegue con alterne vicende sulla strada della vita disseminata di problemi e dolori in quel lasso di tempo, l'adolescenza, che sembra interminabile. Protagonista è Kiko (Mark Manaloto) italo filippino con il ricordo del padre scomparso in un incidente stradale (Ignazio Oliva) quando lui era piccolo, a ricordargli i pochi momenti di tenerezza e complicità della sua vita. Ora la madre (Hazel Morillo) ha un nuovo compagno (Beppe Fiorello) capo cantiere che gestisce un pugno di operai stranieri al nero, brusco e concreto; che vuole trasmettergli i doveri di un «vero uomo», e come prima indicazione lasciar perdere la scuola e guadagnarsi il pane in cantiere. Il ragazzo infatti dopo la scuola lavora tutto il pomeriggio mentre cerca di studiare come può nelle poche ore libere. Cerca rifugio in un bus abbandonato dove ha raccolto i suoi ricordi, libri, oggetti, fotografie del padre. E durante il pranzo insieme agli altri operai, ha modo di osservare altre tipologie di vita, scene in cui si fa largo il gusto documentaristico del regista, un tocco che tende a sfumare nella finzione, a prendere strade estreme, anche se tenute insieme dalla recitazione accorta di tutti gli interpreti (Beppe Fiorello una volta tanto in un personaggio che non è un santo o un eroe, Colangeli vero uomo vissuto, Mark Manaloto qui al suo esordio, ma nel frattempo ha già girato due film anche se si prepara ad affrontare ora la facoltà di ingegneria).
Il percorso tenuto da Moroni, incisivo in Le ferie di Licu e Tu devi essere il lupo appare oscillante tra fuga nel passato e realtà, tra passi avanti e regressione, proprio come deve apparire la vita a un adolescente. Non docile ma incapace di cambiare il corso degli eventi, incontra casualmente un amico del padre che si offre in nome di quell'antica amicizia di seguirle negli studi, così difficili da affrontare in quelle condizioni. Certo non ha intorno la biblioteca di Monaldo quando, in una scena parallela al film di Martone, circondato da scatoloni e attacchi elettrici volanti cerca di tradurre le frasi dal latino (e del resto a un certo punto i canti di Leopardi li butta via e torna in cantiere).
Poi la storia si complica in maniera irreversibile, togliendo al protagonista ogni punto di riferimento. Tutto quello che aveva cercato di costruire, di esplorare, per cui ci vuole un lungo apprendistato, i modelli da seguire e quelli da evitare, la classe di appartenenza, tutto subisce un forte contraccolpo anche dal punto di vista della linearità del racconto – l'amico del padre non è come vuole far credere – e il senso del romanzo di formazione si avvia verso la conclusione con una certa ricerca delle origini e riuscire a vedere le cose senza troppi contrasti.
Un film da accompagnare nelle scuole, dice Moroni, per far parlare i ragazzi sull'assenza dei padri, dei punti di riferimento. (…)
Silvana Silvestri, il manifesto, 18/9/2014 |
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Critica (2): | Un film sull'adolescenza, questo di Vittorio Moroni, realizzato con il sostegno di Save the Children. Se chiudo gli occhi non sono più qui non è però solo un film di formazione, seppure il percorso di crescita di Kiko (il giovane protagonista filippino del film) sia la struttura narrativa portante. Attraverso lo smarrimento di Kiko e la sua fragile emotività, Moroni racconta il lavoro nero degli immigrati, il lavoro minorile sommerso eppure diffusissimo, la difficile integrazione sociale e culturale, la scuola, il razzismo strisciante dei nostro paese; racconta il senso di colpa e il bisogno di redenzione, la trascendenza poetica del dolore e dello smarrimento. E racconta soprattutto il rapporto padre-figlio: il rapporto di Kiko, introverso e sofferente, con il padre morto in
un incidente qualche anno prima e con la sua tangibile assenza, e anche il suo rapporto con un'altra figura paterna, un maestro di vita, seppure con i suoi lati oscuri. Il tema del vecchio maestro che vede nel giovane allievo una scintilla di luce e cerca di tirar fuori il suo talento, di aiutarlo a crescere e insegnargli a vivere, è un tema molto frequentato dal cinema ma Vittorio Moroni, pur incentrando il suo film su questo rapporto va oltre, aprendo svolte drammatiche inaspettate. Mark Manaloto infonde verità al film, con la sua presenza discreta e una sofferenza interiore costantemente rintracciabile nello sguardo ma mai opprimente. Giorgio Colangeli è a suo agio nel ruolo del vecchio maestro, la cui cultura è derivata da anni di libri, di insegnamento ma soprattutto acquisita vivendo, e a caro prezzo. Accanto a Manaloto e Colangeli, a catturare lo sguardo, non solo per l'interpretazione ma anche per la profondità e la precisione della scrittura, sono alcuni personaggi secondari, primo fra tutti Beppe Fiorello, nei panni di un caporale alla guida di una squadra di muratori e manovali clandestini: un uomo senza scrupoli, senza comprensione, eppure le sfumature della caratterizzazione ne fanno un gran personaggio. E poi la madre di Kiko, interpretata da Hazel Morillo, vulnerabile e forte al tempo stesso nella sua determinazione a mettere da parte il dolore e andare avanti. Sullo sfondo, Moroni sceglie un Nord Est appena tratteggiato, impersonale, anonimo, un luogo come tanti che ogni giorno vede vivere e lavorare centinaia di migliaia di immigrati, clandestini e non, le cui vite scorrono tra cantieri e cucine improvvisate in una stazione di benzina. Unico rifugio per Kiko è un vecchio autobus abbandonato, un sacrario dedicato al padre da cui osserva le stelle, un elemento con cui Moroni intesse nel film una sorta di surrealismo poetico, che trascina il film fuori da quel realismo sociale in cui sarebbe altrimenti circoscritto.
Chiara Barbo, vivilcinema |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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