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Miele


Regia:Golino Valeria

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo di Mauro Covacich, con Francesca Marciano, Valeria Golino, Valia Santella; sceneggiatura: Francesca Marciano, Valeria Golino, Valia Santella; fotografia: Gergely Pohárnok; montaggio: Giogiò Franchini; scenografia: Paolo Confini; costumi: Maria Rita Barbera;
suono: Emanuele Cecere; interpreti: Jasmine Trinca (Irene-Miele), Carlo Cecchi (Ing. Carlo Grimaldi), Libero De Rienzo (Rocco), Vinicio Marchioni (Stefano), Iaia Forte (Clelia), Roberto De Francesco (Filippo), Barbara Ronchi (Sandra), Massimiliano Iacolucci (padre di Irene), Claudio Guain (Ennio), Elena Callegari (Carla), Teresa Acerbis (madre di Lorenzo), Jacopo Crovella (Lorenzo), Valeria Bilello (madre di Irene), Gianluca De Gennaro (ragazzo in discoteca); produzione: Riccardo Scamarcio e Viola Prestieri per Buena Onda con Rai Cinema, in coproduzione con Les Films Des Tournelles-Cite' Films; distribuzione: Bim; origine: Italia-Francia, 2013; durata: 96’.

Trama:Irene è una ragazza di trent'anni, che ha deciso di mettere la sua vita al servizio dei malati terminali che vogliono abbreviare la propria agonia e le sofferenze; lavora in clandestinità, con il nome in codice 'Miele'. Tutto sembra procedere per il verso giusto fino all'incontro con l'ingegnere Carlo Grimaldi, un settantenne in buona salute, che ritiene semplicemente di aver vissuto abbastanza, che metterà in discussione le convinzioni e l'operato di Irene...

Critica (1):Là dove la morte è attesa come un dono irrinunciabile, arriva lei. Miele, con il suo prezioso, ferale zainetto e la sua efficienza professionale e gentile. L'aspettano in case qua e là per l'Italia, persone sperdute nella sofferenza, già al di là della vita da cui vogliono fuggire; l'aspettano chi resterà di qua, chi subisce quei momenti solenni nella confusione del dolore, nella banalità dei gesti necessari, nell'amore crudele che li ha piegati a cedere, ad aiutare la persona amata che vuole a tutti i costi andarsene. Miele è il primo film da regista di Valeria Golino, prodotto dal suo compagno Riccardo Scamarcio e da Viola Prestieri, ispirato al romanzo A nome tuo di MauroCovacich (…) Valeria ha ricostruito il personaggio di Irene-Miele rispetto a quello del romanzo, anche fisicamente, affidando la parte a Jasmine Trinca dalla grazia nervosa e androgina, e ne ha fatto una trentenne aspra ma capace di tenerezza, che si guadagna da vivere aiutando i malati terminali a interrompere l'interminabile agonia.
La sua non è una scelta ideologica o umanitaria, né un risarcimento per la morte dolorosa della madre per malattia, che infatti ricorda ridente nei momenti lontani di reciproca felicità: per lei si tratta di un lavoro, rischioso e illegale ma ben pagato, che i medici vilmente le affidano. «È sicura di volerlo fare? Vuole ripensarci? No, non proverà dolore; non ci vorranno più di due minuti...». Sono le parole che placano la paura, accompagnando il suo veloce, distaccato intervento. Poi fuori, la ragazza si sfianca con il nuoto e la bicicletta, fa sesso casuale con un paio di amanti insignificanti, si rifiuta al mondo, si isola con la musica negli auricolari, si rifugia nella sua baracca sulla spiaggia, si chiude in una solitudine affannata e fredda, sempre di corsa a consumare la vita e a evitarla.
Del bisogno di morte e del suo mistero ci parla spesso la cronaca; dal novantenne Mario Monicelli che a Roma si butta dalla finestra dell'ospedale, ai due giovani amici che pochi giorni fa a Milano, insieme, si sono soffocati con l'elio, dal suicidio assistito in una clinica svizzera di Lucio Magri a quello più recente dell'ex magistrato Pietro d'Amico. Miele è quindi un film attuale, quasi di cronaca, che evita con intelligenza ogni presa di posizione di parte, religiosa o di convenienza politica, come invece Bellocchio ha voluto mettere in evidenza nel suo appassionato Bella addormentata ispirato al caso Englaro. Per Golino semmai, «il film di riferimento è stato Le invasioni barbariche di Denys Arcand», che dieci anni fa riuscì a raccontare di eutanasia, senza cinismo e senza sentimentalismo, come l'ultimo regalo corale di un gruppo di vecchi amici al malato terminale che con loro aveva diviso tutte le gioie della vita.
Il lavoro porta Miele in casa di un ingegnere settantenne che vive da solo e da solo vuole sbrigare la sua fine: la ragazza deve solo procurargli il farmaco d'uso veterinario, che acquista in Messico dove non è richiesta la ricetta. Ma l'ingegner Grimaldi (il tuttora affascinante grandissimo Carlo Cecchi) non ha nessuna malattia, la sua sola sofferenza è la noia, il non desiderare più nulla. Non è il ragazzo paralizzato dalla Sla che la madre sorregge dolente come in una pietà michelangiolesca, non è l'uomo in carrozzella destinato a una fine lentissima di cui la sorella (Iaia Forte) si sbarazza con sollievo, non è la signora in età, straziata dalla metastasi, che si è truccata, e ha messo la parrucca, e il marito sperdutole tiene le mani come per riuscire a trattenerla dal precipizio della morte.
Per la prima volta, con quell'uomo tanto più vecchio, cinico, sgarbato e sfuggente, Miele si sente un'assassina, e si rifiuta di esserlo; e in qualche modo è come se ognuno di loro, litigando, uscisse dalla propria estraneità al vivere, si riconoscesse capace di sentirsi e accettarsi. La fine di Miele è diversa da quella di A nome tuo, ed è la conclusione inaspettata e geniale di un film girato con sapienza e partecipazione, con attori perfetti nei loro ruoli, immagini accuratamente studiate per dire molto di più di quel che raccontano: nato dall'impegno di una coppia che ha deciso di andare oltre i successi personali come attori che, insieme, sono riusciti a creare un primo film molto bello.
Natalia Aspesi, la Repubblica, 30/4/2013

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