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Golem lo spirito dell'esilio - Esprit de l'exil (L')


Regia:Gitai Amos

Cast e credits:
Sceneggiatura: Amos Gitai; fotografia: Henri Alekan; montaggio: Anna Ruiz; musica: Simon Stockhausen, Markus Stockhausen; interpreti: Nanna Schygula (lo spirito dell'esilio), Vittorio Mezzogiorno (II Maharall), Ophrah Shemesh (Naomi), Samuel Fuller (Elimelek), Mireille Perrier (Ruth), Fabienne Babe (Orpa), Marceline Loridan (la madre di Orpa), Bernardo Bertolucci (il signore della corte), Philippe Garrel (il fidanzato di Orpa), Sotigui Kouyate (Boaz); produzione: Laurent Truchot; origine: Francia, Germania, Italia, Olanda, Gran Bretagna, 1991; distribuzione: IMQ; durata: 110'.

Trama:Naomi fugge a Parigi in esilio col marito e i due figli, guidata dal Golem, la creatura d'argilla che aiuta gli esuli e i vagabondi. Ma la sorte avversa colpisce la donna, che prima perde il marito in un incidente, poi i suoi due figli, uccisi da razzisti. La donna, cacciata di casa, si rifugia presso un parente che vive vicino un bosco magico.

Critica (1):Finalmente la formula europea delle coproduzioni multiple che rischia sempre dei generare degli insapori europolpettoni, si dimostra vincente sul piano della qualità quando non nasce da un calcolo produttivo, ma dalla capacità e dal talento di un cineasta apolide e nomade come l'israeliano Amos Gitai, già autore del raffinatissimo Berlin-Jerusalem visto a Venezia qualche anno fa. Citai firma con questo Golem la sua opera più complessa e matura, che insieme chiude la trilogia sulle radici mitiche e civili dell'ebraismo composta da Esther e Berlin-Jerusalem e ne apre un'altra tutta dedicata a quell'essere leggendario, creatura artificiale e magica, figlia della Cabala, ma anche incarnazione del sentimento etnico dell'esilio, che è il Golem, già protagonista nel suo versante gotico-orrorifico del classico espressionista di Paul Wegener, e poi di una versione sonora firmata Duvivier. Qui il Golem ha le fattezze affascinanti e algide, ambigue e solenni di Hanna Schygulla, una figura simbolica che si presenta quasi come un angelo custode a vegliare e a guidare il viaggio metaforico da una Parigi contemporanea verso una meta ideale e lungo un fiume che si fa simbolo del movimento continuo e dello scambio tra razze e culture, intrapreso da un gruppo di donne erranti che, sulla falsariga della storia biblica di Ruth, daranno origine alla stirpe ebraica vista come coacervo di razze e come libertario incontro di culture. Come sempre in Citai, che è architetto, il cinema diventa una specie di cerimoniale tra arcaico e futuribile dove gli spazi contemporanei (qui una fabbrica di automobili, un vecchio caseggiato parigino, i cantieri di una stazione ferroviaria in costruzione) si accompagnano ad una visione astratta del tempo che contamina l'oggi con antiche cerimonie e con racconti biblici. Il suono, firmato dal mago della presa diretta collaboratore di Godard, Antoine Bonfanti, è essenziale nel film, dove si mescola l'antico ebraico al francese e dove entrano come solenni stacchi i pezzi musicali composti dai figli di Stockhausen. Su queste sonorità si dipana una storia dove il quotidiano si intreccia sempre più al mitologico, coinvolgendo anche delle partecipazioni speciali come quella di uno straordinario Sam Fullernelle vesti di un patriarca o quella di un curioso Bernardo Bertolucci che fa da esecutore testamentario, o ancora Philippe Garrell, e il corpo di ballo di Pina Bausch.
Bruno Roberti, Vivi il cinema , n. 42/43 Maggio/Giugno 92

Amos Gitai Nato a Haifa nel 1950 da padre polacco esponente della Bauhaus poi trasferitosi in Israele, studia architettura prima nel suo Paese poi in California dove consegue il dottorato con una tesi in urbanistica. Nel '73 inizia a girare le prime pellicole sperimentali in super-8, poi realizza diversi documentari per la TV israeliana la fama internazionale lo raggiunge nell"82 grazie a Field Diary che viene proiettato nei maggiori festival cinematografici europei, mentre in Israele le sue istanze esplicitamente antimilitariste gli precludono l'uscita. tre annipiù tardi gira Esther(presentato alla Semaine de la critique di Cannes) analogamente avversato negli ambienti religiosi e conservatori del suo Paese. Nell' 89 viene presentato in concorso a Venezia Berlin-Jerusalem che evidenzia ancora una volta il talento registico di Gitai e lo conferma uno dei maggiori cineasti del momento.

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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