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Querelle De Brest - Querelle


Regia:Fassbinder Rainer Werner

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo "Querelle de Brest" di Jean Genet; sceneggiatura: Burkhard Driest, Rainer Werner Fassbinder, Kurt Raab; fotografia: Xaver Schwarzenberger, Josef Vavra; musiche: Peer Raben; montaggio: Juliane Lorenz, Franz Walsch; scenografia: Rolf Zehetbauer; costumi: Barbara Baum; interpreti: Brad Davis (Querelle), Franco Nero (il tenente Seblon), Jeanne Moreau (Lysiane), Laurent Malet (Robert), Hanno Pöschl (Robert/Gil), Gunther Kaufmann (Nono), Burkhard Driest (il poliziotto Mario), Dieter Schidor (Vic); produzione: Planet-Film Productions - Albatros Filmproduktion - Gaumont; origine: Francia, Germania, 1982; durata: 116'.

Trama:Querelle - imbarcato su "La Vengeur" ancorata nel porto di Brest - è bello, forte ed è nascostamente amato dal comandante della nave, il tenente Seblon. Una volta a terra, incontra il fratello Robert amante di Lysiane tenutaria di un bordello insieme al marito Nono. Inizia per Querelle un cammino verso un destino di contrabbandiere d'oppio, sodomita, assassino: Una sorta di disperata ricerca della propria identità svolta nell'esperienza di ogni nefandezza.

Critica (1):[...] Querelle è ovviamente una storia simbolica: si tratta del sacrificio di ricongiungimento del Doppio, di sintesi del dualismo gemello-gemello, amante-amato, anima e corpo, spirito-materia, divino-umano, maschile-femminile, astratto-concreto, ecc. E Fassbinder sapeva fin dalla prima lettura che doveva "diventare un film sulla passione di Nostro Signore". Una Passione naturalmente rovesciata: Querelle trasgredisce puntualmente i comandamenti ed in particolare gli ultimi sei (non ammazzare, non commettere atti impuri, non rubare, non dire falsa testimonianza, non desiderare la roba e la donna d'altri). Se la Passione cristiana è stata strumentalizzata e tradita dall'istituzione ecclesiastica che Fassbinder inserisce nel film tra la clientela del bordello, quasi a rappresentare il simbolo stesso della degradazione, la Passione di Querelle nel rigoroso capovolgimento dei valori cristiani ne opera una catarsi-purificazione.
[...] E la "divinità" simbolica di Querelle consiste infatti, molto materialisticamente, nella sua opera di trasformazione e di ricomposizione del mondo, partendo da lontano e venendo dalle profondità infernali di una civiltà degradata e mercificata. Una Passione perciò necessariamente rovesciata dove l'immoralità del furto, dell'omicidio, dell'inganno, del tradimento, della perversione, è un valore negativo che funziona simbolicamente da negazione dei falsi valori positivi di una morale mistificante. Querelle può diventare Cristo proprio perché è un Anticristo che opera il miracolo di trasformare il crimine, metafora della degradazione sociale e massima espressione dell'abiezione umana, nel significato opposto di un "santo" processo di emancipazione dell'uomo; non si tratta ovviamente di un'istigazione a delinquere, ma è l'assunzione cosciente della metafora più maledetta allo scopo di provocare un'inversione, una riappropriazione del proprio destino, radicale perché possa diventare sensibile. Il crimine è così la negazione del suicidio, doppia negazione simbolica che richiede il "sacrificio" e la "santità".
La vita di Jean Genet è lì a testimoniarlo, eccezione che smentisce la regola. Sartre per primo aveva visto l'esistenza di Genet (e nel poeta non c'è iato tra vita e scrittura) come un viaggio al termine della sventura, dove all'impossibilità della vita si sostituisce la volontà selvaggia di vivere, sfida possibile ad un'unica condizione: "diventare fino in fondo ciò che il destino ha fatto di noi". Facendo della propria maledizione una professione di fede ed un martirio la si può trasformare, trasmutare mediante un processo simbolico alchemico di sublimazione. Quindi "nozze chimiche" tra il massimo realismo dell'accettazione e il massime idealismo del totale rovesciamenti simbolico.
La "formula magica" dell'inversione e della doppia negazione coniuga diversi livelli formali e punti di vista, che nella scrittura genetiana si intrecciano liberamente disegnando un'opera fluida, rizomatica, che non si risolve mai in strutture narrative coerenti chiuse, ma è uno svelamento poetico fulminante, frammentario, visionario. Dunque, come condurre la difficile navigazione di Genet nel cinema? Il primo approdo è il luogo dove è ambientato il romanzo Querelle: Brest. Genet sceglie Brest come "città dura, solida, costruita in granito grigio di Bretagna. La sua durezza àncora al porto, dà ai marinai un senso di sicurezza, un punto d'appoggio da cui slanciarsi, lì riposa il perpetuo ondeggiare del mare. Se Brest è leggera, lo è per via del sole che debolmente dora le facciate nobili come facciate veneziane; lo è per via della presenza, nelle sue anguste strade, dei marinai neghittosi, per via infine della nebbia e della pioggia".
In un primo tempo anche Fassbinder sceglie Brest, scelta sbagliata come presto egli stesso riconosce; portare sullo schermo un'opera letteraria è sempre un lavoro assai rischioso di riduzione e sintesi del testo e di precisazione (si materializzano volti, luoghi, situazioni immaginarie), un rischio all'ennesima potenza trattandosi di Genet, autore mai "cinemizzato", e con una scrittura più vicina alla poesia che alla prosa, poliedrico e trasgressore anche delle regole narrative. L'unica chance di raggiungere cinematograficamente Genet era tradirne sul piano formale la realtà romanzesca portando alle estreme conseguenze la specificità cinematografica, si superava così ogni eventuale impasse linguistico-poetica per garantire la permanenza e perfino lo sviluppo della struttura simbolica di Genet. Querelle di Fassbinder tradendo Querelle di Genet, se ne appropria intimamente. Di qui l'assunto antinaturalistico di ambientazione, scenografia, fotografia, testo e dialoghi, personaggi e dell'intera struttura narrativa: "Non riesco ad immaginare il mondo di Jean Genet in esterni reali, perché ogni azione, ogni gesto, ogni sguardo significa sempre qualcos'altro, sempre qualcosa di più grande, di più sacro", afferma Fassbinder.
Il paesaggio non deve distrarre, nessun equivoco: si tratta di uno spazio simbolico, concentrato, uno spazio chiuso come il ventre materno dove si consuma la gravidanza dell'anima.
Prigione claustrofobica e contemporaneamente luogo sicuro, protetto da ignote interferenze, esterni pericoli. Come per Genet il marinaio è difeso, cullato dal suo travestimento, così Fassbinder si traveste, tramite gli abiti, l'ostentazione della propria ripugnanza, una corte di fedelissimi collaboratori, i suoi film; Fassbinder si rende irreperibile più del cattivo scolaro di Thomas Mann che si metteva nell'ultimo banco per non essere disturbato, Fassbinder s'imprigiona nell'intimità della sua opera, nel laboratorio inaccessibile della propria anima.
E imprigiona i suoi film in strutture spaziali e narrative chiuse, circolari, i suoi personaggi si muovono sempre dietro vetri, specchi, sbarre.
[...] rileviamo come Fassbinder sia ridondante nel preoccuparsi di sottolineare la simbolicità del luogo con gli attributi fallici del porto di Brest e con una fotografia antinaturalistica che non solo dipinge lo stato mentale e morale dei personaggi, ma nella sua dominante cromatica arancione sospende il tempo in un'alba-tramonto eterna. Un'atemporalità indicata anche dall'eterogeneità dei travestimenti, che richiamano stagioni diverse della storia contemporanea; Fassbinder concepisce l'idea stessa di epoca come un travestimento simbolico, da melodramma, (i suoi personaggi sono quasi sempre travestiti e l'omosessualità diventa spesso l'alibi di un travestimento politico).
La delimitazione dello spazio simbolico garantendone l'integrità ne autorizza anche, completamente, la sintesi e la libera associazione-combinazione interna, così Fassbinder costruisce una "specie di paesaggio surrealista, che si compone di parti e di eguali di tutti gli ambienti previsti. In questo paesaggio si trovano alcuni schermi che permettono, facendo uso di proiezioni di allargare all'infinito questo mondo artificiale con particelle di realtà. Un aspetto assolutamente essenziale, e che inoltre giustifica questa scelta di paesaggio, è che in ogni scena c'è la possibilità di introdurre nell'immagine un altro ambiente". Gli ambienti (bordello "La Feria" - giardino arabo - nave - tratto di strada con gabinetto e cabina - bettola del porto - baracca dei muratori - banchina - due camere di Lysiane e Nono - ex bagno penale - distretto di polizia - altri scorci di strada) si coagulano e si sciolgono l'uno nell'altro senza soluzione di continuità, sono (i)stanze psichiche, l'"Atanor" dove Fassbinder produce la sua alchimia genetiana. [...]
Andrea Balzala, Cinema Nuovo, n. 302/303, 1986

Critica (2):"Each man kills the thing he loves". Come un relitto scampato al naufragio della barca che lo portava, Querelle è arrivato sugli schermi europei pochi mesi dopo la morte dell'autore. Preceduto e seguito da clamori scandalistici a causa del tema e di alcune sequenze audaci, Querelle rischia purtroppo di inchiodare il nome di Fassbinder a una fama di "autore maledetto" solo in parte vera. Querelle non è uno dei migliori film del regista. Appartiene a quel gruppo di creazioni prettamente intellettuali (tipo Despair) che sono si affascinanti dal punto di vista culturale, ma quasi "senza cuore". Girandolo, Fassbinder sosteneva che avrebbe dovuto essere un film "che si può leggere come un libro". Si pensa allora subito all'altra grande trascrizione della letteratura, Effi Briest. Ma in Effi Briest c'era un testo perfettamente misurato e l'arte olimpicamente equilibrata di Fontane; con Querelle abbiamo invece a che fare con un romanzo-caledoscopio, che sussulta verso la fine con una girandola di eventi e di pensieri. Fassbinder, per la stessa natura del romanzo, ha dovuto far quadrare le proprie ossessioni con quelle originali di Genet. Il risultato è incerto, talvolta illuminante, talvolta prevedibile e superficiale.
La trama è difficile da esporre e può risultare incoerente alla lettura. Ma il punto è proprio questo: sia per Genet che per Fassbinder la storia è un puro segno che serve a mostrare e a commentare certe inconfessabili realtà dell'animo umano, in particolare la relazione che esite tra assassinio, omossessualità e martirio. Mentre Genet unifica la sua meditazione in un compatto grumo di fatti e di riflessioni, cementando il tutto con uno stile inimitabile, il film di Fassbinder riesce a fare questo solo in parte. Il gioco degli sdoppiamenti, delle illusioni, da Narciso in cui tutti i personaggi si crogiolano appare spesso troppo scoperto. II valore di Querelle sta piuttosto in quelle sequenze con le quali
il film improvvisamente si infiamma, raggiungendo a tratti quella devastante forza rivelatrice che è invece propria del romanzo in toto. Prima fra tutte, la splendida e contestatissima scena della sodomizzazione di Querelle da parte di Nono. È significativo che Genet, nel libro, istituisca una strettissima consequenzialità tra l'omicidio di Vic e la volontà di espiazione attraverso il rapporto anale con cui Querelle avvicina Nono. Fassbinder è invece più allusivo su questo punto, ma scarica nelle riprese esplicitamente sessuali una forza evocatrice la cui purezza riscatta la scabrosità della scena. Lungi dall'essere provocatorio, egli è qui addirittura sentimentale. E non si può fare a meno di pensare alla splendida sequenza della masturbazione nel film di Genet Un chant d'amour, alla cui retorica sublime Fassbinder si è evidentemente ispirato. Alla luce di quanto detto nell'ultimo capitolo. È interessante osservare che il regista ha dovuto inventare, come centro della narrazione, un personaggio femminile, Madame Lysiane: Lysiane nel romanzo praticamente non esiste: è semmai un fantasma la cui presenza è avvertibile negli angoli più oscuri del racconto. Fassbinder la trasforma in un personaggio carismatico (e non poteva essere che Jeanne Moreau ad interpretarlo), una sorta di incrocio archetipo tra le figure di amante, maga e madre che presiede agli scambi di identità tra i personaggi maschili del film. Lei preannuncia Querelle e lei lo cancella dalla memoria di tutti, rimuovendone la nera bellezza, l'indistinto abisso guardando dentro il quale è venuta a ciascuno la vertigine. Una simile vertigine assale però poche volte lo spettatore. Forse Fassbinder avrebbe trovato nel tempo la chiave per rendere "ingenue" anche queste sue opere più intelettuali, magari a partire dal film che già aveva in progetto, un adattamento de L'azzurro del cielo di Bataille. Querelle rimane uno dei capitoli più misteriosi del suo testamento. Misterioso e baroccante inquietante fino a quell'ultima, infuocata immagine della tolda nel cui fervere indistinto e sudato sembra di intravedere l'affannarsi stesso della morte al lavoro.
Davide Ferrano, Fassbinder, il castoro cinema nov./dic. 1982

Critica (3):

Critica (4):
Rainer Werner Fassbinder
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