Heimat - Heimat
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Regia: | Reitz Edgar |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Edgar Reitz, Peter Steinbach; fotografia: Gernot Roll; musica: Nikos Mamangakis; suono: Gerhard Birkholz; scenografia: Franz Bauer, costumi: Reinhild Paul, Ute Schwippert, Regine Batz; montaggio: Heidi Handorf; interpreti: Marita Breuer (Maria Simon), Gertrud Bredel (Katharina Simon), Rudiger Weingang (Eduard Simon), Mathias Kniesbeck (Anton Simon), Michael Kausch (Ernst Simon), Dieter Schaad (Paul Simon), Gudrun Landgrebe (Kl~rchen Sisse), Hans Jiirgen Schatz (Wilfried Wiegand), Eva Maria Schneider (Marie-Goot), Kurt Wagner (Karl Glasich), Jórg Hube (Otto Wollheben), Willi Burger (Mathias Simon), Eva Maria Bayerwaltes (Pauline Króber), Arno Lang (Robert Króber), Sabine Wagner (Martha Simon), Michael Lesch (Paul giovane), Alexander Scholtz (Hdnschen Betz), Johannes Lobewein (Alois Wiegand), Gertrud Scherer (Martha Wiegan), Gabriele Blum (Lotti), Marlies Assmann (Apollonia), Markus Peiter (Anton da ragazzo) Rolf Roth (Anton da bambino) Roland Bongard (Ernst da ragazzo), Ingo Hoffman (Ernst da bambino), Johannes Metzdorf (Fritz Pieritz), Wolfram Wagner (Mathes-Pat), Helga Bender (Martina), Joachim Bemhard (Pollak), Hans-Gunter Kylau (Zielke), Gerd Riegauer (Gschrey), Otto Helm (Glockzieh), Virginie Moreno (la cavallerizza), Rudolf Wessely (l'emigrante)), Kurt Wolfinger (Gauleiter Simon), Alexandra Katins (Ursel), Andreas Mertens (Horstchen), Roswitha Werkheiser (Erika II); produzione: Edgar Reitz Filmproduktions; distribuzione: ItalnoleggioIstituto Luce; durata: 15 h 40' 10"; origine: RFT, 1984. |
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Trama: | La storia si sviluppa in un lunghissimo lasso di tempo (dal 1919 al 1982) e si svolge nell'Hunsruck, una regione rurale di media montagna tra il Reno e la Mosella, terra natale del regista, dove è situato l'immaginario paese di Schabbach. Ed è una storia di destini personali e di piccole vicende locali, che trova il suo perno nella famiglia Simon. Tornato dalla prima guerra mondiale, Paul Simon si sposa qualche anno dopo con la bella Maria, ne ha due figli (Ernst ed Anton), ma poi (siamo nel 1926) pianta tutto e tutti e se ne va a lavorare a Detroit, senza mai più dare notizia di sé. I ragazzi crescono vicino ai nonni Mathias (che fa il maniscalco) e Catharina, allo zio Eduard ed alla zia Pauline. Poi Eduard, iscrittosi all'emergente partito nazionalsocialista, diventa borgomastro e sposa Lucie, una ex-tenutaria conosciuta a Berlino, dove egli è andato per curarsi i polmoni malati. Pauline sposa invece un ricco orologiaio, che sparirà durante la guerra. Intanto il nazismo va al potere, la gente comincia a godere di un certo benessere, Eduard e Lucie si fanno una magnifica villa e in paese primeggia, in divisa di SS, il giovane Wiegand, fratello di Maria, la quale si innamora di Otto, un geometra della Organizzazione Todt (una grande strada è in costruzione nei paraggi), che morirà in seguito nel disinnesco di una bomba inesplosa, lasciando alla donna un figlio (Hermann). Nel 1938 Paul tenta di tornare a casa: ormai egli è un facoltoso industriale nordamericano, ma non riesce neppure a sbarcare in Europa, poichè il regime lo respinge, essendo insorti dubbi sulla arianità della famiglia. La guerra condiziona tutto e tutti con i suoi lutti e le inevitabili restrizioni. Dopo l'occupazione degli Alleati, Anton, a suo tempo chiamato alle armi, farà 5000 chilometri a piedi per tornare dalla Russia a casa: si sposa con Martha e mette su una bene attrezzata fabbrica di articoli ottici. Ernst, congedato da pilota, si dà da fare anche lui, prima con una impresa di trasporti per elicottero, poi quale installatore di case prefabbricate. Un giorno ritorna Paul: i suoi rapporti con Maria sono ormai freddi e formali, le sue simpatie, più che ai figli legittimi e ormai adulti, vanno a Hermann, il quale è scottato da una folle passione per Clara (che ha dieci anni più di lui e che, rimasta incinta, decide di abortire e sarà comunque perseguitata dalla famiglia Simon). Troncato il rapporto, Hermann si dedicherà ai problemi tecnici e stilistici della musica elettronica, sulla quale strada si farà largo come compositore e direttore di orchestra, aiutato da Paul. Ancora gente che invecchia e che nasce, nel paese che fiorisce per la ripresa economica e nel generale benessere finchè - scomparsi da tempo i due nonni - muore anche Maria Simon, ormai ottantenne, nel rispetto e nella stima di tutti. Hermann, in giro per i suoi concerti, giungerà troppo tardi sotto un furioso temporale al suo paese natio, a cui ognuno si sente legato da ricordi dolci o amari, con legami profondi e tenacissimi. (Nel personaggio di Herman è incarnato un alter ego dell'autore) |
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Critica (1): | A malgrado di ogni apparenza, Heimat si definisce così geneticamente che formalmente in opposizione al cinema che lo precede, e che pure sembra contenerlo. II discorso vale in primo luogo per l'Heimatsfilm, ma è più in generale allargabile alla tradizionale narrativa cinematografica. A maggior ragione esso deve intendersi nel caso del "serial", alle cui schematizzazioni le immagini di Reitz non si adeguano neppure in un attimo. Chiunque abbia sostenuto non già un'identità (che sarebbe assurdo), ma anche solo un'affinità tra i due moduli formali, ha semplicemente confuso il dato della durata - 15 ore, 40 minuti, 10 secondi - con i caratteri della reiterazione priva di ordine stilistico. II terreno di cultura del grande affresco sul villaggio di Schabbach è in tutta evidenza disforme dallo scialo di banalità delle telenovelas e affini. Le immagini di Reitz fanno al contrario compattamente gruppo, al fine si inseguire e ricomporre la possibilità di rinominare il senso della terra e del luogo natale, dopo le lordure del nazismo e la non richiesta americanizzazione del dopoguerra. Heimat sta infatti a designare il posto dove si è nati e cresciuti, ma da cui si rimane lontani. Si parla di Heimat soltanto se la separazione garantisce, attraverso il ricordo e la nostalgia, i caratteri di una individuazione già di per sè problematica, molto immane all'anima tedesca e per nulla asservibile ai modelli stranieri. L'estraneità del cinema hollywoodiano, che pure qualcuno con molto poco sale ha richiamato non potrebbe essere più decisa: estraneità ovviamente radducibile, data la poetica di Reitz e la sua lunga militanza nelle file dei firmatari di Oberhausen, alla polemica contro la più che mediocre produzione della cosiddetta era adenaueriana. Tanto più si deve ritenere impensabile un'assimilazione motivata al genere dell'Heimatsfilm, che in Germania è da sempre, sia durante il nazismo che negli anni successivi, una specie di cinema di argomento e livello rurale: storie di campagna e di paesi rozze e volgari, il più spesso ridanciane e scriteriate. D'altra parte, delle popolaresche giocondità di queste comici campagnole il nuovo cinema tedesco ha fatto giustizia sia dai tempi di Scene di caccia in bassa Baviera, inaugurando e impostando un discorso critico sulle realtà rurali, tanto nel passato (Matthias Kneissl di Reinhard Hauff o L'improvvisa ricchezza della povera gente di Kombach di Schlondorff) come nel presente (valgano per tutti i bei film di Joseph Rddl). L'Heimatsfilm di sinistra, come qualcuno ha scritto: nullameno impotente a nominare e descrivere il valore della propria nazione e patria (nel senso del luogo e non dello stato, della vita e non delle sovrastrutture che la rappresentano); ma oltre a ciò paralizzato e privo di una lingua e di una capacità di definizione di fronte agli ultimi cinquant'anni di storia tedesca. Anche sotto tale riguardo, l'impresa di Reitz si situa a una svolta radicale nella storia del cinema della Bundesrepublik. II racconto, rinunziando ai procedimenti di rimozione e metaforizzazione delle realtà impronunciabili, scende viceversa in profondità e in così fare di allarga. Se in altre evenienze le ricerche di stile contrapposte alla norma linguistica si muovevano verso un'inesausta complicazione dello schema formale, nel caso di Heimat la frattura col passato si concentra, sulla lunghezza esteriore. Per la prima volta nell'ambito del cinema, un film sa raccogliere una materia epica articolandola in una narrazione necessaria e in ogni punto rifinita, ma non per questo scorciandone o anche solo contenendone i contenuti sul piano della durata. Negli intenti degli autori e comunque per esplicita asserzione di Edgar Reitz, Heimat vuole essere una opera completa, con una sua quantità e varietà di materiali che diano pieno conto della eccezionale estensione temporale. Ma altresì con quel loro disporsi sull'asse diacronico che rende, di necessità, il senso concreto del trapasso da un'epoca all'altra: lo slittare da un mondo agricolo e idillico, pur pieno di inquietudini, alle prime grosse avvisaglie della midcult e delle sue devastazioni nell'esempio del nazismo (non a caso le zone di campagna compaiono nel film esenti dalla tabe nazionalsocialista, mentre sono le città i luoghi elettivi dell'esaltazione e della violenza di massa), ma anche nel dominio acculturante dei nuovi occupanti yankee. Una tale vastità di problematiche - che investono i caratteri della terra e del popolo tedesco dopo il primo conflitto bellico, così come sarebbero divenuti dopo il nazismo e il secondo dopoguerra - e insieme la naturale lunghezza del racconto traducono in fatto questioni di stile. Valga l'esempio del superamento, se non proprio del cancellamento, della stretta casualità delle azioni nel disegno drammatico delineato nel film. L'accoglimento della ricchezza e contraddittorietà della trama epica conduce a un ulteriore ribaltamento: in luogo di osservare la vita attraverso le immagini, com'è nei canoni del realismo, sono le immagini del film a venire inseguite e indagate, servendosi appunto delle esperienze esistenziali. Proprio grazie a un criterio e a un sentimento che intendono la vita nella sua mutevolezza e complessità, non però celandone le lacerazioni e le fratture, l'opera filmica raccoglie e unifica il supporto unitario del racconto e dei suoi tanti rivoli, per l'appunto epicamente. Diventa insomma il tramite ed il percorso reale di un'identità, che possa definirsi in positivo. Contro la storia e le ideologie, contro ogni forma di generalizzazione e schematismo, con Heimat il cinema in quanto linguaggio espressivo ed artistico (in ciò slegato da ogni convenzione, liberamente proteso a sondare e esperire la verità del luogo) si incarica di traguardare e poi far emergere la natura culturale e spirituale di una nazione e di un'epoca.
Gualtiero De Santi, Cineforum n. 260, dicembre 1986 |
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