Cancelli del cielo (I) - Heaven's Gate
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Regia: | Cimino Michael |
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Cast e credits: |
Soggetto: Michael Cimino; sceneggiatura: Michael Cimino; fotografia: Vilmos Zsigmond; musiche: David Mansfield; montaggio: Lisa Fruchtman, Gerald Greenberg, William H. Reynolds, Tom Rolf; scenografia: Tambi Larsen; arredamento: Jim Berkey, Josie MacAvin; costumi: Allen Highfill ; effetti: James Camomile, Stan Parks, Ken Pepiot, Sam Price (Samuel E. Price), Kevin Quibell, Paul Stewart; interpreti: Kris Kristofferson (James Averill), Christopher Walken (Nate D. Champion), John Hurt (Billy Irvine), Sam Waterston (Frank Canton), Brad Dourif (George Eggleston), Isabelle Huppert (Ella Watson), Joseph Cotten (Reverendo dottore), Jeff Bridges (John L. Bridges), Ronnie Hawkins (Wolcott), Paul Koslo (Sindaco Charlie Lezak), Geoffrey Lewis (Fred, il cacciatore), Richard Masur (Cully), Roseanne Vela (Bella ragazza), Mary C. Wright (Nell), Waldemar Kalinowski (il fotografo), Terry O'Quinn (Capitano Minardi), John Conley (Morrison), Margaret Benczak (Signora Eggleston), James Knobeloch (Kopestansky), Erika Petersen (Signora Kopestonsky), Tom Noonan (Jake), Aivars Smits (Signor Kovach), Gordana Rashovich (Signora Kovach), Allen Keller (Dudley), Caroline Kava (Stefka), Mady Kaplan (Kathia), Anna Levine (la piccola Dot), Pat Hodges (Jessie), Mickey Rourke (Nick Ray), Willem Dafoe (non accreditato); produzione: Joann Carelli per Partisan Productions; distribuzione: ; origine: Usa, 1980; durata: 156'. |
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Trama: | Università di Harward, 1870. James Averill e Billy Irvine, compagni di studi e grandi amici, si laureano nello stesso giorno. Entrambi di buona famiglia, scelgono però strade ben diverse. Averill vuole combattere per la causa della povera gente, e, lasciati i suoi beni e le ricchezze, diventa sceriffo in una contea scossa da lotte intestine tra allevatori di bestiame e immigrati che reclamano la terra. Irvine, invece, si schiera dalla parte opposta, diventando avvocato della potente associazione degli allevatori. Lo scontro tra i due vecchi amici, ora avversari, esplode quando gli allevatori decidono di far uccidere ben 125 persone. Tra queste c'è anche Ella Watson, una giovane prostituta francese, di cui è innamorato sia Averill che il capo dei sicari, Champion. La scelta è difficile per tutti ed è l'inizio di una guerra senza esclusioni di colpi.
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Critica (1): | Non è la prima volta che, nella storia del cinema (e di Hollywood in particolare), ci si trova di fronte al caso di un film smontato e rimontato in modo tale da essere qualcosa di diverso da ciò che il regista pensava di ottenere. Questa eventualità (con annessa la figura professionale del produttore, che vi è legato in prima persona in qualità di portavoce degli interessi della casa produttrice e delle esigenze di mercato contro gli individualismi più o meno «artistici» del realizzatore) è entrata ormai da anni a far parte del sistema di mitologie gravitanti intorno al fenomeno - cinema, al punto da servire spesso come soggetto cinematografico tout court.
Ma certo il caso di Heaven's Gate è qualcosa di non facilmente inseribile nella casistica normale di queste situazioni. Innanzitutto a causa del budget di questo film, uno dei più alti in assoluto nella storia di Hollywood (36 milioni di dollari, solo di spese di lavorazione, senza contare quelle occorse per il lancio pubblicitario e quelle relative ai successivi interventi di modificazione del prodotto originale), e poi perchè l'imposizione del rirnontaggio è arrivata solo dopo che il film era già uscito, senza che prima di allora la casa produttrice (United Artists) avesse mai pensato di tenere più controllato il lavoro che Cimino stava svolgendo, o comunque di porre censure alle richieste di denaro e di completa libertà creativa che il regista avanzava.(...)
È difficile giudicare dall'esterno se quella di Cimino sia stata davvero megalomania arrogante unita ad incapacità o piuttosto rispetto eccessivo (e irrealistico, certo, se misurato con le esigenze di un mercato che si evolveva e si modificava proprio nel corso della lavorazione) per un progetto personale capace di coinvolgere l'autore fino ad isolarlo da una valutazione il più possibile oggettiva della sua portata. Tutto il peso di questa «grandezza» (reale o presunta tale) è crollato sulle spalle dell'Autore al momento della presentazione della sua Opera: alla stroncatura feroce e definitiva fino all'irrisione da parte della critica è seguita la reazione della casa produttrice e il completo disinteresse da parte del pubblico.
Che cosa abbia portato la critica americana a silurare in modo addirittura impietoso il film non è facile dire, dal momento che la copia rimaneggiata in conseguenza è verosimilmente uno stravolgimento del risultato originario; ma, per chi scrive (ed è un parere personale), non è del tutto immotivato cercare ragioni politiche a questo rifiuto: difficile accettare, nell'atmosfera dell'anno primo dell'Era Reaganiana, densa di un ritorno (tanto forte quanto essenzialmente ideologico) ai valori ottimistici dell'antica frontiera, che un regista si permetta il lusso di spendere tanto denaro (e che una major gli conceda a man salva questo lusso) in un film intenzionato ad incrinare la compattezza dell'epopea con la ricostruzione di un episodio ben lontano dal ratificare la radicatezza nella storia degli States di uno Spirito Americano unitario e interclassista.
Detto questo, occorre prendere atto che I'«autore» Cimino, di fronte al rigetto violento in cui è incappato, ha rivelato la propria mancanza di capacità riorganizzativa del materia. le filmato, che gli ha impedito di rispondere, almeno in parte, alla richiesta della produzione di ripristinare un prodotto che, per compattezza e scorrevolezza narrativa se non per consonanza di vedute, potesse richiamare almeno in parte il pubblico perso, attutendo così la portata del fiasco. Di fronte a questo compito imprevisto, è sembrato di vedere in Cimino una certa rigidità mentale, una mancanza di duttilità che gli ha indubbiamente impedito di padroneggiare la rielaborazione del proprio progetto, e ha dato origine solamente a un film evidentemente ridotto e sconnesso, a un compromesso basso che cerca di mediare – in modo tutto sommato maldestro – l'esigenza (a questo punto primaria per la casa produttrice) di un prodotto se non altro velocemente consumabile, con la propria coerenza autoriale nei confronti dei temi costitutivi del film che a suo tempo si era prefissato di «comporre». (...)
Il disegno evidente del film è quello di intrecciare l'esistenza di un uomo e dei suoi amici alla storia recente degli States, e in particolare alle vicende anche politiche di una minoranza etnica che, lungi dall'essere bene accolta dal «Grande Paese», ne è invece minacciata nella sua stessa sopravvivenza. È l'accumularsi delle disillusioni identificato con lo scorrere stesso della vita e della Storia a costituire la sostanza dei racconto. Nella versione proiettata a Cannes questa scelta era portata alla sua conclusione più radicale: la vicenda non si fermava sulle immagini del matrimonio di consolazione tra James e Ella; la ragazza veniva invece uccisa sulla porta di casa, in procinto di recarsi alla cerimonia col futuro sposo, da due uomini dell'Associazione degli allevatori in cerca di vendetta. L'ultima inquadratura era tutta per James Averill, solo a bordo di un veliero al largo di Newport, ulteriormente invecchiato: unico superstite fra tutti coloro che insieme a lui avevano nutrito speranze e ideali per vederseli sfuggire tra le mani, insieme alla vita stessa, sempre quando ormai sembravano già sul punto di realizzarsi.
La decisione attuale di «staccare» sul preludio del matrimonio non rende ragione all'assunto rintracciabile nel resto del film, che poteva essere sì tacciato di facile romanticismo raggiunto a spese di una vicenda passibile di una messa in scena ben più incisiva e rigorosa, ma che almeno rispondeva a una coerenza compositiva che in questo modo viene inopinatamente abbandonata, venendo a patti con un happy end poco credibile ed evidentemente posticcio. Il destino individuale di Averill interseca significativamente quello della collettività che lo attornia nel corso di quattro momenti corali distribuiti a scandire il racconto. Il primo, celebrazione della più alta determinazione alla felicità unita alla più alta inesperienza della vita, è costituito dalla festa di laurea: l'armonia delle danze nel campus, gli scherzi, i sorrisi, i corteggiamenti testimoniano di un accordo tra propositi individuali e disponibilità della propria classe ancora ben lontano dall'essere infranto.
Al contrario, il progetto idealistico di lavorare là dove si sta costruendo il futuro del paese è il risultato diretto degli insegnamenti ricevuti all'interno della struttura scolastica delegata per eccellenza a formare la classe dirigente. Anche il secondo coro è formato da una festa a cui Averill partecipa insieme a persone a cui si sente vicino, ma la novità è che queste appartengono ora a una classe sociale ben diversa dalla sua, che anzi vede in esse degli intrusi e guastafeste da eliminare con ogni mezzo. La felicità di Averill in questa occasione non è più «cosmica» come lo era alla festa di laurea, ma soltanto il riflesso della felicità di Ella per il regalo avuto, e del suo amore per lei. Nello stesso luogo in cui si è svolta questa seconda festa Averill torna per comunicare all'assemblea degli immigrati l'approssimarsi dei mercenari e i nomi dei «condannati»: l'euforia della danza e della musica è dimenticata, le facce ora sono tese e spaventate di fronte alla prospettiva della morte, e l'imminenza del pericolo spacca in due la stessa comunità di Sweet Water ancora secondo una logica di classe. Infine, la battaglia; solo in un secondo tempo Averill decide di raggiungere gli altri sul terreno dello scontro, ma una volta presa la decisione è lui stesso a prendere il comando delle operazioni. Il suo destino di sradicato sta per compiersi: nemico irriducibile di quella che era in tempi ormai remoti la sua classe d'appartenenza, gli è stato rimproverato troppe volte di essere un ricco che cerca di mischiarsi ai poveri perché possa ora identificarsi realmente con essi. La decisione di scendere in battaglia è più un risultato di legami d'amicizia e d'amore che non una effettiva scelta politica, anche se la sua reazione finale di fronte all'intervento opportunistico dell'esercito risente ancora in qualche modo di un'indignazione «civile» radicata agli antichi ideali di uguaglianza e di solidarietà acquisiti in gioventù.
A questa disillusione storica si accompagna la devastazione progressiva delle relazioni private d'amicizia e sentimentali, travolte ugualmente da una violenza imposta da contraddizioni economiche e politiche a cui non è possibile opporsi e che finiscono invece per avere l'ultima parola. Per questo motivo non resta alla fine che votarsi a una solitudine affollata di ricordi: e per questo motivo, dicevamo, era a suo modo più coerente il finale della versione vista a Cannes, benché fosse anch'esso frammentario e affrettato nella sua convenzionalità iconografica.
Ma, al di là di queste notazioni generali, certo mette a disagio abbozzare interpretazioni a proposito di un film che, ripetiamo, risente troppo profondamente della propria decomposizione e dello spiazzamento del suo autore in conseguenza di un rifiuto che ha finito col trasformare il suo progetto iniziale in una sorta di balbettio in cui si alternano momenti felici ad altri piatti e sacrificati, e su cui è certamente più facile avanzare notazioni impressionistiche o ipotesi sulle intenzioni, che non un discorso compiuto e verificabile. Non resta che rimandare tutto a quando qualcuno penserà di organizzare per Heaven's Gate una nuova operazione del tipo Gance/Napoleon…
Adriano Piccardi, Cineforum n. 207, 9/1981 |
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