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Da Mayerling a Sarajevo - De Mayerling à Sarajevo


Regia:Ophüls Max

Cast e credits:
Soggetto: Carl Zuckmayer, Marcelle Maurette; sceneggiatura: Carl Zuckmayer, Marcelle Maurette, Curt Alexander, André-Paul Antoine, Jacques Natanson; fotografia: Eugen Schüfftan, Curt Courant, Otto Heller; musiche: Oscar Straus; montaggio: Jean Oser, Myriam; scenografia: Jean d'Eaubonne; costumi: Boris Bilinsky; interpreti: Edwige Feuillère (Contessa Sofia Chotek), John Lodge (Arciduca Francesco Ferdinando), Gabrielle Dorziat (Arciduchessa Maria Teresa), Jean Worms (Imperatore Francesco Giuseppe), Marcel André (Arciduca Federico), Aimé Clariond (Principe di Montenuovo), Jean Debucourt (Ministro Affari Esteri), Raymond Aimos (Janatschek), Henri Bosc (Ambasciatore Serbia), Gaston Dubosc (Conte Chotek), Eddy Debray (General Potirek), Colette Régis (Arciduchessa Isabella), William Aguet (Gran Ciambellano), Jean Buquet (Principe Max), Martial Rèbe (Oppenheim), Henry Bonvallet (Sindaco di Sarajevo), Jacques Mattler (Maestro di Cerimonie), Philippe Richard (Capo del Protocollo), Nicolas Amato (congiurato); produzione: B.U.P. Française-British Unity Pictures; distribuzione: Lab 80 Film; origine: Francia, 1940; durata: 89'.

Trama:Per la prima volta fu raccontata al cinema la storia che sconvolse il mondo intero perchè altri cineasti si erano occupati del suicidio di Rodolfo d'Asburgo a Mayerling ma nessuno aveva mai rappresentato Francesco Ferdinando il cui assassinio a Serajevo segnò l'inizio della Prima Guerra Mondiale. Il film racconta soprattutto il conflitto tra l'amore dell'Arciduca per la Contessa ceca Sofia Chotek e l'obbligo imposto dalla ragione di Stato di sposarla con matrimonio morganatico che precludeva la successione al trono ai figli e termina con l'uccisione della coppia a Serajevo.

Critica (1):In un’accurata ricostruzione del clima storico e dei giochi di potere, Ophüls racconta la commovente vicenda personale delle vittime dell’attentato del 28 giugno 1914. L’interpretazione di Edwige Feuillère nel ruolo della contessa è raffinata e sensibile. Il regista, ebreo tedesco fuggito in Francia, rievoca con intenti antimilitaristi l’inizio della prima guerra mondiale, proprio allo scoppiare della seconda. (...)
Da Mayerling a Sarajevo: due eventi storici uniti da un destino comune, tragico e insieme romantico. Da una parte la relazione osteggiata tra l’arciduca Rodolfo d’Asburgo-Lorena e la sua amante, la baronessina Vetsera, che li condusse nel 1889 al suicidio; dall’altra l’assassinio dell’arciduca Ferdinando e di sua moglie Sofia avvenuto nel 1914, fatto che come è noto fu la causa scatenante la prima guerra mondiale. Ophüls però non ne fa un raccordo di carattere puramente storico e oggettivo – Rodolfo era cugino di Francesco Ferdinando, che in seguito alla sua morte divenne erede al trono austro-ungarico; egli appare più interessato a rimarcarne la natura sentimentale e come essa sia andata inevitabilmente a scontrarsi con questioni politiche. La scelta di un episodio così specifico e indietro nel tempo non è priva di un contatto urgente con il presente: il regista, tedesco ma di origini ebraiche, nel ’33 è infatti costretto a emigrare in Francia per via della morsa soffocante della dittatura nazista; qui nel ’39 inizia le riprese del film, che vengono interrotte per lo scoppio della guerra e completate un anno più tardi (il film, comunque, vietato in Germania, verrà presentato ufficialmente solo nel ’45).
De Mayerling à Sarajevo (Da Mayerling a Sarajevo) è la storia del successore al trono Francesco Ferdinando d'Este, nipote dell'imperatore Francesco Giuseppe e nemico del principe di Montenuevo, che non perde occasione per irridere alle idee progressiste dell'avversario. Durante una visita a Brünn (Brno) Francesco Ferdinando incontra la contessa Sophie Chotek, se ne innamora e la sposa. A dispetto della corte i due vivono un matrimonio felice, fino al 28 giugno 1914, quando saranno uccisi dallo studente Gavrilo Princip.
De Mayerling à Sarajevo è l'ultimo film che Ophüls riesce a girare in Europa prima di prendere la via di un nuovo esilio, verso Hollywood questa volta. (...) Il caso volle che negli ultimi giorni di lavorazione, quando l'attore sparò il fatidico colpo di pistola che venticinque anni prima aveva segnato l'inizio della grande guerra, piombasse sul set l'annuncio della mobilitazione generale, in seguito all'ultimatum tedesco alla Polonia. La troupe si disperse in pochi minuti e lo stesso Ophüls, che aveva appena ottenuto la cittadinanza francese, dovette arruolarsi. A quanto risulta il regista tornò a girare durante le ostilità le inquadrature mancanti.
Dal pressbook della rassegna, a cura di Lab80

Critica (2):La Storia sembra costretta a ripetersi e la natura umana, con il suo desiderio di conquista e egemonia, a non cambiare. Eppure, nel film non si avverte mai questo senso di tragica impotenza, questo piegarsi forzatamente a un destino già macchiato dal sangue di molte persone (anche la morte dei coniugi sfuggirà alla macchina da presa). Al contrario, Ophüls come in altre sue opere affronta la materia – in questo caso l’assurdità della guerra – con una leggerezza calviniana, non escludendo cioè le conseguenze che ne derivano quanto adottando uno sguardo altro sulle cose. Sguardo che viene a coincidere con la prospettiva dei due protagonisti (John Lodge e Edwige Feuillère, già apparsa in Tutto finisce all’alba), che si battono per un ideale di democrazia e unione pacifica tra popoli (“gli Stati Uniti d’Austria”). La rigidità politica e istituzionale, che li costringe a un matrimonio morganatico (perdendo innumerevoli diritti, tra cui la discendenza degli eredi al trono), fluiscono attraverso la vita privata e familiare della coppia, che viene messa in primo piano mostrando momenti idilliaci con i figli e attimi di tensione per la propria sorte e quella dell’Impero. Ophüls, in maniera evidente, esalta la figura femminile riversando su di lei tutte le attenzioni: il quadro che ne risulta è di una donna fiera e amorevole, un’eroina che con garbo e determinazione resterà accanto al marito fino all’ultimo giorno. Feuillère, in linea con il personaggio, non esaspera mai il tono della recitazione che anzi si mantiene sobrio e non per questo di minore coinvolgimento per lo spettatore. Lo stesso Ophüls, pur non rinunciando al suo stile elegante, non si abbandona a vorticose girandole espressive: i movimenti di macchina, che qui sono misurati e calibrati sul discorso narrativo (benché non manchino alcune “visioni in soggettiva” dietro una cancellata o un manipolo di soldati) vengono sublimati da una fotografia impeccabile – merito di Curt Courant e Otto Heller – che rivela luci e ombre del potere (mirabili in tal senso le sequenze con Montenuovo, il maestro di cerimonie della famiglia imperiale).
Certo, a causa probabilmente dei continui rischi e dei tempi di lavorazione altalenanti, la narrazione risente di un respiro corto, compensato in parte dall’uso abbondante di espedienti classici (lettere, calendari, didascalie) che non le danno la giusta profondità; anche la visione così liberale dell’arciduca Ferdinando viene piuttosto semplificata a favore dell’immediatezza del racconto. D’altro canto Ophüls, come altri registi coevi (Lubitsch, Hitchcock) offrì con questo film un contributo importante alla propaganda antinazista, in un periodo in cui era oltremodo necessario che il messaggio apparisse chiaro e diretto, per evitare effetti spiacevolmente contrari (come accadde ad esempio a Prigionieri dell’oceano).
Marco Bolsi, sentieriselvaggi.it, 3/7/2017

Critica (3):

Critica (4):
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