Prenditi un sogno - Purely Belter
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Regia: | Herman Mark |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Mark Herman; fotografia: Andy Collins; musiche: Ian Broudie Michael Gibbs; montaggio: Michael Ellis; interpreti: Gerry McCarten Chris Beattie, Sewell Greg McLane, Mrs. McCarten Charlie Hardwick, Gemma Jody Baldwin; produzione: Channel 4 Films - Mumbo Jumbo Productions; distribuzione: Academy; origine: Gran Bretagna, 2000; durata: 97'. |
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Trama: | Che sfiga essere teen-agers a Newcastle, nel vuoto squallore dell’Inghilterra del Nord, tra disoccupazione e assistenti sociali. Prendete Gerry e Sewell. Hanno due sole cose al mondo, la loro amicizia e il tifo per la squadra di casa. Uno vive con il nonno, l’altro con mamma e una sorella già madre a sua volta. Il padre se n’è andato ed è meglio così, perché è un ubriacone violento e quando appare fa danni. La dice lunga la scena in cui il ragazzo racconta ai compagni di scuola della volta che lui l’ha portato alla partita da bambino e poi si scopre che... Niente soldi, niente lavoro, nessuna voglia di andare a scuola: ma Gerry e Sewell hanno un sogno, quello di rimediare le 1.000 sterline con cui potrebbero comprarsi l’abbonamento allo stadio e uno straccio di dignità. All’ombra dell’angelo dell’autostrada inventeranno qualsiasi cosa per farcela. |
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Critica (1): | Ci sono ragazzini dei sobborghi della provincia inglese che sognano di diventare stelle della danza classica ed altri che aspirano, più modestamente, ad entrare in possesso di un abbonamento per seguire la squadra di calcio del cuore. Sorta di controcanto brillante a Billy Elliott, l’ultimo film di Mark Herman (Grazie Signora Thatcher), Prenditi un sogno è tratto da un racconto ("The Season Ticket") di Jonathan Tulloch, che a sua volta si è ispirato alla sua esperienza di docente a Gateshead, alle prese con ragazzini profondamente segnati da contesti di degrado sociale e familiare. Più che di quelle di uno spaccato sociologico alla Ken Loach, però, Prenditi un sogno ha le cadenze di una commedia vera e propria, seppure non chiude gli occhi di fronte agli annosi problemi del sottoproletariato inglese. In larga parte, il film segue le peripezie dei due giovani protagonisti che si ingegnano, con ogni mezzo, a racimolare la somma necessaria a coronare il loro sogno. Quella per il calcio di Gerry e Sewell non è né una ossessione totalizzante come quella del protagonista di Febbre a 90° né il pretesto per sfogare violentemente le proprie frustrazioni come accade per gli hooligans. È dichiaratamente una scusa per divertirsi insieme e sentirsi vivi, così che non esitano neppure a fare uno sgarbo al loro idolo calcistico, quando quest’ultimo ignora le loro richieste. Ciò non toglie che in nome della passione per il calcio, una volta abbandonati i sistemi più o meno legali che si sono rivelati inefficaci al loro scopo, i due arriveranno fino a compiere una rapina in banca, in una esilarante sequenza che sembra uscita dalla penna di Woody Allen. Tra una disavventura e l’altra della coppia (che sembra la versione adolescenziale di quella di The Van ed è interpretata da due giovani attori esordienti che rivaleggiano in bravura e simpatia), il regista tratteggia un drammatico contesto familiare (un padre alcolizzato e violento, una madre gravemente malata, una sorella tossicodipendente) con una incisività che non sfocia mai nel patetismo. Alla fine sarà giustizia per i buoni (come accade spesso nei film di Loach) ma il mondo resterà tale e quale. Ennesima testimonianza del felice momento che attraversa il cinema inglese (è una produzione della gloriosa Film Four), Prenditi un sogno è stato presentato allo scorso Festival di Cannes, nella "Quinzaine des réalisateurs".
Alberto M. Castagna, Kwcinema |
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Critica (2): | Qualche anno fa ci avrebbe fatto gridare al miracolo, adesso sta diventando di maniera. Prenditi un sogno – titolo originale Purely Belter, espressione slang che sta più o meno per "fichissimo" – rientra millimetricamente nella linea della commedia proletaria britannica, sottofilone "calcistico", tendenza dickensiana in cui l’umorismo riesce a rimediare alla tragedia. Mark Herman, poi, è una vecchia conoscenza dopo un successo come Grazie, signora Thatcher. Anche lì, come nel clamoroso Full Monty, c’era dietro un sogno. Come in mezzo cinema britannico (l’altra metà i sogni non li costruisce, li smantella). Qui l’idea è rimediare le 1.000 sterline per un abbonamento allo stadio, un season ticket appunto (ed è questo il titolo del romanzo di Jonathan Tulloch da cui è tratto il film). Antidoto a una vita di squallore, disperazione e abusi. Famiglie sfasciate, colla da sniffare, padri assenti o feroci: uno dei due protagonisti (entrambi molto bravi e convincenti) viene addirittura derubato da papà, che riappare solo per rovinare la vita a moglie e figli. Il prof del liceo – l’istituzione – non è migliore: chiuso dietro un autoritarismo addirittura ottuso. Il cinema di Ken Loach o Mike Leigh ce l’ha raccontata splendidamente, questa Inghilterra thatcheriana o post. E adesso quella denuncia è diventata materiale per un cinema medio. Che non sconvolge ma dà comunque da pensare. Ben venga quindi.
Cristiana Paternò, Cinema zip, 13/4/2001 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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