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Indebito


Regia:Segre Andrea

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Vinicio Capossela, Andrea Segre; fotografia: Luca Bigazzi, Matteo Calore, Andrea Segre; montaggio: Sara Zavarise; suono: Remo Ugolinelli, Adriano Di Lorenzo; interpreti: Vinicio Capossela, Theodora Athanasiou, Anneta Stefanopoulou, Agni Papadeli-Rossetou, Keti Dali, Pantelis Hatzikiriakos, Dimitris Kontogiannis, Vasilis Korakakis, Stefanos Magoulas, Dimitris Mistakidis, Manolis Pappos, Nikos Strouthopoulos, Timoleon Tzanis, Evgenios Voulgaris, Panagiotis Xanthopoulos, Psarantonis Xylouris; produzione: Francesco Bonsembiante per Jolefilm e La Cupa in collaborazione con Rai Cinema; distribuzione: Nexo Digital; origine: Italia, 2013; durata: 84’.

Trama:La crisi di oggi prima che economica è identitaria. È separazione, disorientamento. Le culture europee sono state svendute all'omologazione del consumo e alla corsa alla ricchezza. Ci hanno fatto credere che la liberazione dalla povertà materiale dovesse coincidere con la fuga da se stessi. Vivere oggi di nuovo la povertà senza se stessi è una vertigine insostenibile. Il nostro documentario è un tempo dedicato ad ascoltare l'assenza di noi stessi. È la consapevolezza di vivere in-debito di aria, di senso, di prospettiva. Per farlo abbiamo vagato come flaneur, come viandanti nel luogo simbolo della crisi, la Grecia indebitata: seguendo le parole, i pensieri e la musica dei rebetes, i cantanti del rebetiko, il blues ellenico. Il rebetiko è musica nata dalla disperazione di un'antica crisi (la fuga da Smirne) ed è una delle musiche che hanno costruito l'identità moderna della Grecia, trasportando con sé il dolore dell'esilio e la ribellione alle violenze della storia. È una musica contro il potere, non autorizzata, indebita. I rebetes sono portatori di questa identità, di cui oggi celebrano un funerale pieno di sconfitta, disperata ribellione e silenziosa speranza. I loro concerti e le loro parole riempiono le taverne notturne di Atene e Salonicco, sfiorano le scritte sui muri, ascoltano il mare dei porti e incontrano il cammino di Vinicio Capossela, musicista e viandante che intreccia le sue note con i pensieri del suo diario di viaggio, il tefteri. Così la Grecia diventa l'Europa, la sua crisi la nostra e il rebetiko il canto vivo di un'indebita e disperata speranza.

Critica (1):Lavoriamo di fantasia. Immaginiamo una taverna in Grecia offuscata dal fumo, dove uomini ebbri iniziano a cantare versi malinconici e appassionati, pian piano si forma un coro e il senso di comunità che si respira è alto. Immaginiamo che questi uomini si facciano più stretti e uniscano al canto il movimento, una ginnastica per il corpo dettata dall’estasi della mente, nella quale ognuno balla da solo. Quello che questi uomini stanno cantando e ballando è certamente il rebetiko, accostabile, seppur con le dovute distinzioni, al blues degli afroamericani, al fado dei portoghesi e al tango degli argentini.
Ora che abbiamo accorciato le distanze con questo termine per molti insolito, sarà più facile accostarci al nuovo disco di Vinicio Capossela, “Rebetiko gymnastas”, dove l’esercizio cui rimanda la seconda parte del titolo è naturalmente musicale. Siamo lontani da spread e pericoli di recessione, perché il processo di sensibilizzazione che passa attraverso le tredici canzoni dell’album non riguarda la crisi economica, quanto quella culturale, a ricordarci il consistente debito che tutti abbiamo con la ricca cultura greca, da cui l’omaggio che questo disco vuole essere.
Capossela sceglie quindi una musica di denuncia per quello che possiamo considerare il seguito e anche l’epilogo del precedente atto discografico: “Marinai profeti e balene” (La cupa/Warner, 2011), dove al navigare segue ora l’attracco e dove il porto – quindi il nuovo punto di partenza – è l’identità culturale. Il cantautore di Hannover sceglie così quattro canzoni inedite di stampo greco: la prima, bella e trascinante, è “Abbandonato”, libera interpretazione in lingua di un brano di Atahualpa Yupangui (se state pensando a Paolo Conte e alla sua “Alle prese con una verde milonga” siete sulla buona strada), canzone eletta ad aprire egregiamente il disco e la promozione, svelando subito che il protagonista dell’intero lavoro è il bouzouki, strumento tipico della tradizione musicale ellenica. Segue il personale “Rebetiko mou” e la nota Misirlou (ricorderete la versione per chitarra elettrica nella colonna sonora di Pulp Fiction), per finire con “Cancion de las simples cosas”, buona versione italiana di un brano già accostato all’argentina Mercedes Sosa e alla messicana Chavela Vargas.
Per il resto Capossela seleziona brani del suo repertorio, che per atmosfere o predisposizione musicale rimandano proprio al rebetiko, destinato a diventare la loro nuova veste, modificandone a volte il battito, ma senza stravolgimenti. Succede così di sentire “Contrada Chiavicone” – canzone del 1996 inclusa nel disco “Il ballo di San Vito”- in una versione particolarmente agitata, resa tale dalla ricchezza di suoni procurati dal bouzouki del celebre Monolis Pappos, ma c’è anche l’elegante “Con una rosa” – da “Canzoni a manovella” del 2000 – qui vestita di un ellenico bajon, con il tocco del violino elettrico di Mauro Pagani. C’è poi “Signora luna” – sempre del 2000 - derivante da un’antica canzone dell’Ecuador, in cui l’esercizio musicale è un ellenico western, e via così fino a chiudere con la straziante “Scivola vai via” – contenuta in “All’una e trentacinque circa” del 1990 – che in questo caso suona come il suicidio dell’ultima onda davanti alle spiagge sabbiose. Il viaggio è terminato. Non resta che ringraziare i compagni d’allenamento: Ntinos Chatziiordanou alla fisarmonica, Vassilis Massalas al baglamas, Socratis Ganiaris alle percussioni e soprattutto il già citato Pappos, sommo rebetes del bouzuki. E ancora la cantante dalla voce acre Kaiti Ntali – cui è affidato il canto di “Misirlou” e la cover di “Come prima” di Tony Dallara, da lei scelta e inserita come ghost track a mo’ di capriccio – e i chitarristi Marc Ribot e Ricardo Pereira, fino al nostro Mauro Pagani. Tutti artigiani della musica che hanno registrato negli storici studi Sierra di Atene su nastro analogico, uniti dal canto sempre accorato di Capossela, che ha alternato l’italiano al greco e persino al russo, tante vie per dirci un’unica cosa: che quando si è sul ciglio della vita, si può ancora scegliere, magari di ripartire da una rivolta interiore.
Paola De Simone, rockol.it

Critica (2):Un documentario sulla musica che inizia in silenzio, insinuandosi fra i resti di barche abbandonate, da cui filtra, con un blu che trafigge, un mare baciato da un "sole greco non in crisi", come recita, sagace, la scritta su un muro. Andrea Segre e Vinicio Capossela indagano la culla della civiltà occidentale nel momento della sua massima oscurità, almeno per i canoni dell'economia capitalista, e lo fanno attraverso un'accorata forma di resistenza che passa per la musica e la tradizione, quel "ramoscello su cui deve posarsi la rondine. Se il ramoscello non c'è, la rondine deve volare via". Eccoli allora partire alla volta di Atene, immensa e decadente, di una bellezza brutale, dal passato di una grandezza opprimente (un po' come la Roma di Sorrentino), per scoprire cosa resta della cultura greca oggi. Un viaggio che passa attraverso le taverne dove rifiorisce il rebetiko, dal suono ipnotico e dal canto struggente, che racconta passioni, miserie, scelta di un'esistenza indisciplinata, come il titolo della canzone che conquista Capossela, a metà fra il dolore del blues e la dolcezza delle melodie orientali. Perché, come dice una delle sue interpreti più affascinanti, Theodora Athanasiou, il rebetiko tira fuori la doppia anima del popolo greco, l'essere a metà tra Occidente e Oriente, fusione inscindibile di cultura e istintualità irrazionale. Indebito si muove tra i versi rebetes e le confidenze dei musicisti, dividendosi tra immagine, suono e parola. La camera di Andrea Segre si addentra con ammirevole pudore nell'anima di questa città ferita ma ancora vibrante, illuminata magicamente da Luca Bigazzi, capace di restituirne luoghi e atmosfere con colori quasi iperrealistici tanto sono pieni e brillanti, mentre la "scrittura" di Vinicio Capossela, i suoi commenti alle canzoni, peccano, forse per eccessivo amore verso volti, storie e personaggi, di un eccesso di retorica. Capossela attraversa i luoghi del rebetiko come uno Gep Gambardella non disincantato e anzi totalmente avvinto dal suo universo, ma come tanti personaggi-spettatori, o testimoni, è in fondo costretto ogni volta a rimarcare la propria estraneità: ancora in grado di percepire la purezza ma non in grado di afferrarla pienamente. Il suo diventa allora un confronto malinconico,riassunto dalla scena in cui suona inquadrato nello specchio sopra il pianoforte. Emblema del rimirarsi tipico della 'star' occidentale, in netto contrasto con la filosofia di vita del musicista rebetiko, sfuggente e ramingo. Ma è un peccato veniale in un'opera piccola ma intensa che conferma Andrea Segre, dopo l'ottimo Io sono Li, come una delle voci più interessanti del panorama italiano contemporaneo. - sentieriselvaggi.it

Critica (3):

Critica (4):
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