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Casa dei giochi (La) - House of games


Regia:Mamet David

Cast e credits:
Soggetto: Jonathan Katz, David Mamet; scenografia: David Mamet; fotografia: Juan Ruiz Anchia; musica: Alaric Jans, Fuga dalla Toccata in do minore di Johann Sebastian Bach eseguita da Warren Bernhardt; canzone: "ThisTrueLove Stopped for You (But Not for Me)", di Rocco Jans, cantata da June Shellene; montaggio: Trudy Ship; scenografia: Michael Merritt; costumi: Nan Cibula; interpreti: Lindsay Crouse (Margaret Ford), Joe Mantegna (Mike), Mike Nussbaum (Joey), Lilia Skala (dottoressa Littauer), J.T. Walsh (l'uomo d'affari), Wilo Hausman (ragazza col libro), Karen Kohlhaas (paziente nella prigione), Steve Goldstein (Billy Hahn), Jack Wallace (barista della House of Games), Ricky Jay (George); produzione: Michael Hausman per Filmhaus Production/Orion Pictures; distribuzione: CDI; durata: 102'; origine: USA, 1987).

Trama:
Psichiatra affermata di Seattle si fa coinvolgere da un irriducibile giocatore d'azzardo e viene a contatto con il pittoresco e pericoloso mondo dei truffatori.

Critica (1):Benchè La casa dei giochi rappresenti il suo esordio dietro la macchina da presa, David Mamet, classe 1947, non è proprio quello che si dice uno sconosciuto. Commediografo di vaglia, ha raggiunto la notorietà a ventisette anni con American Buffalo, prima di aggiudicarsi il Pulitzer con Glengarry Glen Ross, portata sulle nostre scene da Luca Barbareschi. Per il cinema ha poi sceneggiato film di successo come ll postino suona sempre due volte e Il Verdetto di Sidney Lumet, per il quale ha ottenuto la nomination all'Oscar. Dopo un'infelice esperienza con Brian De Palma (Gli intoccabili, del cui risultato, a giudicare dalle sue dichiarazioni, non deve essere stato molto soddisfatto), Mamet ha deciso di mettersi in proprio, valorizzando la piccola factory di fedelissimi con la quale aveva dato vita, nel lontano 1971, alla St. Nicholas Theatre Company: sua moglie, l'attrice Lindsay Crouse, già apprezzata sugli schermi in Il verdetto, Daniel, Il principe della città e Le stagioni del cuore, l'attore Joe Mantegna, lo scenografo Michael Merrit e il costumista Nan Cibula.
Attualmente, il regista sta lavorando alla sua opera seconda, Things Change, e ha già pronta nel cassetto la sceneggiatura per la versione cinematografica di Glengarry Glen Ross...
Film di impianto sorvegliatamente classico, La casa dei giochi è memore di tanta letteratura "naturalistica" americana, da Dreiser a Chandler, passando per gli intermezzi "di commedia" alla Ring Lardner o alla Damon Runyon; soprattutto, delle rivisitazioni che ne hanno fatto i generi, canonici o ibridati, di Hollywood. Siamo, in sostanza, dalle parti del mélo noir psicoanalitico, sulla falsariga di una tradizione che va da Dietro la porta chiusa di Lang a Una squillo per l'ispettore Klute di Pakula, da Lo specchio scuro di Siodmak a La vedova nera di Rafelson. Ma, anche, del "grande romanzo" statunitense, la miniera ancora da esaurire del cosiddetto B Movie, del lavoro frenetico e sorprendente dei vari Edgar G. Ulmer e Joseph H. Lewis, nelle necessità del low budget che si fanno virtù di un superiore livello di stilizzazione, nella desuetudine di volti e ambienti (Seattle anziché New York o S. Francisco), nella trattenuta fotografia di Juan Ruiz Anchia, che ad ogni interno sembra quasi scusarsi con lo spettatore per non aver potuto usare il bianco e nero. Lucido intellettuale alla cui progettualità non é estranea la formazione scenica, il regista dissemina il percorso del film di una serie di indizi la cui apparente casualità si inquadra prospetticamente in simmetrie di un rigore talvolta meccanico: lapsus, tic, oggetti magici, serrature capaci di far passare Alice attraverso lo specchio, secrets beyond the door, penombre spesse di brividi e attese, tutto definisce per accumulazione la sovrabbondanza di un milieu di solida tradizione immaginaria.
Da un punto di vista più strettamente narrativo, Mamet non teme di perdere carature facendo i conti col filone picaresco-truffaldino, da La stangata di Roy Hill a Posta grossa a Dodge City di Cook, dei quali sposa la metronomica precisione dei tempi (si veda in particolare la memorabile sequenza della partita a poker, una delle più tese e coinvolgenti dall'epoca di Cincinnati Kid), dosaggio dei colpi di scena, la cura nel tratteggiare i personaggi di contorno (l'indimenticabile Joey del vecchio Mike Nussbaum). Profondamente, sanamente americano anche nella disinvoltura della contaminazione, il regista, lasciandosi senza rimpianti alle spalle un ingombrante passato teatrale, riesce a far coesistere le ragioni di una tematica alta con quelle dello spettacolo. Per un esordiente, non ci sembra un risultato da poco.
Cesare Secchi-Paolo Vecchi, CINEFORUM N. 270 Dicembre 1987

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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