William Wilson - William Wilson
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Regia: | Malle Louis |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Louis Malle (dal William Wilson di Edgar Allan Poe); dialoghi: Daniel Boulanger; fotografia (technicolor, widerscreen): Tonino Delli Colli; scenografia e costumi: Ghislain Uhry; musica: Diego Masson; montaggio: Franco Arcalli; interpreti: Alain Delon (William Wilson), Marco Stefanelli (Wilson bambino), Brigitte Bardot (Giuseppina), Renzo Palmer (il prete), Daniele Vargas (il professore), Katia Kristina (la ragazza), Umberto D'Orsi (Franz); produzione: Raymond Eger per Les Film Marceau - Cocinor PEA; Francia - Italia, 1968; durata: 40'. |
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Trama: | Episodio n. 2 di "Tre passi nel delirio" (Histoires extraordinaires)
Edgar Allan Poe sembrerebbe un autore assai adatto a essere tradotto in cinema; invece non lo è, e quasi tutti i film ricavati dai suoi racconti sono dei fallimenti. Poe trae in inganno con le sue invenzioni vistose e il suo stile truccato, falsamente neoclassico e scientifico; in realtà non andrebbe mai preso alla lettera ma letto in filigrana in senso psicologico e, ancor meglio, psicanalitico. Ricordiamo a questo proposito l'interpretazione in chiave freudiana della poesia Ulalume fornita da Marie Bonaparte. Il testo oscuro e simbolico era illuminato dalla definizione della necrofilia di Poe insolitamente alleata al complesso di Edipo (in sostanza: avrebbe voluto far l'amore con il cadavere della propria madre morta precocemente). Ora cosa aggiungeva a quella poesia la chiave fornita dalla Bonaparte? Vi aggiungeva l'idea che l'originalità di Poe non stava tanto nelle sue qualità letterarie quanto in qualche cosa di mostruoso, di unico, di 'pratico" che in qualche modo aveva trovato espressione nella letteratura anzichè nella vita. |
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Critica (1): | William Wilson (1968), adattamento del notissimo racconto di Poe incentrato sullo sdoppiamento. Senza obliterare la lettura di Baudelaire e della Bonaparte, Malle risolve la tematica in una ennesima variazione del proprio personaggio. William Wilson è così parente prossimo di Alain Leroy, di Maria y Maria, di Randal; e la fuga da sè che connota la sua esistenza significa in primo luogo il rifiuto di riconoscere l'obiettiva situazione in cui è calato. Il "doppio" potrebbe venire assunto a metafora del contrast tra una vita fondata sull'edonismo, sulla bellezza, sull'intensità delle esperienze, e il richiamo angosciante della realtà. Non stupisce così che al fantastico di Poe succeda nel film una narrazione puntigliosamente controllata, attenta ai raccordi e ai risvolti logici. Da parte sua Malle romantizza la materia (vedi il topos delle tre età fondamentali: infanzia, adolescenza e giovinezza), con l'acribia di una ricostruzione che allude apertamente al grande "melo" di Senso e un ribellismo (la rivolta dell'angelo maledetto e dannato) che assume gli inediti caratteri dell'eccitazione e della violenza sadica. Lo sdoppiamento, come compresenza di due nature egualmente attive, non è però assunto da Malle nei suoi termini analitici: non porta cioè ad approfondire le inquiete lacerazioni di una natura divisa tra una realtà repulsiva e un dover essere impossibile (che è l'articolazione o, se si vuole, la disarticolazione su cui riposa il suo cinema). La mediocrità del William Wilson cinematografico è così in tutto proporzionale al rifiuto del suo autore di rispecchiarsi finalmente in un supporto critico. Ma anche con tali limiti e con le resistenze opposte, il fatto che l'infrazione (Wilson che uccide il suo sosia) sfoci nel suicidio dà l'ulteriore conferma di una incapacità, che è culturale e politica, ad uscire da un ruolo e da una condizione adialetticamente ripiegati su se stessi.
Gualtiero De Santi, Malle, Il Castoro Cinema |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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