Visit (The)-Un incontro ravvicinato
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Regia: | Madsen Michael |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Michael Madsen; fotografia: Heikki Färm; musiche: Karsten Fundal; montaggio: Stefan Sundlöf, Nathan Nugent; produzione: Magic Hour Films Aps, Mouka Filmi Oy, Indie Film, Nikolaus Geyrhalter Filmproduktion, Venom Films; distribuzione: I Wonder Pictures; origine: Danimarca-Finlandia, 2015; durata: 90’. |
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Trama: | Gli alieni ci guardano? Ci ascoltano? E che idea si sono fatti di noi? Il film racconta cosa succederà quando queste domande avranno una risposta: ovvero quando loro verranno a trovarci. L'enfant prodige del cinema danese mette in scena la situazione dell’incontro, i rischi e le tensioni che scatenerà, le strategie di politici, scienziati, agenzie spaziali. Un fanta-documentario, una finta storia vera che testimonia un evento mai accaduto, usando questo apparente controsenso per scardinare i nostri pregiudizi su noi stessi. Perché forse guardandoci da una distanza siderale riusciamo a vedere meglio ciò che siamo diventati. E immaginare di spiegare i nostri errori a un’intelligenza aliena è un modo per tentare di non ripeterli. |
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Critica (1): | MM: Dopo aver lavorato per anni al mio film precedente, Into Eternity, mi sono imbattuto in un articolo che mi ha detto l’idea per il successivo, THE VISIT, la seconda parte di quella che sarà una trilogia. L’articolo parlava del fatto che le Nazioni Unite avevano nominato il Direttore dell’Ufficio per gli affari dello spazio extra-atmosferico “Ambasciatore per i rapporti con gli alieni”, una storia che ha presto fatto il giro del mondo.
La faccenda ha attirato la mia attenzione perché ho sempre pensato che il cambiamento più radicale che possa accadere sulla Terra sarebbe il contatto con un’altra forma di vita. E mentre leggevo l’articolo mi è improvvisamente balenata in mente l’idea che, se stavano veramente istituendo il ruolo di Ambasciatore per i rapporti con gli alieni, c’era il potenziale per fare un grande film su cosa farebbe realmente la gente, all’atto pratico, nel momento del primo contatto. Poi il giorno dopo ho scoperto che si trattava di una bufala. Le Nazioni Unite avevano negato, non era stato nominato nessun Ambasciatore. Ma la storia mi era rimasta dentro, quindi mi misi in contatto con l’Ufficio per gli affari dello spazio extra-atmosferico a Vienna. Erano estremamente riluttanti. Ci ho messo un anno intero a convincerli a prendere parte al documentario, ma per una pura coincidenza quando sono andato a Vienna per il mio primo incontro con loro – un incontro fissato dopo quattro mesi di faticosi tentativi – il capo dell’ufficio è entrato improvvisamente dalla porta e ha detto “Into Eternity è un film meraviglioso! L’ho visto per caso la notte scorsa in una qualche rete via cavo svedese” e il clima è cambiato immediatamente. Ora tutto era possibile. (...)
MB: Per tutta la durata del film mantieni l’extra-terrestre il più astratto possibile e non cedi alla tentazione di mostrare navi spaziali, pistole laser e dettagli anatomici; non viene neanche detto esplicitamente che l’alieno abbia una forma materiale, e non è del tutto chiaro nemmeno in che circostanze sia avvenuto il primo incontro vero e proprio. Ma proseguendo nella visione del film ci rendiamo conto che non parla tanto delle forme di vita extra-terresti, quanto dell’uomo stesso e di ciò che è nascosto dentro di noi.
MM: THE VISIT non è un film sugli alieni, è uno specchio. Parla di noi, delle nostre idee su cose che sentiamo molto distanti e sull’immagine che abbiamo di noi stessi. Vediamo tutto a nostra immagine e se qualcuno può raggiungerci da una così vasta distanza deve essere anche molto più tecnologicamente avanzato di noi. Ma il fatto di aver raggiunto un livello tecnologico così avanzato che avrebbe potuto portare facilmente alla fine della loro civiltà ed essere riusciti a superare quel momento cruciale implica che abbiano raggiunto anche una consapevolezza morale molto superiore alla nostra. Ci sono due scuole di pensiero su come andrà il primo incontro tra noi e una forma di vita aliena dallo spazio profondo. Secondo la prima scuola di pensiero, arriveranno qui con cattive intenzioni e sarà un’invasione. La seconda scuola di pensiero sostiene che l’incontro sarà per noi un nuovo Rinascimento: arriveranno con conoscenze molto più profonde delle nostre, ci salveranno dalle malattie e via dicendo. C’è un po’ di sudditanza in una simile visione, e anche un po’ di speranza, ma anche l’idea di essere notati, e forse anche compresi, da esseri a noi superiori. Trovo che questo sia lo scenario più interessante. Se pensi allo scenario di un incontro con una civiltà aliena a noi superiore sia tecnologicamente che moralmente, ti rendi conto che c’è questo punto cieco nella civiltà occidentale e in quel punto cieco trovi la mancanza di controllo. Se arrivasse sulla Terra un essere più intelligente di noi, e non sapessimo cos’è, vivremmo l’esperienza di una totale perdita di controllo, e per la società occidentale trovarsi in questa situazione è insolito. È proprio questa perdita di controllo che trovo interessante.
Qui sulla Terra, le nostre esperienze di incontro con civiltà percepite come “aliene” sono state piuttosto sfortunate. Gli Europei descrivevano i nativi americani e sudamericani come “animali senzienti”. Testimonianze del tempo si riferiscono agli Indiani con appellativi simili, finché non fu concesso loro lo status di “essere umano” e si è deciso che possedevano un’anima. Il problema con incontri di questo tipo è che nell’incontrare l’altro puoi arrivare a perdere te stesso, e trovo che questo sia spaventoso.
Ciò che mi interessa è domandarci chi siamo. Si potrebbe dire che l’incontro con una forma di vita aliena sarebbe il completamento della Rivoluzione Copernicana. Abbiamo capito che non siamo più al centro dell’universo, ma consideriamo ancora la tradizione umana quale fosse la forma di vita più evoluta del sistema solare. Una simile visione sarebbe completamente stravolta.
MB: Come hai fatto a girare le interviste in cui gli esperti parlano direttamente con l’alieno dando l’impressione che parlassero realmente con l’alieno?
MM: È una sorta di gioco di ruolo che ho voluto fare con loro: “Immagina di avere di fronte questa creatura e di parlare con lei”, ho detto. Prima di iniziare ho indagato approfonditamente sul loro pensiero rispetto all’argomento. Prima ho domandato “che tipo di vestiti indosseresti? Come ti muoveresti?”. Ho avuto qualche difficoltà a convincerli a essere molto fisici e specifici in relazione alla forma di vita aliena: “Ha un odore? Cosa vedi di fronte a te? Riuscirai a mantenere la calma?”. Per esempio l’uomo del SETI (in una scena che purtroppo non ha trovato spazio nella versione finale del film) ha detto che avrebbe voluto vedere come sarebbe stato stendersi e dormire insieme all’alieno.
MB: Ma il film esamina anche la possibilità che la forma di vita aliena decida di andarsene subito dopo aver dato un’occhiata intorno, con il conseguente senso di solitudine che ci pervaderebbe a quel punto. Quanto sarebbe tremendo scoprire che c’è qualcuno là fuori, ma quel qualcuno decidesse semplicemente di andarsene?
MM: Già, sarebbe davvero triste. La domanda che ci porremmo a quel punto sarebbe: non valiamo nulla? Non valiamo proprio nulla? Valiamo ancora meno di una coincidenza cosmica? È un pensiero terrificante. Nell’uomo c’è un forte senso di solitudine, e sin dall’alba dei tempi abbiamo guardato le stelle domandandoci se ci fosse qualcun altro là fuori o se invece fossimo completamente soli.
MB: Ti spaventava l’idea che potesse davvero avvenire un incontro con gli alieni proprio mentre giravi il tuo film?
MM: No, ma so che, quando stava girando 2001: Odissea nello Spazio, Stanley Kubrick ha chiesto una copertura assicurativa che coprisse i costi di produzione in caso si fosse verificato un incontro con gli alieni. Perché, se ce ne fosse stato uno, il film sarebbe stato rovinato. Durante la produzione di THE VISIT, la NASA disse improvvisamente che avrebbe fatto un annuncio storico, e tutti pensavano che avessero finalmente trovato la vita su Marte, ma ciò che poi annunciarono non era neanche vagamente altrettanto importante. Io però continuo a sostenere che se un incontro avvenisse davvero, il mio film sarebbe un ottimo manuale per capire come gestire la cosa.
MB: Ho letto che al SETI, dove ovviamente stanno continuando a monitorare i segnali radio dallo spazio, si stima che avremo il nostro primo contatto con una civiltà aliena entro i prossimi 20 anni, che su scala cosmica valgono come un millesimo di secondo. Siamo preparati?
MM: Ovviamente gli esperti del SETI hanno tuttora il problema del silenzio assordante che arriva dallo spazio, ma devono comunque continuare a mandare avanti l’operazione, quindi devono per forza dire qualcosa.
Ma quando un contatto sarà realmente stabilito, credo che sarà veramente difficile, politicamente, creare una voce unica per l’umanità. Però l’aspetto più arduo sarà mantenere una mente aperta. L’unica cosa che so dire con certezza di uno scenario simile è che non siamo in grado di figurarcelo; semplicemente, non sapremo con cosa avremo a che fare. (...)
MB: Lo scienziato italiano Enrico Fermi si è domandato: se lo spazio è così pieno di vita, dove sono tutti e perché non se ne trova traccia?
MM: Una possibile risposta è che gli alieni sono già qui: si tratta degli Ungheresi, con quella loro strana lingua. La seconda possibile risposta è che sono abbastanza intelligenti da non venire qui, perché qui non c’è nulla che sia di loro interesse. Ma l’equazione di Drake dimostra che dato che ci sono così tanti pianeti là fuori, allora deve esserci anche la vita in molti altri posti oltre alla Terra, ed ecco la domanda che ne consegue: se c’è vita dappertutto, perché non l’abbiamo vista? Ma la risposta più scientifica alla domanda potrebbe essere che certo, c’è la vita, potrebbe persino essere qui, ma noi non riusciamo a riconoscerla come tale. Il nostro sistema percettivo non riesce ad avvertirla o a comprenderla.
(Conversazione tra Michael Madsen e il giornalista danese, filmmaker e documentarista Mads Brügger, pubblicata su EKKO) |
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