Bel pasticcio! (Un) - Fine mess (A)
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Regia: | Edwards Blake |
Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Blake Edwards; fotografia: Harry Stradling; musica: Henry Mancini; montaggio: John F. Burnett, Robert Pergamena; scenografia: Rodger Maus; costumi: Patrick R. Norris, Nancy Martinelli, Patricia Norris; suono: William Stevenson; interpreti: Ted Danson (Spence Holden), Howie Mandel (Dennis Powell), Richard Mullingan (Wayne "Turnip" Farragalla), Stuart Margolin (Maurice "Binky" Dzundza), Maria Conchita Alonso (Claudia Pazzo), Jennifer Edwards (Ellen Frankenthaler), Paul Sorvino (Tony Pazzo), Rick Ducommun (Wardell), Vic Polizos (detective Hunter), James Cromwel: (detective Blist), Dennis Franz (Phil); produzione: Tony Adams, per Columbia-Delphi V Prods; distribuzione: Columbia; durata: 88'; anno: 1986. |
Critica (1): | C'era una volta lo slapstick o W Stanlio e Ollio! potrebbero essere i sottotitoli di questi commedia degli equivoci diretta da un regista del calibro di Blake Edwards. Oltre quarant'anni di cinema alle spalle (dagli esordi come comparsa durante il secondo conflitto mondiale alla prima sceneggiatura - un western di Lesley Selander! - nel 1948), alcune pietre miliari del cinema hollywoodiano al suo attivo (tali sono, per noi, Colazione da Tiffany, I giorni del vino e delle rose, forse anche Victor Victoria), di recente, nell'85 un film, Miki & Maude, molto saporoso, pieno di allegria e di malinconia insieme (Edwards è maestro in simili cocktail), ma ahimè, non molto gradito al pubblico: queste le premesse di Un bel pasticcio!, opera dall'intreccio complicato, molto "vecchia maniera" (leggi: girato in gran parte secondo i criteri del cinema muto , mirando a suscitare il riso soprattutto attraverso l'immagine). Il peso della storia grava quasi interamente sulle spalle di una coppia comica inedita (Ted Danson e Howie Mandel, parecchio lavoro in TV, ma, nel caso del primo, anche qualche film, Creepshow p. es.), coadiuvata da spassosissime "spalle" dall'esperienza ultracollaudata (Paul Sorvino, Stuart Marlin, Richar Mulligan, il più fedele "feticcio" edwardsiano dell'ultimo periodo, bravissimo sempre, persino nel naufragio di Teachers di Arthur Hiller dove, fuggitto dal manicomio e scambiato per un docente - bisogna essere folli per insegnare teneva lezioni di storia dal vero ai suoi allievi, vestendo e parlando come un redivivo George Washington). La trama è un esile canovaccio (scritto dello stesso regista) che mescola le corse di cavalli truccate alle aspirazioni al successo - pecuniario - di Spence e Dennis (due nullità: comparsa da quattro soldi il primo, cameriere sui pattini il secondo), mostrando come le loro gesta amorose (oggetto delle attenzioni di Dennis è Jennifer Edwards, figlia del regista e di Julie Andrews) li pongano sulla strada di un boss mafioso spietato (il suo nome è già tutto un programma: Tony Pazzo!) e gelosissimo della propria consorte, sulla cui fedeltà d'altronde è meglio stendere un pietoso velo... Non è finita: alle iniziali riprese di un film ambientato nei Thirties, che s'incrociano incredibilmente con la vita reale (la fuga dell'attorucolo su un'auto d'epoca, inseguito in auto e a cavallo dai gangster che ha sorpreso in flagrante doping ad un equino), corrisponde la satira del western (all'italiana?) del finale, col tradizionale saloon trasformato in set per il litigio tra due innamorati in preda alla gelosia (lei, la bella Maria Conchita Alonso, già notata in Mosca a New York di Mazursky e nel TV-movie della RAI Il cugino americano, presentano quest'anno a Venezia: decisamente una mora à suivre) o refrattari per natura alla fedeltà (Spence, che delle sue numerose "amiche" ha la sfortuna di non ricordare mai il nome...). Non tutto funziona a dovere in quest'ennesima rivisitazione di un terreno che Edwards conosce e pratica da anni, qualche situazione del film è un po' stiracchiata, ma l'asta in cui i due soci dilapidano tutta la loro vincita "truccata" per l'acquisto di una vecchia pianola è un momento di cinema esilarante, del tutto degno del suo autore. Congegni a orologeria della meravigliosa precisione di Hollywood Party non sempre, si sa, sono ripetibili (del resto, non è stato Billy Wilder ad insegnarci che "nessuno è perfetto"?). Ma la coerenza dell'autore è fuori discussione, invoca il nostro rispetto. La sua fedeltà ai modelli classici dell'epoca d'oro del cinema comico americano (citavo all'inizio Laurel & Hardy, per i quali Edwards, e non solo lui, nutre un'autentica venerazione: la consegna a domicilio della pianola non può non rievocare le peripezie di un pianoforte in The music box (1932). E' poi solo un caso che un "tre rulli" sonoro dell'immortale coppia "grasso+magro" rechi il titolo Another Fine Mess [1930]?) lascia ammirati, commossi perfino. Leggiamo una sua dichiarazione: "Pretendere che slapstich e sofisticazione non possano procedere parallelamente è un errore. Da parte mia cerco di elevare il livello dello slapstick e di semplificare la sofisticazione andando in direzione della naturalezza". Attenzione alle apparenze: Edwards non sta parlando del suo ultimo parto, la citazione proviene da una lontana intervista - del 1966 - ai "Cahiers du Cinéma" (riportata anche da Roberto Vaccino nel suo bel "Castoro" sul regista). E' anche questa, una (piccola) testimonianza, se ce ne fosse bisogno, dell'assoluta consequenzialità di un cineasta, della sua ammirevole fedeltà a se stesso e al proprio "lavoro".
Mario Molinari, Segno Cinema n. 25 novembre 1986 |
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