Perdona e dimentica - Life During Wartime
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Regia: | Solondz Todd |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Todd Solondz; fotografia: Edward Lachman; musiche: Doug Bernheim; montaggio: Kevin Messman; scenografia: Roshelle Berliner; costumi: Catherine George; interpreti: Shirley Henderson (Joy), Ciarán Hinds (Bill), Allison Janney (Trish), Michael Lerner (Harvey), Chris Marquette (Billy), Rich Pecci (Mark), Charlotte Rampling (Jacqueline), Paul Reubens (Andy), Ally Sheedy (Helen), Dylan Riley Snyder (Timmy Maplewood), Renée Taylor (Mona), Michael K. Williams (Allen), Gaby Hoffmann (Wanda), Emma Hinz (Chloe), Meng Ai (Jesse); produzione: Werc Werk Works; distribuzione: Achibald Enterprise; origine: Usa, 2009; durata: 96’. |
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Trama: | I fantasmi del passato della famiglia Jordan sono tornati a tormentare e consolare i vari componenti a dieci anni di distanza dalle scioccanti e tragiche rivelazioni che ne hanno mandato in frantumi l'universo. Ognuno di loro, infatti, è coinvolto nel proprio dilemma: Joy - perseguitata da visioni del suo ex corteggiatore, deceduto, Andy - capisce che il marito Allen non è del tutto guarito dal suo 'disturbo particolare' e per questo si rifugia dalla madre e dalle sue due sorelle in cerca di conforto e consiglio; Trish, in cerca di una nuova vita dopo aver scoperto un'orribile inclinazione sessuale di suo marito Bill, incontra Harvey - divorziato, solitario e vicino alla pensione - con cui spera di riportare la stabilità nel suo fragile nucleo familiare; Helen invece si sente vittima della sua famiglia e del successo conquistato ad Hollywood; nel frattempo Mona, la madre delle tre donne, non riesce a liberarsi dell'amarezza che prova nei confronti degli uomini. Intorno a loro ruotano una serie di personaggi - Mark, il figlio di Harvey; l'inquieta Jacqueline; Billy e Timmy, figli di Trish e Bill - che contribuiscono a comporre un quadro emotivamente forte di individui prigionieri dell'amore e della vita. |
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Critica (1): | Siamo in una villetta colorata nel cuore residenziale di Miami. È sera, e a prender fresco dopo una cena di presentazioni ci sono Timmy, un tredicenne ebreo il cui padre pedofilo è in carcere, sua madre con il suo nuovo fidanzato, un uomo divorziato con figlio. Timmy ha uno sguardo arguto e spietato ed è nell'età in cui vuole sapere come stanno le cose per davvero. Sta preparando il discorso per il suo bar mitzvah (quando un ebreo raggiunge la maturità, per i maschi a 13 anni e un giorno) e lo ossessiona una cosa: «quando devi perdonare qualcuno e non lo vorresti fare, ma se lo fai diventi un uomo». La questione getta Timmyin un vortice di dubbi che sottopone all'esterrefatto fidanzato della madre, anch'egli ebreo, che non sa come rispondere. «Se ti dessi un pugno in faccia e poi ti chiedessi scusa, tu mi perdoneresti?». «Ti perdonerei, ma pretenderei delle spiegazioni». Ma Timmy è gia oltre. «E se un terrorista facesse saltare l'ufficio in cui lavori, lo perdoneresti lo stesso? Anche se aveva le sue buone ragioni?». L'uomo perde l'equilibrio e si aggrappa alla fede dei luoghi comuni, con frasi del tipo: «I terroristi per definizione non hanno buone ragioni», «Dio lo vieta», «vorresti perdonare i terroristi dell'11 settembre?». Timmy,portato dalla sua inesorabile logica chiosa: «Certo che non si possono perdonare quei terroristi, sono morti!». Ma dove vuole arrivare questo bambino arguto costretto dalla storia famigliare (quella di un padre pedofilo creduto morto e «risorto» il giorno dopo che è uscito dal carcere) a cancellare qualsiasi traccia di ambiguità dalle parole, dai concetti, dai comportamenti, dalle persone? (Infatti, dopo aver scoperto la verità sul padre chiede con spavalda sincerità al futuro marito della madre: tu sei pedofilo?) Ridotti gli adulti al silenzio, ora Timmy come un matematico che ha soppesato i pro e i contro, con consapevolezza sentenzia: «Se qualcuno ti fa qualcosa di realmente terribile, di veramente orrendo, qualcosa che ti faccia così male, che sia così doloroso… allora è meglio dimenticare e vivere senza tutto questo dolore, che perdonare e ricordare». È una scena del film di Todd Solondz, Perdona e dimentica, o meglio (come nel titolo originale) Life During Wartime: la vita in tempo di guerra. E molte sono le «guerre» che Solondz intende in questo film spietato nell'arrivare al cuore del discorso che si fa politico, sociale e filosofico.
C'è la guerra in Iraq –una delle sorelle dice «siamo ancora un paese in guerra». E poi c'è la guerra combattuta da tutti i componenti di questa famiglia di ebrei americani con le proprie aberrazioni, falsità, orrori e delusioni. E, sebbene mai dichiarata, ma cuore profondo del film, c'è la «guerra» infinita degli ebrei con la Storia, tutta rappresa, ancora e sempre, sul tema del perdono come possibilità di pace e sull'impossibilità di dimenticare come destino di guerra. Non si esce dalle corna di questo paradosso, posto con consapevole determinazione da Solondz. Non potendo dimenticare, non si può perdonare. A meno che, come propone il giovane Timmy, non sia meglio cancellare la memoria, rimuovere piuttosto che soffrire. Ma se questa è una scelta che il singolo individuo può fare sulla sua storia privata, ciò non può avvenire per la Storia collettiva, per le responsabilità condivise. Così sembra dire Solondz in questo film in cui privato e pubblico, destino e storia, tragedia e perdono continuamente si sfidano in un duello senza fine. Seguito di Happiness, Perdona e dimentica (vincitore per la miglior sceneggiatura a Venezia 2009) è un film corale, duro e intenso, disegnato limpidamente come una graphic novel, scritto meravigliosamente, e interpretato da attori favolosi.
Dario Zonta, L'Unità, 16/4/2010 |
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Critica (2): | Puoi perdonare il padre affettuoso che pareva perfetto ed è finito in prigione per pedofilia? Puoi perdonare la ragazza timida e dolce che non ti ha voluto spingendoti al suicidio? Puoi perdonare il marito innamorato e pentito che però non riesce a smettere di essere: alcolizzato, ladro, informatore di gang, spacciatore di droga, drogato e violentatore di donne, compresa la cameriera che lo riconosce e gli sputa in faccia? Ce lo chiede l'appassionante, crudele, intelligente film dell' americano Todd Solondz, se lo chiedono nel film i personaggi, se lo chiede e lo chiede soprattutto il lentigginoso adolescente Timmy, che tiene in camera la fotografia dell' aereo con cui i terroristi hanno fatto cadere le torri gemelle perché «se l' han fatto avevano le loro ragioni». Perdonare e non dimenticare, oppure dimenticare e non perdonare, o non dimenticare, non perdonare? Life during wartime, la vita in tempo di guerra (...), è uno di quei film che trasformano il pozzo delle nostre silenziose disperazioni in commedia, che ci fanno ridere dello specchio in cui non vogliamo guardarci, perché riflette segrete inadeguatezze, sconfitte, sensi di colpa, ossessioni di tanti. La guerra di cui Solondz parla non è quella in Iraq, in Afghanistan che, dice, «non hanno scalfito la vita delle agiate comunità americane, tanto nessuno dei loro componenti, se non qualche fanatico, ci va». È la guerra dei sentimenti che si corrompono, dei rapporti che non si realizzano, del proprio senso di estraneitàe incompletezza. «Il cinema affronta certi temi sconvolgenti demonizzandoli, in modo consolatorio, perché alla fine lo spettatore si senta bene, dalla parte giusta, intaccabile dall' errore e dal peccato. Io penso invece che il male, o l' infelicità nascosta, ci riguardino tutti». Pubblico e critica lo hanno attaccato per un suo film angoscioso e scandaloso che ci costringe a ridere, Happiness, in cui la pedofilia viene raccontata quietamente, addirittura da un padre pluriviolentatore di bambini al figlio dodicenne che lo ama e piange. «Anche il pedofilo è una persona, considerarlo un mostro serve solo a sentirsi in salvo, diversi. Invece si tratta di un essere umano, che conosce solitudine e desiderio, che vive la tragedia dell' alienazione, della sconnessione tra la quotidianità, la normalità, gli affetti e la natura nemica, incontrollabile, che conoscerà la giusta punizione». Life during wartime è, dieci anni dopo, il seguito di Happiness, con gli stessi personaggi ma attori diversi. La sfigata, dimessa Joy lavora con gli ex carcerati, ama il marito nero, dolcissimo e criminale incallito; la sorella Trish, un tempo felice casalinga moglie di psichiatra, ha detto ai tre figli che il papà è morto ed invece, condannato per pedofilia, sta per uscire di galera. L' altra sorella Helen è nevrotizzata dal successo di scrittrice e umilia Joy per le sue scelte sbagliate. Per tutti la vita, nella sua tranquillità, è insopportabile, e nel film ogni vicenda si snoda a dialoghi in cui le parole deviano impedendo comprensione e consolazione. Bill e una devastata signora incontrata al bar (Charlotte Rampling, l' unica attrice nota) dialogano di solitudine, crudeltà e vecchiaia, finendo a letto, il ragazzino Timmy vuole sapere da sua madre Trish cosa fanno i pedofili ai bambini, Trish racconta a Timmy come si sia bagnata (e asciugata) al tocco sul gomito del brutto vecchio divorziato Harvey che ha votato McCain. Bill va a trovare il figlio grande Billy che lo credeva morto e che gli dice che era meglio se lo era. Nessuno ascolta Joy,e allora lei conversa coi fantasmi: quello del noioso giovanotto che non ha voluto e che la insulta, quello del marito che si è ammazzato, e che le chiede di dimostrare il suo amore sparandosi in bocca. Nulla cambia nella vita di ognuno, perché la vita cambia raramente, e tutti tornano a essere soli, come se ogni incontro e tutto quel fluire di parole fosse stato inutile. Non si può dimenticare, non si può perdonare. Ma Timmy, quello che crede che anche i terroristi abbiano un' anima, invece vuole dimenticare
e perdonare: «Mio papà non era un pedofilo», dice il giorno del suo Bar-mitzvah, «adesso sono grande, sono un vero uomo: e so che è mio padre che voglio». Dice Solondz: «Immagino che questo finale susciterà scandalo: mi piacerebbe invece che la gente lo accogliesse con turbamento e il bisogno di riflettere sulla natura dei sentimenti più profondi anche dove li si vuole negare».
Natalia Aspesi, La Repubblica, 4/9/2009 |
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