Figlio di Saul (Il) - Saul fia
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Regia: | Nemes László |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: László Nemes, Clara Royer; fotografia: Mátyás Erdély; musiche: László Melis, montaggio: Matthieu Taponier; scenografia: László Rajk; costumi: Edit Szücs; effetti: Barnabás Princz; suono: Tamas Zanyi; interpreti: Géza Röhrig (Saul Ausländer), Levente Molnár (Ábrahám), Urs Rechn (Oberkapo Biederman), Todd Charmont (uomo con la barba), Marcin Czarnik (Feigenbaum), Sándor Zsótér (dottore), Jerzy Walczak (Rabbino del Sonderkommando), Uwe Lauer (SS Voss), Christian Harting (SS Busch), Kamil Dobrowolski (Mietek), Amitai Kedar (Hirsch), István Pion (Katz), Levente Orbán (Vassili), Juli Jakab (Ella); produzione: Laokoon Filmgroup; distribuzione: Teodora Film (2016); origine: Ungheria-Francia, 2015; durata: 107'. |
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Trama: | 1944. Nel campo di concentramento di Auschwitz, Saul Ausländer, prigioniero, č costretto a bruciare i corpi della propria gente nell'unitŕ speciale Sonderkommando. Sente inevitabilmente il peso delle azioni che deve compiere, ma trova un modo per sopravvivere. Un giorno salva dalle fiamme il corpo di un giovane ragazzo che crede essere suo figlio e decide di cercare in tutto il campo un rabbino, che possa aiutarlo nel dargli una degna sepoltura. |
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Critica (1): | Cosa si vede, si sente o si prova quando si vive nell'occhio del ciclone, quando si sta al centro della scena, sempre in movimento eppure immobili? Niente, non si prova niente. Il volto impassibile, il corpo rigido come l'ago puntato di un compasso, mentre tutto attorno il mondo ruota e travolge tutto. La rappresentazione del campo di sterminio in Saul Fia, opera prima del x trentottenne Lŕszlň Nemes, giŕ collaboratore di Béla Tarr, č efficace e sconvolgente perché segue un doppio movimento che non offre punti di tregua allo sguardo: il movimento del centro, cioč del suo protagonista, Saul Auslŕnder, membro di una di quelle squadre di prigionieri ebrei che aiutavano i nazisti nella gestione pratica dei campi (i famigerati Sonderkommando), sempre in campo, in primo piano e al centro di lunghi ed elaborati piani sequenza; e il movimento incessante di ciň che accade attorno a lui, l'orrore dello sterminio tenuto in profonditŕ di campo, fuori fuoco, fuori campo, non visto ma sentito, e rappresentato come un mondo a sé, un'alteritŕ cosě scandalosa da essere concepibile solo con il filtro di una presenza umana insistita, ribadita, un appiglio visivo e di senso.Nell'inferno di un lager raccontato come una fabbrica a pieno regime, come una fornace o la cambusa di una nave rumorosa e fagocitante; nella babele di lingue, provenienze, incomprensioni e disperazioni dei suoi condannati; nell'inferno di compiti, ordini, esecuzioni, omicidi, pulizie, rivolte, fughe e rumori, Saul Auslŕnder č l'ultimo uomo sulla Terra. La tenace ricerca di un rabbino che dia sepoltura al cadavere di un ragazzo nel quale l'uomo crede di riconoscere il figlio, č il segnale di una resistenza umana a una spaventosa filiera della morte (dallo svestizione dei prigionieri alla camera gas, dallo sgombero dei cadaveri allo smaltimento della cenere) che non puň essere accettata dalla ragione. Oltre a quella di Saul, Nemes racconta altre forme di resistenza: quella «documentaria» di chi fotografa e racconta lo sterminio per tramandarne la memoria e quella armata di chi si solleva contro gli aguzzini. Il suo personaggio, perň, non partecipa a nessuna di queste azioni: insegue la ritualitŕ religiosa in una chiara ricerca identitaria ed esistenziale, ma soprattutto si abbandona a una consapevolezza della morte da cui sa di non poter sfuggire.E proprio nella tragica contraddizione del suo comportamento, nella resistenza di un morto alla morte stessa, nell'immobilitŕ del suo frenetico vagare, con il 35mm e il formato 1.33:1 che imprigionano lo sguardo nei bordi dell'inquadratura, Saul Fia rivela tutta la potenza della sua riflessione sulla violenza come azione cosě naturale per l'uomo da essere intollerabile. Nemes costringe lo spettatore a guardare ciň che non puň essere rappresentato, mette in scena la morte e al tempo stesso la sfoca, gira letteralmente due film, quello su Saul in primo piano e quello sul campo di sterminio sullo sfondo, e cosě facendo chiude forse una volta per tutte i conti fra il cinema e l'Olocausto.
Roberto Manassero, Cineforum n. 546, 7/2015 |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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