Anna Oz - Anna Oz
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Regia: | Rochant Eric |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Gérard Brach, Eric Rochant; fotografia: Pierre Lhomme; montaggio: Pascale Fenouillet; musica: Steve Turre; scenografia: Thierry François; costumi: Claire Fraisse; interpreti: Charlotte Gainsbourg (Anna), Gèrard Lanvin (Marcello), Sami Bouajila (Mare), Gregori Derangerc (Thomas), Emmanuelle Devos, Jim-Adhi Limas, Jean-Michel Fete; produzione: Alain Rocca per Lazennec Prods./Studio Canal Plus/France 2 Cinema/Angel Film/Alhena Film; origine: Francia/Italia/Svizzera, 1996; durata: 99'. |
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Trama: | Bella ragazza intreccia ambiguo rapporto con un misterioso Marcello, ladro di quadri, in un museo di Venezia. Poi si sveglia nel suo letto a Parigi. È stato un sogno? Poco dopo viene convocata come testimone di un delitto di cui non ricorda nulla. |
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Critica (1): | [...] In effetti, Anna Oz, è un film di una complessità diabolica.
Non è un grande film, intendiamoci. La storia è vecchia. Andando a casaccio, viene in mente Pasolini quando si chiede «perché realizzare i sogni, quando è così bello limitarsi a sognarli». Viene in mente soprattutto il Queneau dei Fiori blu, quando non si sa bene se il protagonista è un principe sadiano che sogna di essere un tranquillo pescatore o un pescatore che sogna di essere un principe sadiano. Tutto rimanda all'apologo cinese del principe che sogna di essere una farfalla, o era la farfalla che sognava di essere un principe? Al cinema, poi, le cose sono ancor più complicate, Total Recall insegna. Da un certo punto di vista, Anna Oz è la risposta europea a Nightmare, come avrebbe potuto concepirla Kieslowski.
Rochant è uno che pensa che un regista debba essere un uomo di cultura, perlomeno un uomo colto, e ce lo fa sapere. Musei, palazzi strepitosi, poesie di Baudelaire. Questo è niente: Anna sta dormendo. Il suo ragazzo rientra in casa, è la prima volta che lo vediamo, e prima di infilarsi nel letto si toglie una scarpa, la annusa e la infila nel lavandino. Perché? Le risposte che possiamo dare non ci piacciono. L'azione è superflua e irritante, ma bisogna riconoscere che, alla fine del film, l'insieme di tutti questi gesti gratuiti, gesti di una finta quotidianità, contribuisce in maniera determinante a quel clima di inquietante quotidianità sospesa che rende il film teso fino alla fine. Un film peraltro capace di variare i toni, di scivolare nella farsa, per recuperare subito la detestabile dimensione del thriller psicologico. Per fortuna quello del thriller è un pretesto, Rochant lo sa benissimo e lo fa sapere immediatamente anche a noi, un pretesto secondario; lo strato della realtà che interessa di meno lui, noi e la sua eroina, lo strato ottuso, orrendo e spesso grottesco del reale.
Abbiamo parlato di indecidibilità fra la dimensione reale e quella onirica, e non è del tutto esatto. C'è anche questo, ma il dato più interessante è quello alla Nightmare cui si accennava. È chiarissimo da quasi subito quale delle due eroine è reale e quale non lo è. Anna in Francia è vera, Anna in Italia è di sogno. Lo sappiamo noi e lo sanno loro. Peraltro entrambe si trovano benissimo nella loro dimensione e non hanno nessuna voglia di sconfinare in quella dell'altra. Sicuramente la Gainsbourg veneziana non ha nessuna voglia di farsi riassorbire dall'altra, la quale, a sua volta, non manifesta alcun desiderio cosciente di fare altrettanto. La lotta avviene allora fra questa inconscia proiezione del desiderio e il principio di realtà. Una lotta concreta, spaventosa. Il problema è un problema di spazio. Entrambe vogliono vivere la propria realtà e il proprio sogno senza intrusi, viverlo pienamente, senza un nemico nell'ombra. Quello che Rochant riesce a raccontare, in modo a tratti geniale, magari scorretto dal punto di vista psicanalitico, ma certo suggestivo da quello cinematografico, è la scena terribile di questa battaglia. Le cose e le persone della vita di Anna vengono trasportate una dopo l'altra, con un meccanismo metodico di trasloco psichico, nella vita della "finta" Anna, dove vengono sistemate, non senza difficoltà, per via di successivi spostamenti e modificazioni. II sogno corrode la realtà, la svuota, oppure la realtà (o meglio il principio di realtà) trasferisce tutte le cose necessarie nel sogno, per andarci ad abitare non appena si verificano le condizioni necessarie, non appena il padrone di casa porta le chiavi e vengono allacciati la luce e il gas. Rochant riesce a coniugare oppressione e leggerezza, a fare un film denso, dal quale traspaiono anche cose che avremmo preferito non vedere. Anna Oz sarebbe stato certamente un film migliore senza tutte quelle metafore della visione, senza tutti quegli occhi tagliati, senza volerci far riflettere sul fatto che un mondo in cui c'è gente che vende gli occhi dei bambini non è un mondo in cui vale la pena vivere. Tutto vero, tutto troppo ricercato, mediato, elaborato, forse anche scontato. Però Rochant riesce in un'operazione rarissima: riesce a mettere in scena un sogno che somiglia ad un sogno, perché è pervasivo, incoerente, perfettamente reale, perfettamente funzionante. Quello che il cinema difficilmente riesce a rendere (vecchia storia: un sogno nel sogno...) è che i sogni non aiutano a vivere meglio o peggio (e nel film di Rochant, purtroppo, c'è anche questo): uno non sogna da morto, come non va al cinema (se non nei film di Landis). Poiché non si può percepire che con la percezione, spesso e volentieri i sogni sono reali, sono della stessa materia della vita. E che vita.
Giacomo Manzoli, Cineforum n. 365, giugno 1997 |
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