Simon Magus - Simon Magus
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Regia: | Hopkins Ben |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Ben Hopkins; fotografia: Nick Knowland; montaggio: Alan Levy; musiche: Deborah Mollison; interpreti: Noah Taylor (Simon), Stuart Townsend (Dovid), Sean McGinley (Maximillian Hase), Embeth Davidtz (Leah), Amanda Ryan (Sarah), Rutger HauerIl (Conte Albrecht), Ian Holm (Sirius/Boris), Terence Rigby (Bratislav), Cyril Shaps (Chaim), Toby Jones (Buchholz), Jim Dunk (Saul), Ursula Jones (Rebecca), David de Keyser (il rabbino); produzione: Robert Jones; distribuzione: Lucky Red; origine: Gran Bretagna, 1999; durata: 105’. |
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Trama: | Nella Slesia di fine Ottocento, Simon Magus, figlio di un ebreo e di una gentile, vive ai margini di un villaggio i cui residenti si sono drasticamente ridotti da quando è arrivata, poco lontano, la ferrovia a vapore. Simon, che vive un'esistenza bestiale in una baracca su una collina, non riesce a regolare le sue due nature etniche e religiose. Vorrebbe essere un buon ebreo e invece rischia di coinvolgere la sua comunità in un losco affare commerciale che potrebbe decretarne la fine. |
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Critica (1): | Un film che avrebbe potuto fare Werner Herzog: atmosfere di un misticismo esasperato, quasi fiabesco, di un figurativismo straordinariamente affascinante. È il film che il pittore romantico Kaspar Friedrich avrebbe fatto, avesse avuto il cinema a disposizione. E, chissà, è un film che potrebbe piacere ad Alessandro Baricco, che in Castelli di rabbia aveva raccontato, con un altro punto di vista, le stesse storie. Siamo nella Slesia del tardo Ottocento. Simon Magus è un personaggio che costeggia lo status di scemo del villaggio, e quello di santo. È un semplice, è uno che non farebbe male agli altri uomini. In un mondo dove la borghesia imprenditoriale sta aggredendo, con forza inaudita, ogni angolo del vivere. È la ferrovia la grande divinità che sta per sottomettere tutto e tutti, al suo passaggio. È il grande business di fine secolo, è quello che sarebbe Internet adesso. Ovvio che ci sia un ricco borghese, Hase, che vuole costruire una stazione proprio lì. Meno ovvio che ci sia anche un giovane ebreo, bello ma povero, che abbia avuto la stessa idea. Fare una stazione ferroviaria, e magari un mercato, e dunque fare arrivare nuova gente, nuovo denaro che circola, nuova vita.
Tutta la comunità ebraica della Slesia che è sfinita, disfatta, disperata per la crisi economica, per il pane che non c’è, potrebbe risollevarsi. Ma l’ultima parola dovrà dirla il signore del villaggio, uno scrittore, un poeta. Uno che ha la faccia beffarda e remota di Rutger Hauer, il replicante di Blade Runner, qui diventato il giudica inappellabile dei destini di una comunità. Le radici dell’Olocausto stanno già qui, quasi come cento anni prima, nella ostilità dei borghesi prussiani verso quegli ebrei non ricchi, non forti, non socialmente né economicamente preoccupanti. Ma tutto questo è come sullo sfondo di una storia che è visivamente bella, e misteriosa, come l’illustrazione di un libro di favole dell’Ottocento.
In mezzo a tutto questo, Simon Magus, un nome rubato alla Bibbia, una figura comune nei primi racconti popolari cristiani: e una grande prova d’attore di Noah Taylor, che lo disegna angelico e diabolico, capace di credere – e far credere a noi – all’esistenza di un diavolo contadino, millenario, che dà la dannazione sulla terra. Dopo l’interpretazione del giovane pianista di Shine, il miglior ruolo per questo attore australiano. Ne sentiremo parlare ancora. Così come del regista, Ben Hopkins, ventinove anni, il Werner Herzog del terzo millennio.
Giovanni Bogani, Vivilcinema n. 75, gennaio-febbraio 2000 |
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Critica (2): | Proprio come annunciato nei titoli originali del film “Simon Magus” è davvero una storia magica da un mondo scomparso. Raccontata con toni da racconto popolare, pause da spaghetti western, colori poveri e industriali, la storia è in realtà quella eterna dell’emarginazione, della pazzia, del conflitto religioso, e dell’amore che tutto sommato trionfa anche se in maniera umile e discreta. Simon Magus è un giovane squilibrato, ai margini di una anonima comunità ebraica della Slesia impoverita da una Rivoluzione Industriale allora agli inizi. Proprio la sua diversità lo porta ad essere vittima di forze del male, che si manifestano sia con le apparizioni del diavolo in persona (Ian Holm in tre “versioni”, una più malefica dell’altra), sia con il complotto antisemitico dell’affarista locale Hase, che rende Simon la sua spia in cambio di cibo e della promessa di accettazione fra i Gentili. La storia si evolve in modo quasi surreale: intorno a Simon e al suo conflitto interiore e col mondo ruotano gli altri protagonisti semplici e puri del racconto grazie ai quali il bene trionferà, anche se in modo tutto sommato selettivo. Simon Magus riscatta la propria miseria e allo stesso tempo si condanna tragicamente, lasciandosi alle spalle un microcosmo il cui futuro di infelicità è forse solo rinviato. Sembra una storia deprimente, ma il giovane Ben Hopkins, al suo esordio come regista full-length, la pervade di sufficiente ingenuità e innocenza da farne invece un’anti-fiaba della buona notte.
Luisa Buoni, 35mm.it |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| Ben Hopkins |
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