Destino (Il) - Al-Massir
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Regia: | Chahine Youssef |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Youssef Chahine; fotografia: Mohsen Nasr; montaggio: Rachida Abdel Salam; musica: Kamal El Tawil, Yohia El Mougy; interpreti: Nour El Cherif (Averroè), Laila Eloui (zingara), Mahmoud Hemeida (Califfo), Safia El Emary (moglie di Averroè), Mohamed Mounir (Bardo); produzione: Humbert Balsam, Gabriel Khouri; distribuzione: Mikado; origine: Egitto, 1997; durata: 135’. |
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Trama: | Nella Spagna del XIII secolo, il grande filosofo arabo Averroè stabilisce attraverso la sua opera una serie di precetti che influenzeranno non solo l’Illuminismo in Occidente, ma tutto il pensiero umano fino ai nostri giorni. Per accattivarsi il favore degli integralisti, il califfo El Mansour ordina il rogo delle opere del filosofo. Ma i suoi adepti decidono di farne delle copie e di farle passare segretamente attraverso le frontiere. Malgrado le pressioni degli integralisti di ieri e di oggi, la conoscenza umana prosegue il suo cammino. |
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Critica (1): | Lezione di storia del “giovane” Chahine, alla ricerca degli insegnamenti di Averroè, filosofo giurista democratico che inventò e (ri)scrisse l’affermazione della responsabilità personale da contrapporre al potere. Cinema tollerante e didattico che racchiude numerosi tesori e coniuga, con studiata semplicità, western e commedia, musical asprezze da film politico. Sabbia d’Africa che resta tra i capelli con un linguaggio che ha assimilato con intelligenza ma senza esserne colonizzato ritmi e montaggio occidentale, senza restare chiuso in se stesso, ma con la necessità di leggere e comprendere tutto ciò che è all’indice per affermare autonomia e libertà. Averroè come Rushdie e migliaia di vittime invisibili dell’integralismo, raccontato in modo eretico e sofisticato per frantumare ogni possibile barriera di opposizione. Chahine, con in testa l’arte romanzesca di Alessandro Dumas e gli insegnamenti di Duvivier, vicino a Zemmouri di 100% Arabica passato a Venezia, pronto a confrontarsi senza ricorrere a roghi propagandistici e mai liberatori; stile che riassume gli eccessi barocchi e disillusi di Sergio Leone e la “pulizia dei sentimenti” di Rossellini. La Storia raccontata in chiave apparentemente minimalista, senza eroismi artefatti ed ingigantiti dai “cantastorie”; personaggi femminili secondo la tradizione Chahine, emancipati e seducenti, padroni e mai prigionieri della volontà maschile opprimente e crudele. Al Massir è una metafora universale e affascinante sull’autonomia del pensiero che sorvola sulle ali della speranza gli orrori e le stragi dell’integralismo esasperato. Averroè “desacralizzato”, fotografato in una quotidianità senza tempo, aperto ai rumori di strada, alle danze sfrenate, lontano da ogni spocchioso pragmatismo da pensatore. Al Massir unisce idealmente Francia ed Egitto, spostando l’azione in un’Andalusia dai colori caricati e accompagna lo spettatore in cenacoli che non trovano incompatibile la convivenza tra arte e Corano. Narrazione popolare ma raffinatissima che abbatte a bassa voce e con un sorriso le crudeli leggi della comunità e prova sottilmente a intrecciare i fili sottili che avvicinano ebraismo, cristianesimo e Islam.
Domenico Barone, Vivi il cinema, n. 64 febbraio 1998 |
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Critica (2): | "Sentii che Averroè, che voleva immaginare quel che è un dramma senza sapere che cos’è un teatro, non era più assurdo di me, che volevo immaginare Averroè senz’altro materiale che qualche notizia tratta da Renan, Lane e Asin Palacios. Sentii, giunto all’ultima pagina, che la mia narrazione era un simbolo dell’uomo che io ero mentre la scrivevo, e che, per scriverla, avevo dovuto essere quell’uomo, e che, per essere quell’uomo, avevo dovuto scrivere quella storia, e così all’infinito": la citazione borgesiana, desunta da uno dei più bei racconti dell’ "Aleph", ben introduce l’argomento de Il destino, ma rischia d’esser fuorviante rispetto alle modalità d’approccio qui prescelte. Infatti, non v’è traccia nel film di Youssef Chahine del gusto per la circolarità ed il labirinto proprie dello scrittore argentino: i moduli prescelti sono invece quelli dei più frequentati generi cinematografici - il kolossal storico ed il mélo, il western ed il musical - nel lodevole e giusto tentativo di rendere il proprio messaggio intelligibile ad un pubblico il più possibile vasto.
Con risultati mirabili: lungi dall’impantanarsi in colte e verbose discettazioni, la narrazione procede fluida e spedita, vivificata dalle prestazioni di attori straordinari e da contributi tecnici davvero eccelsi.
Presentato come propugnatore per eccellenza della tolleranza in opposizione a tutte le forme di integralismo, Averroè appare pure l’incarnazione della superiorità della cultura arabo-ispanica sulla rozzezza impastata di ferocia d’un Europa preda delle tenebre dell’anima: merito del grande regista egiziano è farcelo sentire nostro contemporaneo, coinvolgerci quasi fisicamente in un’opera che celebra la grandezza primigenia del cinema come arte e spettacolo al tempo medesimo.
Francesco Troiano, Tempi moderni |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| Youssef Chahine |
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