Frantz
| | | | | | |
Regia: | Ozon François |
|
Cast e credits: |
Sceneggiatura: Philippe Piazzo, François Ozon, liberamente ispirata al film "L'uomo che ho ucciso" (1932) di Ernst Lubitsch; fotografia: Pascal Marti; musiche: Philippe Rombi; montaggio: Laure Gardette; scenografia: Michel Barthélémy; arredamento: Catherine Jarrier-Prieur, Maresa Burmester; costumi: Pascaline Chavanne; effetti: Mikael Tanguy, Umedia; interpreti: Pierre Niney (Adrien), Paula Beer (Anna), Ernst Stötzner (Hoffmeister), Marie Gruber (Magda), Yohann von Bülow (Kreutz), Anton von Lucke (Frantz), Cyrielle Clair (madre di Adrien), Alice de Lencquesaing (Fanny); produzione: Mandarin Production, X. Filme et Foz; distribuzione: Academy Two; origine: Francia, 2016; durata: 113'. |
|
Trama: | Dopo la fine della guerra 14-18, in una piccola città tedesca, Anna si reca ogni giorno presso la tomba del suo fidanzato Frantz, morto al fronte in Francia. Un giorno, arriva in città il giovane francese Adrien, anche lui desideroso di rendere omaggio alla tomba dell'amico tedesco. La presenza di Adrien, vista la sconfitta dei tedeschi, provocherà una serie di reazioni molto forti e sentimenti estremi tra i cittadini. |
|
Critica (1): | Germania, 1919. La Prima Guerra Mondiale è finita da poco e, oltre alle macerie, il paese deve fare i conti con un’elaborazione di massa del lutto. In ogni famiglia c’è un figlio o un marito che non ha fatto ritorno dal fronte. Frantz, unico figlio di un medico, è morto in guerra lasciando in agonia i genitori e Anna, la sua promessa sposa, che è stata praticamente adottata da quelli che dovevano diventare i futuri suoceri. Ma se per gli anziani il dolore è ormai l’unico quotidiano immaginabile, per la giovane la vita dovrebbe continuare. Lei, però, di fronte alla corte di un pretendente, afferma dura di non voler dimenticare Frantz; che per lei il futuro è il tempo del ricordo. Ma quando, recandosi come tutti i giorni sulla tomba del fidanzato, incontra un misterioso giovane francese, il suo orizzonte sembra cambiare. L’uomo, inizialmente respinto solo per il fatto di essere francese, un nemico a priori, pian piano si incunea nelle resistenze della famiglia, si presenta come amico di Frantz, compagno di spensierate passeggiate in una Parigi solo immaginata.
In Frantz, François Ozon prende ispirazione da un film del 1932 di Ernst Lubitsch, L’uomo che ho ucciso (Broken Lullaby), per rimettere in scena, con occhio nuovo, molte ossessioni tipiche del suo cinema. La scelta di raccontare la storia dalla parte degli sconfitti, e quindi di girare il film in una lingua non sua, spinge sin dall’inizio verso una forma di straniamento che informa e definisce i personaggi. Il tormentato giovane francese viene rifiutato e poi accettato in un avvicinamento che è linguistico prima ancora che sentimentale. Gli sforzi comunicativi sfumano le tensioni e il racconto di un passato condiviso con il defunto Frantz, vero o falso che sia, sa riavvicinare gli opposti. Specularmente, quando è Anna a volere lasciare la Germania per provare a ritrovare a Parigi l’amico che ha smesso di scriverle, sarà lei a trovarsi trapiantata in un contesto nuovo, lost in translation, ma capace grazie alla sua conoscenza della lingua, di farsi strada nel mondo.
Un altro tema, più direttamente legato alla natura melodrammatica del racconto, riguarda la colpa e il perdono. Adrien vive nel rimorso, cerca il perdono perché non riesce a sopportare il peso della colpa, entra nel cuore di Anna con la sua fragilità, spinge la ragazza a scegliere – proprio e ancora grazie alla sua padronanza delle lingue – le regole d’ingaggio del loro rapporto, a poter decidere cosa dire e cosa lasciare non detto. Ma quando i due giovani sembrano finalmente potersi trovare, come spesso accade in Ozon, l’ambiguità indefinibile dei sentimenti si manifesta: la sincronia emotiva non è un corollario dell’amore né, tanto meno, della volontà.
Ozon costruisce un film stratificato, che spazia dal calore sentimentale del mélo – per quanto raffreddato nei toni e nei modi – alla riflessione sulla necessità di costruire dei ponti sui baratri – emotivi, linguistici, storici – che altrimenti potrebbero inghiottirci. Il risultato è un’opera elegante, non priva di qualche eccesso di calligrafismo, che sfuma il gusto estetizzante dell’autore con alcune trovate di messa in scena, che letteralmente scolora e riaccende lo schermo seguendo le onde emotive dei protagonisti e degli occhi umidi della bellissima Paula Beer. Un film ondivago ma dal profondo e niente affatto scontato animo umanista.
Federico Pedroni, cineforum.it |
|
Critica (2): | (…) Per il suo nuovo lavoro, (...), Frantz, François Ozon gioca sui registri del melodramma, una cifra che ricorre nei suoi film, l'amor fou, l'amore impossibile, raggelato nell'ambiguità in cui so-spende le storie, i personaggi, le loro relazioni. La pièce a cui si è ispirato Ozon (di Maurice Rostand) era già stata all'origine di un film di Lubitsch, Broken Lullaby (1931) e delle vecchie pellicole Ozon sceglie un bianco e nero che lascia in alcuni passaggi lo spazio al colore, memoria o istante impossibile di felicità poco importa, perché è ciò che rimane fuori dal bordo a interessarlo, lo spazio della narrazione che inventa altri mondi e altre realtà. Era Adrien, questo il nome del giovane francese (Pierre Nimey) forse l'amante di Frantz? Se lo chiede Hannah (la magnifica attrice Paula Beer) e lo pensiamo noi spettatori (viene in mente Odete di Joao Pedro Rodrigues). Non è però il dolore di una perdita che ha spinto Adrien a sfidare l'ostilità tedesca. Lui Frantz non lo conosceva nemmeno, la guerra li ha messi da-vanti per caso, uno contro l'altro, è rimasto chi ha sparato per primo. Adrien cerca il perdono per questo ha mentito, è entrato nella vita di Frantz.
Sono diversi, il ragazzo francese nobile e il ragazzo tedesco nella sua piccola casetta semplice e ordinata. Eppure è come se divenissero un'unica persona, o forse un'altra ancora chissà nelle invenzioni di Hannah, nei suoi silenzi e nelle lettere scritte poi a Adrien e respinte al mittente. Pure Hannah però mente quando compie il viaggio all'inverso, verso Parigi, cerca i ricordi di Frantz ma soprattutto cerca Adrien. Nello specchio del doppio si compone per entrambi,quel giovane reduce fragile e la ragazza tedesca la visione non di parte del mondo, fuori dalla logica dello schieramento, della patria: davanti agli occhi di Hannah anche la Francia vittoriosa è piena di croci, di feriti, di mutilati come tutta l'Europa. Di sussulti nazionalisti che le attirano le occhiate cattive della gente. Anche Frantz si rivela diverso, in fondo, coi suoi segreti...
Ai due anziani genitori la ragazza però descrive luoghi pieni di vita, Adrien che è tornato a suonare nell'orchestra, loro che vanno in giro per Parigi, forse innamorati, mentre il ragazzo è depresso e sposerà un'altra Poco importa. Perché Hannah, magnifico personaggio femminile con cui Ozon sembra far coincidere il suo sguardo, come un regista crea altre vite, altri presenti e possibili futuri.
Un orizzonte sfumato tra vero e falso che si allarga nel potere immaginifico della parola, a cui Ozon affida le variazioni del sentimento, l'universo di una donna che in sé racchiude tutto il vero, e nella sua messinscena sa renderlo una variante. Non la sola, ma una tra le infinite possibili.
Cristina Piccino, il manifesto, 4/9/2016 |
|
Critica (3): | |
|
Critica (4): | |
| |
| |
|