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Vodka lemon - Vodka lemon


Regia:Saleem Hiner

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Lei Dinety Hiner Salem; fotografia: Christophe Pollock; musiche: Michel Korb, Roustam Sadoyan; montaggio: Dora Mantzoros; interpreti: Armen Marutyan, Lala Sarkissian (Nina), Romen Avinian (Hamo), Ivan Franeck (Dilovan); produzione: Feature Film; Dulcine (Fr) – Amka Films Productions (Ch) – Sintra (It) – Paradise Films (Armenia); distribuzione: Lady Films; origine: Francia / Italia / Svizzera / Armenia, 2003; durata: 88'.

Trama:Nell’Armenia post sovietica Hamo, un avvenente vedovo sessantenne, vive con il figlio alcolista e la bellissima figlia. Possiede una pensione militare di sette dollari, un vecchio armadio, una televisione russa rotta e la sua divisa. Mentre si trova al cimitero, sulla tomba della moglie, incontra Nina, una bella vedova cinquantenne.

Critica (1):La sorpresa di questa settimana cinematografica arriva dal Kurdistan. Paese che, come noto, non esiste: Hiner Saleem, 39enne regista di Vodka Lemon, film da oggi nelle sale, ha buon gioco nel ricordare che c’è un Kurdistan iracheno, uno turco, uno iraniano e uno siriano... ma non un Kurdistan curdo! Tanto per arricchire la geografia immaginaria di questo popolo perseguitato, Vodka Lemon è girato nel Kurdistan armeno, che una volta stava in URSS. Infatti Hamo, l’anziano protagonista, è un ex ufficiale dell’Armata Rossa e gli unici averi di cui va orgoglioso sono una divisa, un televisore sovietico e una pensione da sette dollari al mese. Intorno a lui c’è un paese innevato dove regna il surrealismo. Nina, una bella cinquantenne, gestisce un chiosco di liquori nel bel mezzo del nulla. Quando Dilovan, figlio di Hamo, le chiede «perché si chiama vodka lemon se sa di mandorla?», lei risponde: «beh, è l’Armenia!». Sia Nina che Hamo sono vedovi e si incontrano al cimitero, una trentina di lapidi che spuntano dalla neve. Parlano con i rispettivi cari estinti, ma si guardano con languore da adolescenti. Nina ha una figlia che dice di essere un’artista: suona il piano, sì, ma i clienti la pagano per altre virtù (ci siamo capiti?). Hamo ha un figlio in Francia: ogni volta che arriva una sua lettera la famiglia si raduna perché spera contenga dei soldi, invece alla fine è lui, emigrato nel grasso Occidente, a chiedere denaro a papà. Nina è costretta a chiudere il chiosco. Hamo ha già venduto il televisore. L’unico modo di racimolare dollari (come diavolo arrivano, i soldi yankee, fin lassù?) sarebbe vendere il pianoforte. Ma Hamo e Nina si rifiutano. E mentre suonano il piano a quattro mani, sul bordo di una strada nel mezzo della tundra, il piano si muove e porta i due vecchi innamorati verso il futuro... Probabilmente abbiamo chiuso la trama usando la parola sbagliata, perché fra le tante battute autoironiche sui curdi che Saleem attribuisce a suo nonno ce n’è una folgorante: «Il nostro passato è triste, il nostro presente è catastrofico ma per fortuna non abbiamo un futuro». Quando si appartiene a un popolo-punching ball, abituato a prender cazzotti da chiunque passi, l’ironia diviene un’arma indispensabile. Vodka Lemon è malinconico, poetico, ferocemente divertente. Nell’aurea misura di 88 minuti, Saleem ci fa entrare in un mondo dove tutti soffrono ma trovano chissà dove la forza per andare avanti. Il regista è giovane ma ha uno stile maturo e sorvegliatissimo: non fa capriole con la macchina da presa, non spreme mai le sequenze un secondo in più del necessario, fa parlare il paesaggio e (poco) gli attori. Si intuiscono modelli importanti (il primo Kusturica, il Kaurismaki più umoristico, il vecchio Ioseliani e in genere i film più leggeri del Caucaso sovietico, che negli anni ’60 aveva espresso un grande maestro della commedia come Georgij Danelija, georgiano). A Venezia ha vinto il Leone come miglior film della sezione Controcorrente ed è stato un riconoscimento strameritato: non ci meraviglieremmo di ritrovare Vodka Lemon nella cinquina dei film stranieri candidati all’Oscar.
Alberto Crespi, l’Unità, 20/11/2003

Critica (2):Tra i numerosi, piccoli film di pregio che fanno a spinte per conquistarsi un po’ di spettatori pre-natalizi, Vodka Lemon si distingue per la delicatezza del tocco e per quel tanto di bizzarria che vi circola dentro (agli occhi, almeno, dello spettatore occidentale). In un villaggio curdo del Caucaso la vita è grama. Una pensione di vecchiaia ammonta a sette dollari; c’è chi non ha i soldi del biglietto per viaggiare su un pullman scassato; la vita sociale consiste nel comprare vodka in un chiosco isolato tra le nevi, per ubriacarsi poi in solitudine. Ex-ufficiale dell’armata rossa, sperso tra la fine del socialismo reale e l’inizio di cosa non si sa, il vedovo Hamo deve vendersi prima la tv, reperto dell’era sovietica, poi la divisa. Frattanto Nina, vedova anche lei, perde il lavoro al chiosco di alcolici. Eppure – nella più grama delle situazioni e nella seconda parte della vita – c’è ancora posto per l’amore. Andando a visitare i rispettivi defunti al cimitero, i due cuori solitari s’innamorano pudicamente. Vincitore a Controcorrente, il concorso “bis” della Mostra di Venezia, Vodka Lemon si svolge in un contesto ghiacciato; ma via via, emana sempre più calore. In un’economia d’inquadrature fisse, parche di primi piani, il regista curdo iracheno Hiner Saleem mescola sapientemente dramma e ironia, miseria e ottimismo, solitudine e amore; apre su una scena di mestizia ma chiude con un epilogo di speranza e fierezza, rappresentate da un pianoforte che non sarà mai in vendita.
Alessandra Levantesi, La Stampa, 30/11/2003

Critica (3):

Critica (4):
Hiner Saleem
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